Economia

Recovery Plan, l’esempio di Macron che l’Italia non capisce

Il piano francese per l’utilizzo dei fondi di Next Generation EU parte da una premessa: l’economia sociale è una delle chiavi di lettura attraverso cui leggere l’intera strategia di rilancio. Non un settore tra i tanti al quale destinare una frazione delle risorse disponibili, ma un modello economico. È chiedere troppo che questa consapevolezza si faccia strada anche nei programmi del nostro Governo?

di Gianluca Salvatori

Si chiama France Relance ed è il piano del governo francese per l’utilizzo dei fondi di Next Generation EU. Quando Macron lo ha presentato l’accento è stato posto sulla dimensione strategica della visione che lo ispira. E non era un’affermazione retorica. Tutto, nel piano francese di rilancio, mostra una chiara volontà di concentrare sforzi e risorse. A partire dalla scelta di utilizzare le risorse straordinarie provenienti dall’Europa in tre macro-aree (ecologia, competitività, coesione), venticinque temi, sessantotto misure. Indicando, tra queste, almeno alcuni impegni direttamente riferiti a emergenze sociali: in particolare, lotta alla povertà e inserimento lavorativo di persone svantaggiate.

Ma quel che più conta, il piano francese parte da una premessa. Sin dalle prime pagine indica nell’economia sociale una delle chiavi di lettura attraverso cui leggere l’intera strategia di rilancio. Non quindi un settore tra i tanti al quale destinare una frazione delle risorse disponibili, cercando di non scontentare nessuno, bensì l’indicazione di un modello economico di cui incoraggiare lo sviluppo. Si legge nel piano Macron: “Le strutture dell’economia sociale e solidale hanno un ruolo di primo piano (…) come è emerso con evidenza all’apice della crisi e di questo si terrà conto nella fase di rilancio. I soggetti dell’economia sociale e solidale sono parte della resilienza dell’economia francese. Contribuiscono allo sviluppo di un modello di crescita sostenibile e solidale. Fondamentale sarà la loro funzione per accompagnare la transizione ecologica e nell’affrontare la battaglia per il lavoro e l’inclusione sociale”.

Parole cristalline, che tracciano una linea netta. Next Generation non può ripetere stancamente i modelli del passato, nell’illusione di tornare indietro. Bisogna guardare oltre, leggendo nella crisi. Ed è proprio l’esperienza pesante che ci ha imposto la pandemia ad indicare che gli investimenti per la ripartenza devono assumere l’economia sociale come priorità. Chapeau alla Francia dunque, che da tempo è impegnata a ritagliarsi su questo tema un ruolo di leadership, investendo politicamente nel non profit per la creazione di sviluppo e benessere sociale.

E l’Italia? Anche senza commentare i 556 progetti raccolti dal Governo dopo l’assemblaggio estivo di Ministeri, agenzie e società partecipate – e di cui subito dopo la pubblicazione ci si è affrettati a ridimensionare il ruolo – la situazione è presto detta. L’economia sociale è fuori dal radar e nemmeno il Terzo settore è considerato (benché, per inciso, nel nostro Paese abbia numeri e svolga funzioni più rilevanti che in Francia e nella recente crisi abbia mostrato una capacità di resilienza superiore, anche per una storia di cronica debolezza del sistema pubblico). Se tra le centinaia di progetti presentati neppure uno sfiora il tema, l’assenza più vistosa è però nelle linee guida per il Piano nazionale di rilancio e resilienza (Pnrr).

Nel documento di indirizzo presentato alle Camere di Terzo settore si parla in un solo luogo, quando si cita la necessità di nebulosi innovation ecosystems, descritti come ”luoghi di contaminazione di didattica avanzata, ricerca, laboratori pubblico-privati e Terzo settore”. A parte questo bizzarro passaggio, null’altro. Cosicché quando il testo del Governo passa a trattare di equità sociale, creazione di occupazione, reskilling dei lavoratori, presidi socio-sanitari territoriali, riqualificazione di aree urbane e aree interne, viene da chiedersi: ma come pensano di attuarli questi obiettivi, con interventi pubblici a tutto spiano? Con quali competenze e modelli? Perché non c’è neppure un riferimento alle organizzazioni non profit e alle imprese sociali, che su questi temi hanno già dimostrato con i fatti di produrre risultati?

L’occasione è davvero storica. Le possibilità di intervento offerte dal piano Next Generation EU chissà quando mai si ripresenteranno. Sicuramente non per un paio di generazioni. È il momento di alzare lo sguardo e pensare con una prospettiva di lungo, lunghissimo respiro. Il piano francese coglie un punto cruciale: non si può fare a meno del contributo dell’economia sociale per lo sviluppo di un modello di crescita sostenibile e solidale. È chiedere troppo che anche in Italia questa consapevolezza si faccia strada nei programmi del Governo?


*segretario generale Fondazione Italia Sociale

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