Volontariato

Estate ragazzi: 185 milioni che non si riescono a spendere

I soldi ci sono e sono tanti, ma gli strumenti applicativi stanno rendendo difficilissimo spenderli. Tant'è che siamo al 10 luglio e i progetti sono ancora fermi, con i Comuni che aspettano chiarimenti per non rischiare di sbagliare (e poi vedersi le rendicontazioni respinte). A rimetterci? I ragazzi. Quando invece poteva essere l'occasione per una grande progettazione partecipata

di Sara De Carli

A Palermo stanno funzionando 135 Centri estivi, con cifre che vanno da 30 a 150 euro a settimana, per 7-8mila ragazzi. Significa che ci sono almeno 100/120mila bambini e ragazzi a casa. O per strada. «Quella che stiamo vivendo è una situazione paradossale: ci sono i soldi, ma purtroppo i cavilli burocratici non ci mettono nelle condizioni di spenderli. A rimetterci sono i ragazzi. Noi stiamo qui a discutere e nel frattempo è il 10 luglio e i ragazzini per strada si aggregano per conto loro. Spesso sono ragazzini non vanno a scuola, figuriamoci se vanno al centro estivo. Potevamo trasformare la strada in un centro estivo, proporre attività di strada in sicurezza: sarebbe eccezionale. Ma se i soldi ci sono e non si permette di farlo…».

A parlare così è Lino D’Andrea, Garante per l’Infanzia del Comune di Palermo. Racconta di un Comune che avrebbe anche «la buona volontà di spendere, si erano anche sollecitati gli assistenti sociali che lavorano sul Reddito di Cittadinanza a individuare i ragazzini, il problema è che dalla Regione è stato trasmesso il riparto dei fondi stanziati per l’estate [i famosi 150 milioni di euro strappati dalla ministra Bonetti, cfr art. 105 del Decreto Rilancio, ndr] ma di fatto mancando le linee guida per la rendicontazione i Comuni si sono fermati perché non sono nelle condizioni di poter spendere quei soldi. Non sanno neanche come farli entrare a bilancio. Vanno sui fondi sociali? Vanno alle famiglie? Vanno a coprire spese per la sicurezza sanitaria dei progetti? Siccome poi tutte le spese andranno rendicontate, in assenza di indicazioni precise serpeggia diffusamente la domanda “e se poi non accettano la rendicontazione?”. E allora, piuttosto, i Comuni stanno fermi. Sembra che nessuno si voglia assumere la responsabilità».

Per D’Andrea il punto più grave è che «si continua ad avendo una visione esclusivamente sanitaria, perdendo di vista il principio che il territorio è una risorsa. Si è svilita la rete progettuale nei territori, quando invece ogni territorio dovrebbe progettare a seconda di bisogni reali e specifici: a Palermo per esempio abbiamo circoscrizioni con moltissimi bambini di seconda generazione e circoscrizioni che quasi non ne hanno, e questo cambia le modalità di intervento. Pensiamo alla scuola: si è detto a dirigenti e sindaci di cercare “spazi” nel territorio, che però è cosa ben diversa dallo stimolare una progettualità integrata, fare laboratori partecipati e mettere in piedi – dai territori – risorse utili e importanti per la scuola». E ancora un esempio, prosegue D’Andrea, «Palermo ha la grandissima risorsa umana dei tutori volontari per i minori stranieri non accompagnati: sono 100 in città e almeno 70 in questo momento sono senza tutele, perché i MSNA sono diminuiti moltissimo. Non li possiamo affiancare ai nostri ragazzi, per dare sostegno alle famiglie? Perché l’emergenza non è da qui a settembre né da qui a dicembre, è più lunga. Non ha senso mettere soldi per una risposta una tantum, che fra l’altro al 10 luglio non c’è ancora».

L'emergenza non è da qui a settembre né da qui a dicembre, è più lunga. Non ha senso mettere soldi per una risposta una tantum, che fra l’altro al 10 luglio non c’è ancora…

Lino D’Andrea

La situazione di Palermo è l’emblema di un paradosso. Dopo mesi in cui i bambini sono stati invisibili, sapendo che pagheranno un conto salato per la crisi, i 150 milioni stanziati per i centri estivi e i 35 del bando EduCare – entrambi seppure in maniera differente focalizzati sul restituire a bambini e ragazzi occasioni, luoghi e tempi di incontro, gioco, relazione – sono innegabile boccata d’aria. Mai abbiamo avuto così tanti soldi stanziati per l’estate di bambini e i ragazzi. Davvero non si riescono a spendere?

«Al bando EduCare abbiamo rinunciato per l’onerosità della documentazione richiesta», ammette Alberto Barenghi, reponsabile dei progetti Italia di Fondazione Mission Bambini. «In generale mi pare che non si sia colta l’opportunità di fare cose diverse, con una progettazione partecipata. Il bando è lo strumento di una logica vecchia, che mette in competizione il non profit, con un approccio tutto schiacciato sulla progettazione e sulla rendicontazione, con poco accento sui risultati. Il modello poteva essere diverso, per esempio quel processo di potenziamento educativo partecipato usato nell’emergenza post terremoto da Con i Bambini, coordinato da Marco Rossi Doria, che ha coinvolto tutti gli attori del privato sociale e del volontariato, le scuole, gli enti locali e ogni altra risorsa educativa».

Non è stata colta l’opportunità di fare cose diverse, con una progettazione partecipata. Il bando è lo strumento di una logica vecchia, che mette in competizione il non profit, con un approccio tutto schiacciato sulla progettazione e sulla rendicontazione, con poco accento sui risultati. Il modello poteva essere diverso

Alberto Barenghi

«Possiamo dire che il bando EduCare è una promessa non mantenuta. L’idea è eccezionale, ma poi è venuto fuori un bando riadattato al post Covid, che prevede attività per sei mesi ma che non lascia niente. Se si leggono le FAQ pubblicate sul sito del Dipartimento, si capisce benissimo che qualche problema c’è, cominciando dal fatto che abbiamo 43 pagine di FAQ ad oggi, in continuo aggiornamento», spiega Yuri Pertichini, progettista sociale e vicepresidente di Arciragazzi. «È stata utilizzata la peggiore interpretazione del codice degli appalti, anche dove non è richiesto dalla legge: l’ammortamento in genere si può chiedere sopra i 516 euro di beni, mentre qui tutte le spese per materiali devono essere ammortate a sei mesi, persino una panchina, una fontanella o – leggo da FAQ – un gioco come Forza4 o le palline da mini-tennis. Se compro 18 euro di gioco, quanto potrò ammortare in sei mesi? Tre euro? Ora hanno cambiato la risposta e dicono che si può ammortizzare ad un anno se il bene è sotto i 516 euro, ma la ratio non cambia».

È la logica dei sei mesi ad essere troppo corta: «Posso affittare tutto e non c’è problema. Ma che senso ha ripristinare uno spazio gioco o adattare uno spazio per sei mesi (fra l’altro le FAQ dicono che non si può fare manutenzione), per esempio istallando una casetta sull’albero fuori da una biblioteca, dove i bambini possano leggere in sicurezza? Poi cosa faccio, smonto tutto? Chiudo? Possibile che io possa fare eventi, chiamare un mago… ma non posso lasciare nulla? Questo significa che gli strumenti operativi, dal punto di vista formale, non sono adeguati allo spirito del bando», annota Pertichini. Per di più è un bando “a sportello”, chi primo arriva, prende i soldi: «le realtà più strutturate per la progettazione, che hanno progetti praticamente sempre pronti vanno e fanno, ma questo non ha nulla a che fare con la progettazione territoriale». E comunque «un ente locale può stare solo su una rete, il che significa che un Comune grande come Milano dovrà scegliere l’unico municipio per cui presentare un progetto, uno soltanto. E i bambini delle altre zone?».

Il bando EduCare è una promessa non mantenuta. L’idea è eccezionale, ma poi è venuto fuori un bando riadattato al post Covid, che prevede attività per sei mesi, ma che non lascia niente. Significa che gli strumenti operativi, dal punto di vista formale, non sono adeguati allo spirito del bando. Per di più chi primo arriva prende i soldi: questo non ha nulla a che fare con la progettazione territoriale

Yuri Pertichini

Problemi Pertichini li vede anche con i 135 milioni (150, di cui 15 vincolati al contrasto delle povertà educativa) per i centri estivi. «Non sono state stabilite cose importanti, come il fatto della coprogettazione e sappiamo tutti che gli enti locali la coprogettazione – nonostante la recente sentenza sull’articolo 55 – tendono a non farla. In secondo luogo non sono state definite le linee guida per la spesa. Così tutti sono bloccati, in attesa che qualcuno indichi dei criteri, perché non si sa come spendere questi denari. Io non ho notizia di assegnazione alcuna e siamo al 10 luglio. È un vero peccato, tutti stiamo provando a costruire opportunità per i ragazzi, ma la fase applicativa in questo momento di emergenza deve andare veloce, è parte del processo, non può essere trascurata. È un peccato che non ci siano strumenti applicativi all’altezza dell’intenzione politica che c’era».

Muoversi però non è del tutto impossibile, forse. Da Bergamo, l’assessore Loredana Poli racconta di una delibera fatta già a giugno, dopo la prima settimana di partenza dei Centri estivi, «con i criteri per l’utilizzo dei fondi, secondo le indicazioni contenute nel decreto. Abbiamo chiesto ai gestori di applicare una quota settimanale non superiore ai 250 euro, pensando alla cifra più alta che è per i bambini di età da scuola dell’infanzia, mentre per le famiglie abbiamo fissato un Isee di 25mila euro, anche tramite autocertificazione: la famiglia pagherà 45 euro in meno a settimana per i bambini fra i 3 e i 5 anni, 35 in meno per l’età della primaria e 25 in meno per l’età della secondaria di primo grado. Il Comune integra delle quote al gestore. Non vedo particolari problemi nella rendicontazione e non mi pare ci sia da spaventarsi, le finalità sono chiare e stabilire dei criteri fa parte dei nostri compiti».

Che cosa serve allora? Forse un po' di coraggio, i bambini se lo meritano. E che il ministero solleciti i Comuni, chiarisca quel che serve chiarire e si proceda. Magari, ecco, senza aggiungere altre FAQ.

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