Welfare

Davanti a un malato siamo tutti a disagio? 100mila studenti allenano l’empatia

È partito in piena emergenza Covid-19 il nuovo progetto di Fondazione Mondo Digitale, "Fattore J". Realizzato in collaborazione con Janssen Italia e otto associazioni di pazienti, è il primo percorso per la scuola italiana che aiuta i giovani a sviluppare intelligenza emotiva, rispetto ed empatia verso le persone affette da malattie. Obiettivo: formare 100mila studenti

di Sara De Carli

«La malattia mi fa paura, mi mette a disagio, mi blocca, sento come se si alzasse un muro. Non saprei come gestire le emozioni, se capitasse a qualcuno che mi è caro. In queste settimane, per esempio, ho tanta paura per i miei nonni. La testimonianza di Leonardo ci è rimasta dentro. Cosa farei di diverso, dopo averlo sentito? Ascoltare, ascoltare tantissimo. Lui ci ha detto che quando gli è stata diagnosticata l’ipertensione polmonare, tutti gli amici di prima sono spariti, gliene è rimasta solo una. E lei lo ha ascoltato». A parlare così è Miranda. Ha 17 anni, frequenta il terzo anno al liceo delle scienze umane del polo liceale di Imola. Insieme alla sua classe partecipa a “Fattore J”, il primo percorso di formazione per la scuola italiana che aiuta i giovani a sviluppare intelligenza emotiva, rispetto ed empatia verso le persone affette da malattie.

Il progetto, promosso da Fondazione Mondo Digitale in collaborazione con Janssen Italia, ha debuttato in pieno lockdown, coinvolgendo già oltre mille ragazzi: l’obiettivo è arrivare a 100mila studenti formati fra il 2020 e il 2021. Questa mattina, un evento live – in streaming su ansa.it – coinvolgerà comunità educanti, istituzioni, stampa, con la ministra Lucia Azzolina ed esperti dell’Istituto Superiore di Sanità, del mondo della scienza e della comunicazione scientifica che risponderanno alle domande dei ragazzi. Il punto di forza di “Fattore J” è il connubio fra medici e scienziati, che guideranno i ragazzi alla comprensione scientifica dei modi per prevenire e affrontare alcune patologie – dall’ematologia, all’immunologia, alle neuroscienze – e l’esperienza delle associazioni dei pazienti, che li aiuteranno a cogliere la dimensione più personale e intima della malattia e a sviluppare la loro intelligenza emotiva. Hanno aderito al progetto otto associazioni di pazienti: Associazione Italiana contro Leucemie, Linfomi e Mieloma (AIL), Associazione Ipertensione Polmonare Italiana Onlus (AIPI), Associazione Malati Reumatici del Piemonte (AMaR), Associazione Nazionale per le Malattie Infiammatorie Croniche dell'Intestino (AMICI Onlus), Associazione Nazionale Amici per la Pelle (ANAP Onlus), Associazione Psoriasici Italiani Amici della Fondazione Corazza (APIAFCO), Network Persone Sieropositive (NPS Italia Onlus) e Progetto Itaca Onlus.

«A livello teorico, facendo psicologia, avevamo affrontato il tema dell’intelligenza emotiva e dell’empatia», prosegue Miranda, «ma l’esperienza di Leonardo ci ha emozionato molto perché ci ha parlato in modo semplice, vicino a noi: lui ha avuto a 17 anni la diagnosi di una malattia da cui non si guarisce mai, ha raccontato di come ha gestito la cosa con i compagni, tutti abbiamo pensato come sarebbe se capitasse a noi».

Silvia Mattioli invece è professoressa del Liceo Calini di Brescia, una delle città più segnate dall’emergenza Coronavirus. «Fra studenti e docenti c’è chi ha perso il nonno, chi il marito. Abbiamo vissuto tutti uno stress importante. Abbiamo aderito al progetto con lo spirito di valorizzare il protagonismo degli studenti, per dare loro gli elementi per essere di aiuto ai compagni senza essere schiacciati da pesi più grandi di loro. Visto il momento, non abbiamo optato per la partecipazione di classi intere: abbiamo invitato un gruppo ristretto di studenti delle classi quinte, alcuni fanno parte del gruppo di lavoro inclusione, altri sono rappresentanti del consiglio di istituto, il direttore del giornale della scuola», racconta. Hanno partecipato a un webinar animato da Progetto Itaca, una onlus che promuove programmi di informazione, prevenzione, supporto e riabilitazione per persone con disturbi della salute mentale e per i loro familiari. «Si è parlato anche degli effetti della quarantena, come paura, stress, ansia, depressione. Sono stati dati gli strumenti per interpretare meglio quello che ci accade, senza pensare di essere tutti ammalati da punto di vista psichico, i ragazzi sono stati molto contenti».

A spiegare il senso profondo del progetto “Fattore J” è Massimo Scaccabarozzi, presidente e amministratore delegato di Janssen Italia: «Il percorso vuole essere un aiuto ai giovani, cercando di aiutarli a sviluppare l’intelligenza emotiva nei confronti delle persone malate, perché lo stigma della malattia spesso esiste ancora. Così facendo, faremo qualcosa di positivo per tutte le persone che soffrono, perché spesso noi guardiamo il viso di una persona ma non sappiamo cosa c’è dietro: spesso c’è una malattia, un problema…I ragazzi, per l’età che hanno, spesso si sentono invulnerabili, come se la malattia non potesse sfiorarli: incontrare, anche solo virtualmente, persone che hanno fatto l’esperienza della malattia non può lasciare indifferenti, aiuta i ragazzi a sviluppare un profondo rispetto». D’altra parte significa dare ai ragazzi le chiavi per capire meglio se stessi e il momento storico che stiamo vivendo: «Con la salute non si scherza, nessuno è padrone del mondo. Tutto il mondo scientifico sta lavorando per sviluppare un vaccino, anche noi siamo impegnati su questo fronte, ma i ragazzi devono innanzitutto capire che per il momento il vaccino siamo noi».

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