Welfare
Anziani non autosufficienti cercano politici ambiziosi
L’emergenza Covid-19 ha prepotentemente fatto esplodere l’attenzione sull’assistenza agli anziani non autosufficienti. L’aumento dei finanziamenti dedicati, una chimera sino a pochi mesi fa, pare oggi assai probabile. Mancano, però, sia un progetto sul futuro del settore sia forze politiche intenzionate a spendersi in questa partita. L'invito di Cristiano Gori: «Politici ambiziosi, fatevi avanti»
«C’è voluto un evento imponderabile e drammatico come il Covid-19 per portare l’attenzione della politica sull’assistenza agli anziani non autosufficienti. Ora si presenta, inaspettata, la tanto attesa occasione di migliorare il sistema: purtroppo, però, rischiamo di non coglierla». È preoccupato Cristiano Gori, che insegna politica sociale all’Università di Trento e da molti anni si occupa del tema. Cita una frase celebre di Rahm Emanuel, stretto collaboratore di Obama alla Casa Bianca, riferita allo sconquasso dell’economia mondiale nel 2008: «Quando disse “Non possiamo permetterci di sprecare una crisi come questa, è un’opportunità di fare cose che prima non si pensava di poter realizzare» certamente non pensava all’assistenza agli anziani in Italia. Eppure, è difficile trovare una sintesi più calzante dello spirito che ci è oggi richiesto», continua Gori, che è anche coordinatore del Network Non Autosufficienza (NNA), che fin dal 2009 pubblica rapporti sulle politiche di Long-Term Care in Italia ed è direttore della rivista online “I Luoghi della Cura".
In che modo il Covid-19 ha modificato lo scenario politico?
L’assistenza agli anziani non autosufficienti è tornata ad essere un tema di rilievo. È una grossa novità, perché se nel primo decennio degli anni 2000 si è molto discusso di una sua riforma nazionale (purtroppo senza realizzarla), dopo la crisi economica iniziata nel 2008 le priorità in materia di innovazione del sistema di welfare sono state disoccupazione e povertà, coerentemente con lo scenario economico sempre più complesso che si è materializzato. Per un decennio abbondante la politica nazionale si è sostanzialmente disinteressata dell’assistenza agli anziani. Con il Covid-19, l’argomento ha inaspettatamente riacquistato centralità. Questo è il punto di partenza.
Oggi invece l’assistenza agli anziani non autosufficienti torna nell’agenda politica nazionale. Anche con più fondi.
Il decreto Rilancio di maggio sostanzialmente raddoppia i fondi destinati all’Assistenza domiciliare integrata (Adi) di titolarità delle Asl, aggiungendo 734 milioni di euro per il 2020, rispetto ad una spesa annua complessiva di 1,5 miliardi. Molto probabilmente questo incremento di fondi, previsto intanto per l’anno in corso, sarà reso strutturale. Poi l’Italia alla fine credo aderirà al Mes, e quindi vi saranno 36 miliardi per la sanità ed è ragionevole attendersi che una parte non trascurabile di queste risorse andranno agli anziani non autosufficienti. In generale, l’impressione è che stiamo entrando in una fase segnata da una crescita delle risorse destinate al settore. Si tratta però di un settore che ha un grande bisogno di progettualità oltre che di investimenti.
Perché lei afferma che però i soldi non bastano e che c’è bisogno di progettualità?
L’esempio della domiciliarità lo fa capire molto bene, credo. Pure in uno scenario segnato da notevole eterogeneità territoriale, alcune problematiche sono piuttosto diffuse. Innanzitutto, l’Adi è concentrata esclusivamente sull’erogazione di specifiche prestazioni infermieristico-mediche, interventi per il soddisfacimento di determinate necessità sanitarie, sovente in assenza di una risposta più articolata alle varie esigenze causate dalla non autosufficienza dell’anziano, che – come chiunque sia stato coinvolto sa – sono ben più ampie ed articolate. Inoltre, nei servizi domiciliari comunali è diffusa la considerazione del disagio socio-economico quale criterio per ottenerli. Perlopiù la non autosufficienza non basta per poterli ricevere: sono utilizzati, invece, soprattutto per rispondere a situazioni la cui complessità non dipende solo da questa condizione ma anche dalla presenza di problematiche dell’anziano legate a reti familiari carenti e ridotte risorse economiche. Se mettiamo insieme questi due aspetti, la logica clinico-sanitaria di un servizio e quella socio-assistenziale dell’altro, cogliamo l’assenza di una centratura sulla non autosufficienza e le molteplici esigenze ad essa correlate. Infine, non possiamo non citare il debole riconoscimento della demenza: negli ultimi 15 anni il profilo degli anziani non autosufficienti è andato sempre più in quella direzione, ma al di là delle sperimentazioni e degli sforzi di alcuni territori, adeguate risposte ancora mancano.
Quindi se i soldi verranno spesi per replicare le risposte attuali, non abbiamo risolto il problema.
Se l’esito della rinnovata attenzione tributata ai servizi domiciliari consisterà nel reiterare fedelmente ma su più ampia scala, grazie ai maggiori finanziamenti, le criticità attualmente esistenti, sicuramente un maggior numero di anziani verrà seguito a casa propria ma, altrettanto certamente, si sarà persa un’occasione fondamentale per rendere più adeguate le risposte ai loro bisogni. Questo ragionamento vale per tutto il settore del Long-Term Care.
Se l’esito della rinnovata attenzione tributata ai servizi domiciliari consisterà nel reiterare fedelmente ma su più ampia scala, grazie ai maggiori finanziamenti, le criticità attualmente esistenti si sarà persa un’occasione fondamentale per rendere più adeguate le risposte ai loro bisogni.
Cristiano Gori
Alcuni ritengono che vi sia stato, negli anni scorsi, un eccessivo investimento sulla residenzialità…
Chi sostiene questo punto di vista non si rende conto della realtà. I concittadini anziani ricorrono alle residenze quando le condizioni di salute richiedono cure qualificate sul piano clinico e assistenziale, che non possono essere prestate in maniera adeguata a casa. Qualche decennio fa le cose andavano diversamente, ma oggi sono molto pochi gli ospiti che potrebbero restare a nella loro abitazione ricevendo gli interventi ai quali hanno diritto. È certo, quindi, che occorra investire maggiormente su soluzioni domiciliari e intermedie, ma questo sforzo dev’essere aggiuntivo e non alternativo a quello per la residenzialità. Aderendo alla posizione qui illustrata si rischia, invece, di svilire l’importanza di mettere a disposizione degli anziani assistenza residenziale di qualità.
È certo che occorra investire maggiormente su soluzioni domiciliari e intermedie, ma questo sforzo dev’essere aggiuntivo e non alternativo a quello per la residenzialità
Cristiano Gori
In poche parole, quali sono i suoi timori, oggi, a dispetto delle maggiori risorse?
Che la rilegittimazione delle politiche pubbliche sulla non autosufficienza non sia accompagnata da una nuova progettualità. Se così sarà, non si farà altro che riprodurre gli errori del sistema odierno su una scala maggiore e la non autosufficienza continuerà di fatto a rimanere senza risposte adeguate, a dispetto del maggiore investimento. Peraltro, solo una volta in passato lo Stato italiano ha definito un proprio progetto per questo ambito: era il 1992, con il “Progetto obiettivo anziani” nazionale. Dopo quasi vent’anni, penso sia il momento di disegnare un nuovo progetto.
La prima forza politica che deciderà di compiere una vera battaglia sul tema, spingendo per uno sforzo riformatore degno di questo nome, incrementerà il suo consenso. Provate a pensare quando, ormai dieci anni fa, il neonato Movimento Cinque Stelle ha iniziato a battere sul contrasto della povertà…
Cristiano Gori
E la politica?
La maggiore attenzione agli anziani non è stata figlia dello sforzo di qualche attore politico, bensì di circostanze esterne, quelle della pandemia. In questo momento, la riforma dell’assistenza agli anziani non autosufficienti non è tra le questioni prioritarie per nessuna forza politica. Ma in una simile situazione, anche in presenza di maggiori risorse, è difficile immaginare uno sforzo riformatore importante. Eppure, il tema della non autosufficienza degli anziani ha una rilevanza sociale fortissima. Io sono convinto che la prima forza politica che deciderà di compiere una vera battaglia sul tema, spingendo per uno sforzo riformatore degno di questo nome, non farà bene solo al welfare italiano ma farà bene anche a se stessa: essere riconosciuto come l’attore che per primo spinge l’interesse politico verso un tema così importante per la società italiana incrementerà il suo consenso. Provate a pensare quando, ormai dieci anni fa, il neonato Movimento Cinque Stelle ha iniziato a battere sul contrasto della povertà. Allora sembrava una battaglia di nicchia, e invece è diventato un tema cruciale per l’ascesa del Movimento, qualunque cosa si pensi del Reddito di Cittadinanza. Essere i primi ad intestarsi una questione molto presente nella società ma poco sentita dal palazzo, produce sempre grandi vantaggi. Politici ambiziosi, fatevi avanti.
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