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Migranti, conclusa la regolarizzazione: 207mila domande. Mezza vittoria o mezza sconfitta?

La procedura di regolarizzazione dei rapporti di lavoro è stata avviata lo scorso 1 giugno per tre settori: agricoltura, lavoro domestico e assistenza alla persona

di Luca Cereda

Si era commossa la ministra Bellanova, dopo aver minacciato le dimissioni, nell’annunciare il compromesso raggiunto in maggioranza lo scorso 13 maggio per combattere il caporalato nei campi. Ora che la procedura inserita nel Decreto Rilancio si è conclusa dopo la proroga, dal Viminale sono arrivati i dati definitivi su chi ha fatto richiesta per la regolarizzazione dei lavoratori stranieri. Le domande ricevute dal portale del ministero dell’Interno sono 207.542. In prevalenza si tratta di colf e badanti, l’85 per cento, mentre il resto riguarda i braccianti impiegati nei campi. «Nonostante la proroga delle pratiche, il Decreto ha mancato il bersaglio: la regolarizzazione del maggior numero di migranti irregolari e l’emersione del lavoro in nero», ha detto Maurizio Bove, responsabile ufficio migranti Cisl Milano.

I numeri della sanatoria
La Lombardia è la regione da cui è stato inviato il maggior numero di richieste per il settore del lavoro domestico e di assistenza alla persona, 47.357, mentre al primo posto per quello agricolo si trova la Campania, con 6.962 domande. Quanto al Paese di provenienza dei lavoratori, ai primi posti risultano l’Ucraina, il Bangladesh e il Pakistan per il lavoro domestico e di assistenza alla persona. Guida la classifica per il lavoro subordinato, principalmente impiegati come braccianti agricoli, l’Albania, a cui segue il Marocco e l’India. Le richieste di permesso di soggiorno temporaneo presentate agli sportelli da cittadini stranieri, invece, sono state 12.986. I dati conclusivi mostrano che a livello provinciale guida quest’ultima classifica Verona con 675, quarta Milano con 406 domande.

E la lotta al caporalato?
«I numeri fatti con il provvedimento sono importanti e confermano la bontà della norma, la sua necessità, la giustezza del percorso avviato – commenta la ministra delle politiche agricole alimentari – che adesso dovrà necessariamente proseguire anche con il Piano Triennale contro il caporalato, con la piattaforma che agevola l’incrocio trasparente domanda e offerta di lavoro, e l’offerta integrata di servizi a partire dal trasporto». Questo provvedimento del Governo e i numeri alla chiusura restituiscono un dato in chiaroscuro, rispetto alle attese, riguardo la regolarizzazione dei braccianti agricoli: «I numeri esigui non dicono che non ci sia lavoro nero nei campi, ma che per farlo emerge serva altro rispetto alla possibilità di regolarizzare gli immigrati pagando na certa cifra», spiega Alberto Semeraro, segretario Flai Cgil Lombardia. Servono allora azioni congiunte tra i ministeri oltre all’intervento di quello dell’agricoltura. «Solo il tempo, ovvero questi mesi estivi e quelli autunnali, ci diranno se ci sarà stata davvero la carenza di braccianti a causa della pandemia come spesso le parti datoriali hanno dichiarato», continua Semeraro. Intanto la più ampia comunità di braccianti che lavorano nel settore agricolo italiano, quella che proviene dalla Romania e dell’est Europa, sta arrivando, anche grazie all’istituzione di ‘corridoi’ sanitari.

Nonostante i buoni propositi, un’occasione sfruttata a metà
Inizialmente Bellanova aveva parlato di 600mila migranti e lavoratori irregolari da far emergere. Poi i partiti di maggioranza hanno trovato un accordo più stringente sulle procedure da mettere in campo e le stime sono state riviste al ribasso. Nella relazione tecnica del Decreto approvato a maggio si ipotizzava l’arrivo di circa 220mila domande. La seconda stima si è avvicinata al computo finale delle domande pervenute, ora da vagliare. «Si tratta però di una regolarizzazione fortemente limitata che ha escluso a priori molti settori lavorativi che vedono un ampio impiego di manodopera straniera, soprattutto nelle grandi città: l’edilizia, la ristorazione, i servizi alle imprese, gli hotel», racconta il responsabile ufficio migranti Cisl Milano, che aggiunge, «noi abbiamo spedito poco più di 300 pratiche. Il 99 per cento di esse riguardavano il lavoro domestico e l’assistenza famigliare, mentre solo poco più di 10 sono state le richieste di persone che hanno auto-denunciato la loro presenza per ottener un permesso di soggiorno con la promessa di lavorare nei settori indicati dal Decreto».

Confusione e truffe, i freni della regolarizzazione
«Un grande freno alle domande di regolarizzazione è stato l’elevato numero di circolari interpretative arrivate quasi allo scadere dei termini previsti per legge per compilare le pratiche», sottolinea Bove della Cisl Milano. Primo tra tutti il versamento che i datori di lavoro devono compiere per sanare i contributi previdenziali arretrati: «Questo dato non è ancora uscito anche se i tempi sono scaduti». Anche Semeraro concorda sul punto e ribatte: «Noi avevamo chiesto di portare a fine anno la scadenza dei termini per la regolarizzazione ma non siamo stati ascoltati». C’è poi un lato oscuro e inquietante in questa vicenda a cui il Governo non ha prestato attenzione: la maggior parte delle domande sottoscritte arriva da piccoli centri, Caf ed enti privati. Ad ammetterlo è lo stesso Ministero degli interni. «Le domande non sono state inviate da patronati specializzati. Questa è la cartina tornasole di quanto abbiamo denunciato sin da subito: il rischio, poi concretizzatosi, di truffe. Molte persone si sono presentate negli ultimi giorni al nostro ufficio denunciando di aver accettato il cosiddetto “pacchetto completo”. Un’offerta di datore di lavoro che dietro compenso – anche 3000 euro – prometteva di svolgere tutte le pratiche per la regolarizzazione, prima di sparire con i soldi», testimonia Bove.

La regolarizzazione e l’ombra xenofoba in Italia
Questo ennesimo condono non affronta il problema degli ingressi illegali in Italia per motivi di lavoro. «Sarebbe necessario che le persone entrate nel nostro paese con un permesso di soggiorno per turismo e che poi trovano un lavoro, possano convertire questo permesso in quello lavorativo. Pratica proibita ad oggi», incalza Maurizio Bove. Inoltre dovrebbe mutare radicalmente il Decreto Flussi, perché oggi se si vuole chiamare dall’estero un lavoratore non lo si può fare per quasi tutte le categorie tranne che per il lavoro stagionale. Infine la retorica del contagio da coronavirus “d’importazione” – che prende di mira i migranti dimenticando che L’ISS ha dichiarato in questi giorni che solo il 3-5 per cento dei contagi da Covid-19 di oggi arrivano dai migranti mentre il 25-40 per cento derivano dai concittadini che ritornano dai viaggio all’estero – è solo la manifestazione più superficiale della xenofobia nel nostro Paese. Quella più profonda arriva dalle numerose le aggressioni ai danni dei braccianti agricoli. Il 4 agosto, Victor, un ragazzo nigeriano di 22 anni, stava andando in bicicletta al lavoro nei campi del foggiano. Due persone a bordo di uno scooter, senza dire una parola, gli hanno sparato con una pistola a pallini. Il 30 luglio, è stato aggredito anche Luis, anche nigeriano. Stava per prendere l’autobus per andare al lavoro. Oltre all’aggressione fisica per lui anche insulti razzisti. «Contro i casi di razzismo nei confronti dei braccianti stranieri c’è un profondo lavoro culturale da potare avanti: non sono solo braccia ma persone che hanno una dignità personale e anche lavorativa e dei diritti», spiega Alberto Semeraro. E la scusa razzista del “ci rubano il lavoro”, che non ha mai retto, oggi lo fa meno che mai: «Servivano braccia nei campi ad aprile e maggio, durante il picco della pandemia. Anche davanti all’assenza di lavoro e alle garanzie per la propria salute, nessun italiano si è mosso: quei lavori li hanno fatti sempre loro. I braccianti stranieri».

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