Cultura
La scuola in crash
Riflessioni in attesa del suono della prossima campanella. Una mappa di parole, per immaginare come disegnare l'incontro con i ragazzi. Perché in questo tempo esatto, nel nostro pensare la scuola, in questo tempo strano, stiamo allestendo contesti di possibilità o stiamo al contrario creando deserti. Le relazioni che stiamo (o non stiamo) costruendo oggi stanno generando crediti di fiducia verso la scuola o stanno invece alimentando rabbia e rancore. E allora, quale desiderio di scuola stiamo alimentando?
La campanella ha cessato di suonare di colpo. È subentrato il silenzio e siamo in attesa del suono della prossima campanella. Questo tempo di attesa è un tempo straordinario per preparare il prossimo suono della campanella. Pur nella improvvisa chiusura delle classi e nella dematerializzazione improvvisa della scuola, la scuola è di colpo entrata nelle case, nelle camere di bambini e ragazzi ed è diventata molto visibile e udibile nelle sue parole, nei suoi modi, nei toni dei dialoghi, nelle richieste… La scuola è fuoriuscita dalle proprie mura e si è fatta diffusa, nei dispositivi di ragazzi e genitori, on line, in rete, nelle chat, nelle case, stravolgendo i propri modi più consueti e consolidati di funzionare. Una esperienza di “crash” nei suoi modi di lavorare e di conoscere, quel crash che accade “ogni qual volta il “conosciuto” non è più sufficiente per comprendere il nuovo, per supporre di poter governare presente e futuro”.
Il conosciuto non è stato più sufficiente, non lo sarà per i prossimi mesi e non è dato ripristinare un passato recente. E allora diventa necessario capire che cosa del conosciuto può esserci utile ed essenziale preservare, che cosa abbiamo imparato e stiamo imparando di nuovo e quale mappa vogliamo immaginare per tornare a incontrare bambini e ragazzi e a ricercare con loro. Alcune parole allora per una mappa da immaginare insieme.
Visibilità
Ogni genitore ha potuto origliare e ascoltare intere lezioni, ha potuto sentire e percepire le sfumature e i toni delle parole degli insegnanti, dei dialoghi tra il proprio figlio, l’insegnante e gli altri compagni… Parole dure o parole accoglienti, monologhi o dialoghi, parole di speranza o parole di evitamento e negazione (forse per paura) di quanto stava accadendo nel mondo. Le parole, le lezioni, gli scambi e le emozioni, le attese e i timori di bambini, ragazzi e insegnanti hanno abitato e riempito il quotidiano di centinaia di migliaia di famiglie. La scuola si è fatta più visibile ed è stata percepita nel suo valore importante, nella sua necessità, nella sua funzione più propria di allestire ritmi, rituali e dispositivi collettivi per apprendere nel momento in cui è fuoriuscita (suo malgrado) da sé, nel momento in cui ha perso i propri confini. La scuola è diventata maggiormente visibile nel momento in cui è sconfinata. Come sostenere e alimentare allora, nei prossimi mesi, visibilità e consenso intorno alla scuola, anche laddove si tornerà dentro ai confini dell’istituzione?
Desiderio
La scuola è stata, soprattutto nelle prime settimane di quarantena, desiderata e invocata. Mai come in questi mesi, genitori, bambini e ragazzi hanno desiderato di poter ascoltare la voce dei loro insegnanti, di poter vedere il loro viso e quello dei loro compagni, hanno chiesto, a volte urlato, un contatto con la scuola. Mai come nei mesi passati, la scuola è stata nominata, richiamata, convocata dalle famiglie e dai ragazzi. Scuola e desiderio sembrava un binomio pressoché desueto fino a pochi mesi fa e di colpo, invece, è ricomparso sulla scena delle possibilità. Che cosa hanno desiderato così fortemente bambini e ragazzi, in questi mesi? Desiderio di essere pensati, di non essere lasciati soli, di capire e continuare a ricercare insieme anche per contenere la paura e l’ansia dell’ignoto, desiderio di pensare un futuro insieme a compagni e insegnanti, desiderio di stare insieme… La scuola ha scoperto, anche stupendosi, di poter essere desiderata. E nel desiderio, è riaffiorata quella dimensione intrinseca e fondante della scuola: la sua responsabilità sociale più propria nello scandire ritmi e tempi del vivere collettivo di bambini e ragazzi, nell’alimentare e nutrire le loro relazioni, nel generare spazi di comunità. Desiderio, stupore e scuola potranno continuare a convivere ed alimentarsi reciprocamente, nei prossimi mesi?
Vicini e distanti
Abbiamo riattraversato le categorie di vicinanza e di distanza e abbiamo capito che si può essere molto vicini a distanza e si può essere molto lontani in presenza. Non pensavamo che potesse essere così emozionante vedere in volto i propri allievi o i propri insegnanti o sentirne la voce dopo settimane di silenzio… Abbiamo capito che abitare lo spazio di una classe non significa di per sé essere vicini e che la vicinanza è qualcosa di ben più complesso e impegnativo del convivere in uno spazio. Nella distanza, abbiamo scoperto cose dei bambini e dei ragazzi che in settimane di presenza in classe ci erano sfuggite, così come anche noi adulti, abbiamo sperimentato fragilità, timori e capacità che ci hanno permesso di stare maggiormente in relazione con bambini, ragazzi e genitori e con il nostro compito professionale. Abbiamo scoperto che la distanza fisica non è distanza sociale, così come la vicinanza fisica non coincide in sé con la vicinanza sociale. Nelle paure e nei timori che ci attraverseranno nei prossimi mesi, quale vicinanza vorremo sostenere, tanto nella presenza, quanto nella distanza che forse dovremo ancora attraversare?
Alleggerimenti
La scuola ha dovuto alleggerirsi, perché la strada si è fatta troppo ripida, troppo faticosa e abbiamo dovuto gettare dallo zaino ciò che non era essenziale. Questo è stato un esercizio importante per la scuola, per abbandonare preoccupazioni talvolta bulimiche e saturanti e per riconnotarsi come spazio proprio di ricerca e di costruzione di sapere e competenze. Uno spazio che deve farsi anche vuoto, leggero, incerto per poter essere attraversato, abitato, scoperto e allestito da bambini e ragazzi. In questi mesi, in molti casi, abbiamo dovuto fare anche a meno dei libri di testo, abbiamo dovuto trovare modi per raccontare il sapere, per rappresentarlo visivamente, per connetterlo con quanto la rete offriva, privi dei normali appigli e strumenti. Abbiamo dovuto scegliere cosa proporre e raccontare a bambini e ragazzi perché tutto non era possibile, abbiamo dovuto scegliere alcuni “essenziali” e abbiamo dovuto avere fiducia nella capacità di bambini e ragazzi, di apprendere, di imparare, anche senza di noi, anche senza il nostro controllo. Quali sono alcuni alleggerimenti di cui abbiamo fatto esperienza nei mesi di quarantena e che possiamo nuovamente sperimentare e praticare nel nuovo anno?
Intelligenze collettive
Non ultimo, abbiamo avuto bisogno (e continuiamo da averne) di stare insieme per fronteggiare una situazione che non ci era nota ed era sconosciuta per tutti. Abbiamo dovuto ricercare, comprendere cosa stava accadendo, raccontarci come stavamo facendo, elaborare qualche ipotesi, seppur provvisoria e parziale, per sperimentare strade possibili e abbiamo avuto la necessità di farlo insieme. È stato necessario allestire occasioni e spazi di intelligenza collettiva, perché il problema non era individuale e perché in atto c’era una trasformazione radicale collettiva, sociale e istituzionale. E le organizzazioni, le istituzioni hanno avuto un ruolo strategico (laddove sono riuscite ad esercitarlo) nel sostenere e accompagnate gli sforzi, le fatiche, gli investimenti tanto individuali, quanto professionali. Quali spazi preservare, nei prossimi mesi, per l’esercizio di quella intelligenza collettiva così necessaria nella scuola perché la scuola stessa si faccia intelligenza collettiva che, nella trasformazione di un sapere, ricerca strade possibili non ancora tracciate?
Storie
Abbiamo capito che la casa che un bambino ha fa la differenza nelle sue possibilità di studiare, di partecipare alle lezioni, di essere più o meno supportato nell’impresa di apprendere. Le storie di bambine e bambini, di ragazzi, le loro storie individuali e familiari hanno fatto irruzione nella relazione con la scuola e ci hanno ricordato che “eravamo tutti sulla stessa barca”, ma sulla barca ognuno aveva valigie diverse. E la differenza di opportunità, strumentazione, appoggi, priorità familiari ha fatto e continuerà a fare la differenza. Abbiamo dovuto fare lo sforzo di ricordarci di tutti i bambini e di tutti i ragazzi. Non è stato facile e non sempre ci siamo riusciti. Ma riusciremo a continuare a ricordarci che la scuola deve ricordarsi di tutti?
Apprendimenti
Abbiamo fatto (e stiamo ancora facendo) una grande e sconvolgente esperienza di “apprendimento dall’esperienza”. Sarà apprendimento se riusciremo a stare nelle esperienze, ma a difendere anche e proteggere spazi di pensiero, spazi riflessivi, rielaborativi, insieme agli altri, in relazione con bambini e ragazzi. Abbiamo imparato che ciò che stiamo facendo oggi, sta costruendo le condizioni e le possibilità per la scuola di settembre, ottobre, novembre… Abbiamo capito che le relazioni che stiamo costruendo oggi stanno generando crediti di fiducia verso la scuola o stanno invece alimentando sentimenti di rabbia e rancore. Abbiamo capito che nel nostro fare e pensare la scuola, giorno per giorno, in questo tempo strano, per i pensieri che facciamo e per ciò che stiamo sperimentando, stiamo allestendo contesti di possibilità o stiamo invece, creando deserti. Quale desiderio di scuola stiamo alimentando?
Bibliografia minima
- Byung-Chul Han (2017), L’espulsione dell’altro, Nottetempo, Milano.
- Guerra M., Antonacci F. (2018), Una scuola possibile. Studi ed esperienze intorno al Manifesto «Una scuola», Franco Angeli, Milano.
- Laffi S. (2014), La congiura contro i giovani, Feltrinelli, Milano.
- Lorenzoni F. (2014), I bambini pensano grande. Cronache di una avventura pedagogica, Sellerio, Palermo.
- Reggio P., Santerini M. (a cura di) (2014), Le competenze interculturali nel lavoro educativo, Carocci, Roma.
- Rivoltella P.C. (2018), Un’idea di scuola, Morcelliana, Brescia.
* Pedagogista e formatrice, svolge attività di ricerca in servizi e progetti educativi e sociali. Collabora con il Centro di Ricerca sulle Relazioni Interculturali dell’Università Cattolica di Milano.
Photo by Tim Mossholder on Unsplash
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