Welfare

Degani (Uneba): «Rsa, così rischiamo un’altra caporetto»

Mentre i contagi salgono cresce la paura per le residenze sanitarie assistenziali. «Servono investimenti e che querste strutture vengano messe al centro del sistema di tutela della salute», sottolinea il presidente dell'Unione Nazionale Istituzioni E Iniziative Di Assistenza Sociale della Lombardia

di Lorenzo Maria Alvaro

Durante la pandemia il simbolo della crisi sanitaria sono state le rsa, con migliaia di contagi e decessi. Oggi, mentre il contagio in Italia torna a salire, si teme che si possa precipitare nuovamente in una situazione drammatica. Per Luca Degani, avvocato e presidente di UNEBA Lombardia (Unione Nazionale Istituzioni E Iniziative Di Assistenza Sociale), serve «un percorso di screening per gli ospiti e per il personale affinché qualsiasi evenienza che determini uno stato infettivo venga presa in carica immediatamente». L'intervista


I contagi sono tornati a salire. Le Rsa sono pronte a fronteggiare la situazione?
Quel poco che è nelle competenze e nelle possibilità delle Rsa è stato messo in campo. Ma non basta. Siamo preoccupati per cosa è stato e per cosa sarà se dovesse esserci una nuova ondata di infezioni, perché c’è la percezione che non sia stato fatto tutto fino in fondo e che non siano stati appresi nel modo corretto gli insegnamenti che ci hanno dato i primi mesi di pandemia.

A cosa si riferisce?
È un virus altamente infettivo su tutta la popolazione, al di là di qualsiasi età e patologia. Ha però una capacità quasi millimetrica di colpire letalmente soggetti anziani con più patologie, quindi in situazioni di immunodepressione. Questo aspetto non deve essere dimenticato, altrimenti si rischia di essere nuovamente travolti.

Quindi non è vero che oggi colpisce di più i giovani?
No, i dati non dicono questo. I dati dicono che prima facevamo tamponi ai sintomatici, oggi invece alle persone che rientrano dalle vacanze, quindi a una popolazione più giovane. Ma è solo un tema di fetta di popolazione soggetta al controllo. Se i controlli fossero a tappaeto scopriremmo la mediana della normale età della popolazione italiana. Ma se oggi il punto è capire se è cambiato qualcosa rispetto alla prima ondata dovremmo farli sulla popolazione anziana, per andare a vedere se la pericolosità e mortalità del virus è muatata. Questo sarebbe utile e interessante

Tornando alla prevenzone: non è stato fatto tutto quello che si può fare a cosa si riferisce?
Vorremmo avere la certezza, laddove ci fosse una seconda fase, che venissero garantiti da parte dell’autorità pubblica strumenti di protezione, percorsi di cure e prese in carico. Ad esempio, non abbiamo visto quasi in nessuna parte d’Italia un modello che garantisca un corretto rapporto tra azienda ospedaliera e mondo delle RSA, che faccia sì che gli specialisti possano entrare nelle RSA anche solo con le loro competenze attraverso il web per poter garantire un inizio di presa in carico clinica immediata. Facciamo un’azione di screening e di prevenzione, come ci è stato detto strada facendo. Questo probabilmente è un livello di coscienza e di tutela che un poco ancora manca

Si sta riferendo a Regione Lombardia?
Non solo. Apparentemente oggi i tamponi ci dicono che si stanno infettando persone più giovani. Non possiamo dimenticare però che ci sono persone anziane o con pluri patologie che necessitano di essere nuovamente al centro dell’attenzione, questa volta a livello preventivo e non per vedere i danni che determina l’essere stati infettati. Si dovrebbe vedere qual è l’età dei decessi e magari ci si renderebbe conto, come è stato nella prima fase, che a morire sono gli anziani con comorbidità. Mi aspetto un procedimento che differenzi l’azione di screening sulla popolazione, che crei un rapporto costante tra realtà ospedaliere e mondo delle RSA. E soprattutto la certezza che questa volta i dispositivi di protezione individuale non siano carenti. Questo è un compito dello Stato, ma non nego che molte regioni hanno dato indicazioni al riguardo, come ha fatto la Lombardia che da questo punto di vista deve ancora lavorare. Lo dico senza polemica, ma oggi stiamo molto attenti ai numeri delle infezioni, meno all’interpretazione e stiamo pochissimo attenti a quello che ci hanno insegnato l’età dei decessi e il rapporto tra acuzie, cronicità e territorio

Oltre a tutto questo esiste un problema economico circa le Rsa?
Certamente il mondo delle RSA ha una grande preoccupazione anche dal un punto di vista economico, perché non siamo ancora riusciti a rientrare dalla crisi che ha colpito l’attività per la chiusura di molte strutture costrette al mantenimento di ospiti inappropriati

Se poi si aggiunge l'idea di spostare i degenti da queste strutture alla domiciliarità il quafro diventa drammatico…
La domiciliarità è importante e altrettanto che ci siano unità che operino direttamente sul territorio, per supportare eventuali situazioni infettive. Ma bisogna dirsi che le RSA restano e sono il mondo di queste persone e tali devono restare. Quindi adesso devono essere al centro del sistema di tutela della salute con anche un'attenzione economica. E si potrebbe cominciare superando un misunderstanding che purtroppo continua a tornare

Quale?
Mentre vengono fatte normative che finanziano il sistema sanitario nazionale pubblico sarebbe il caso di ricordare che questo servizio è fornito dal privato sociale. Se non si possono finanziare questi soggetti, l’ampliamento di questa attività non si può realizzare. Stiamo ragionando come se fossimo in un sistema tutto a erogazione pubblica quando è notorio che in Italia così non è. Spero che Regione Lombardia lo abbia in mente e stia ragionando sul come attivarsi direttamente

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