Formazione

Continuiamo a parlare di banchi ma dimentichiamo sempre i ragazzi

«Se comprendiamo che l’organizzazione degli ambienti educativi è lo specchio di come intendiamo la relazione triadica tra insegnante- allievo-conoscenza, si fa presto a capire che il banco, la cattedra e la lavagna non bastano più»”. L'analisi di Beate Weyland, professoressa di didattica alla Libera università di Bolzano sul numero del magazine in distribuzione

di Beate Weyland

In questi mesi abbiamo sentito tanto parlare di banchi, di distanziamenti, di soluzioni più o meno fantasiose per progettare il rientro sicuro a scuola. Ciò che troppo spesso tuttavia non emerge è la parola bambini, ragazzi, insegnanti e personale non docente. Parliamo di distanziamento tra cose o tra persone?

È proprio vero che il distanziamento dei banchi garantisce il distanziamento tra le persone? Nel mio percorso di ricerca ho esplorato con molta attenzione la qualità dello spazio educativo e le potenzialità del rapporto tra pedagogia e architettura nel ripensamento di ambienti sempre meno confacenti a una didattica che sta cambiando molto, che è sempre più orientata al potenziamento dell’allievo attraverso attività laboratoriali, esplorative, di ricerca, da svolgersi insieme ad altri per stimolare il confronto e lo scambio. Ne è nato un percorso di ricerca-azione con le scuole estremamente affascinante, che sta portando a concepire lo spazio come un dispositivo pedagogico formidabile per imparare.

Se comprendiamo che l’organizzazione degli ambienti educativi è lo specchio di come intendiamo la relazione triadica tra insegnante-allievo-conoscenza, si fa presto a capire che il banco, la cattedra e la lavagna non bastano più. Oggi abbiamo bisogno di aree di lavoro cooperative, di laboratori, di spazi comfort per sostenere una didattica variegata e per imparare usando tutto il corpo: in piedi, seduti, sdraiati, in cerchio, in movimento, a piccoli gruppi, in spazi raccolti ecc.. Ragionando attentamente, la scuola tradizionale, intesa come agglomerato di classi, cellule in batteria pressoché indipendenti tra loro è troppo stretta. Si pensa quindi a un modello più organico, in cui gli ambienti sono intrecciati tra loro, interscambiabili, tematici. Si pensa alla scuola come a una grande casa, abitabile per intero da tutti i suoi insegnanti e allievi, che dispongono dei diversi ambienti per svolgere attività diverse.

Se comprendiamo che l’organizzazione degli ambienti educativi è lo specchio di come intendiamo la relazione tra insegnante-allievo-conoscenza, si fa presto a capire che il banco non basta

In questo tempo di pandemia stiamo di nuovo facendo passi indietro: la classe diventa una roccaforte inespugnabile che ci permette di isolare a gruppi gli allievi e il banco sembra essere il punto di riferimento per poter gestire un possibile rientro ordinato e sicuro dei bambini e dei ragazzi.

In realtà le cose non stanno proprio così, sarà molto difficile immaginare che gli allievi mantengano per un certo tempo la loro posizione senza problemi.

Proprio pensando alla necessità di spazi più grandi per garantire il distanziamento, abbiamo provato a combinare una serie di aspetti tra loro al ne di non eludere il processo evolutivo della didattica scolastica e dei suoi spazi: la nostra proposta si concentra sul sollecitare gli insegnanti a creare aree di lavoro a isole e spazi di studio individuali ben connotati, in modo da aiutare l’allievo a individuare in modo intuitivo il proprio posto per studiare. E per rendere ancora più sostenibile la proposta è nato il progetto Eden: Educational Environments with Nature.

L’idea è quella di combinare tra loro tre variabili importanti: quella didattico-educativa, individuando nell’approccio laboratoriale, orientato alla ricerca e all’esplorazione autonoma e nell’approccio cooperativo, orientato allo scambio e al confronto la chiave di volta per fare scuola in modo efficace; quella degli spazi fisici della scuola, prendendo in carico la possibilità di “informarli” ovvero di dargli le giuste informazioni perché diventino dispositivi pedagogici atti a potenziare la didattica e per dare un maggiore senso di accoglienza e comfort; quella dell’introduzione delle piante negli spazi interni della scuola, a partire dalle classi. Da una parte per creare un ambiente domestico, naturale, di benessere e protezione; dall’altra per fare didattica con le piante nello spirito degli obiettivi 2030, di sviluppare con esse rapporti di prossimità e di cura della legge facendo riferimento alla legge sull’introduzione dell’educazione civica e addirittura di scoprire come si può “giocare” con le piante, facendo riferimento all’articolo 31 della Convenzione Onu sui diritti dei bambini.

Parliamo di distanziamento tra cose o tra persone? È proprio vero che il distanziamento dei banchi garantisce il distanziamento tra le persone?

La proposta sulla quale stiamo lavorando riguarda l’idea di una “scuola domestica” da organizzare in maniera tale da offrire a bambini e ragazzi al rientro un senso di accoglienza e di sicurezza genuino grazie anche l’utilizzo delle piante. Il pensiero che stiamo introducendo è quello di evitare un’accoglienza militaresca e ospedaliera dei bambini e dei ragazzi…


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*Beate Weyland, professoressa di didattica alla Libera università di Bolzano

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