Mondo
Bilal, che dalla nave quarantena voleva raggiungere a nuoto l’Europa
Si chiamava Bilal e aveva 22 anni il ragazzo tunisino morto dopo essersi gettato dalla Moby Zaza il 20 maggio scorso. I familiari pronti ad agire per vie legali vogliono capire cosa è successo e chiedono che la salma sia riportata in patria.
Da quando mamma non c’era più, Bilal coltivava sin da piccolo il sogno di raggiungere l’Europa e diventare un abile marinaio. Ma quella promessa è stata spezzata nel tratto di mare antistante le coste di Agrigento, dove la mattina di mercoledì 20 maggio Bilal si è gettato dalla Moby Zaza, la grande nave passeggeri predisposta dal governo italiano per la quarantena dei migranti.
Sui momenti che precedono la morte di Bilal sappiamo ancora poco, se non che la sua cabina fu trovata sottosopra dagli operatori della Croce Rossa e il suo corpo ritrovato dai sommozzatori della Guardia Costiera che quella mattina del 20 maggio hanno portato il corpo nel molo del porto di Porto Empedocle. Il giorno successivo alla morte del ragazzo ci furono proteste a bordo e 14 ragazzi tunisini furono lasciati sbarcare per evitare altre tensioni all’interno della nave.
Oggi Bilal ha un volto e una storia da raccontare grazie alla ricostruzione di Borderline Sicilia che con l’associazione Terre Pour Tous si sono messi in contatto con i familiari del ragazzo. «Vogliamo capire cosa è successo, perché Bilal non c’è più», chiede la sorella quanto mai provata dal dolore. I familiari hanno appreso della morte del ragazzo attraverso dei connazionali tunisini che erano partiti con lui. Adesso sperano di riportare il corpo in patria, ma prima vogliono capire perché Bilal è morto e sono pronti ad agire per vie legali.
Bilal prima di salire a bordo della nave quarantena era già sbarcato a terra, autonomamente così come avviene per tanti altri connazionali che con barchini di legno arrivano sull’isola. Solo ieri, il 2 giugno, a Lampedusa sono arrivati 77 migranti partiti da Zuara in Libia e 55 da Sfax, la stessa località da dove era partito Bilal, il ragazzo di soli 22 anni che nonostante la famiglia numerosa di sei persona, si era fatto le ossa da solo nella povertà dei sobborghi di Sidi Mansour. Bilal voleva raggiungere l’Europa «perché questo paese non permette ai noi giovani di realizzarci o di studiare» aggiunge la sorella che oggi piange il fratello.
Cosa fa VITA?
Da 30 anni VITA è la testata di riferimento dell’innovazione sociale, dell’attivismo civico e del Terzo settore. Siamo un’impresa sociale senza scopo di lucro: raccontiamo storie, promuoviamo campagne, interpelliamo le imprese, la politica e le istituzioni per promuovere i valori dell’interesse generale e del bene comune. Se riusciamo a farlo è grazie a chi decide di sostenerci.