Famiglia
Un alunno con disabilità su tre è escluso dalla Didattica a Distanza
Dario Ianes presenta i dati di un questionario su DaD e inclusione scolastica, cui hanno risposto 3.170 insegnanti. Il 51% vede peggioramenti comportamentali nei propri alunni e il 62% negli apprendimenti. «La scuola di prima si è rotta. Invece di aggiustarla, prediamo i pezzi e facciamo un'altra cosa: non più un vaso, ma un mosaico», dice Ianes. Per esempio? «Rotta la classe, ripensiamo tutto sulle cordate: micro-gruppi di 3-4 ragazzi, chiamati alla corresponsabilità gli uni degli altri»
Un alunno con disabilità su tre è di fatto escluso dalla Didattica a Distanza: o perché si è rivelata inefficace (26,2%) o perché la DaD non era nemmeno ipotizzabile (10,3%). Gli altri sono ben integrati nelle pratiche di DaD (nel 44% dei casi), oppure assistiti con DaD individualizzata (19%).
Più della metà dei docenti è dell’idea che i propri alunni con disabilità stiano peggiorando in termini comportamentali, ma soprattutto di autonomia, apprendimento e comunicazione. Quello che l’esperienza, gli aneddoti, le testimonianze avevano già documentato, ha ora il peso specifico di una fotografia ad ampio raggio, fatta di 3.170 questionari: l’inclusione scolastica, con la Didattica a Distanza, ha avuto uno stop.
Sono questi i dati sintetici emersi dalle risposte al Questionario DAD e inclusione scolastica alunni/e con disabilità, realizzato dal 7/4 al 15/04/2020 dall’Università di Bolzano, l’Università LUMSA, l’Università di Trento e Fondazione Agnelli. Un’indagine online rivolta ai docenti delle scuole italiane con l’obiettivo di far emergere le difficoltà incontrate dagli allievi con disabilità a lavorare in modalità di Didattica a Distanza (DaD).
«3.170 questionari sono una risposta molto forte», dice Dario Ianes, Professore di Pedagogia e Didattica Speciale all'Università di Bolzano e co-fondatore del Centro Studi Erickson di Trento. La quasi totalità dei rispondenti (9 su 10) lavora presso scuole o enti di formazione regionale (IeFP) che hanno attivato la DaD in modo sistematico. Il campione, pur essendo auto-selezionato, è molto buono: ci sono tutte le scuole, dall’infanzia alla secondaria di secondo grado, su tutte le regioni. L’84% dei rispondenti è insegnante di sostegno: questo la dice lunga su quanto gli insegnanti curricolari si sentano “tirati in causa” dall’inclusione. Il 56% ha specializzazione e il 27% senza, un vecchio tema», esordisce Ianes.
Il primo tema è quello cruciale: ci sono alunni con disabilità che con la DaD sono scomparsi dal radar della scuola? Il 36% delle risposte ammette che sì, qualche alunno è sparito, mentre il 44% partecipa con successo alla DaD della classe e il 19% ha una DaD individualizzata. Esistono famiglie con figli con disabilità che non hanno possibilità di fruire della DaD? Sì, il 50% degli insegnanti ne è a conoscenza. In un buon 20% di classi non vengono messi a disposizione materiali digitali utilizzabili direttamente o con adattamenti dagli alunni/e con disabilità: quando lo si fa, è l’insegnante di sostegno a farsi carico dell’adattamento (92% dei casi), mentre solo in un caso su 4 l’insegnante curricolare predispone materiali inclusivi. Più della metà dei docenti è dell’idea che i propri alunni con disabilità stiano peggiorando in termini comportamentali (51%), ma soprattutto di autonomia, apprendimento e comunicazione (62%).
«I dati indicano chiaramente che gli alunni/e con disabilità stanno pagando un prezzo molto alto rispetto al loro sviluppo negli apprendimenti e nel loro benessere psicologico e comportamentale. D’altra parte, confermano i ben noti meccanismi di delega. Si segnala che solo in un piccolissimo 1% i compagni di classe sono coinvolti nell`adattamento: un altro indicatore della delega al sostegno e della deresponsabilizzazione sistematica dei compagni di classe. Tant’è che per la metà delle risposte il coinvolgimento/vicinanza emotiva/aiuto dei compagni di classe non è soddisfacente», sottolinea Ianes.
Buono il quadro della collaborazione fra gli insegnanti e fra la scuola e la famiglia, mentre non ha funzionato la collaborazione fra gli insegnanti e gli specialisti esterni (psicologi, logopedisti, anche assistenti alla comunicazione e all’autonomia…), giudicato insoddisfacente dal 70% dei rispondenti. «La fotografia risale a un mese fa, oggi forse le cose sarebbero un po’ diverse», ammette il professore. E si sofferma proprio sui compagni di classe: il fatto che più della metà degli insegnanti dica che i compagni non sono coinvolti neanche emotivamente, ci ha fatto immaginare la proposta delle “cordate”: ossia l’idea di organizzare la classe in minigruppi di 3-4 compagni, con strutture di corresponsabilità, proprio come in una cordata in montagna, sia per il versante degli apprendimenti (io posso dare alla cordata un compito, costruire insieme qualcosa cose, fare tutoring, adattare i materiali) sia per quello relazionale… Ovviamente le cordate vanno costruite bene. Se pensate, possono diventare lo “scheletro” della classe. Possono essere anche contattati separatamente, per non fare quelle assurde videolezioni in 23 a cui tutti abbiamo assistito».
Queste micro-strutture serviranno – dice Ianes – anche nell’extra scuola: «Perché se a settembre, come sembra, si va verso un mix di lezione in presenza e online, è chiaro che l’online va presidiato molto bene anche socialmente». Ianes vede il momento presente come un’opportunità: «Si sono rotti tutti i modi tradizionali del fare scuola. A saperla cogliere c’è un’occasione epocale per introdurre qualcosa di novo: si rompe la classe ma puoi fare la cordata, si rompe l'aula e puoi trovare spazi inaspettati, la lezione frontale si è palesata come ridicola, va rivisto l’orario, perchè non si può gestire un cambio d’ora ogni 50 minuti, sarebbe un impazzimento…», accenna.
Dal punto di vista dell’inclusione, parole a parte, cosa serve adesso? «Dell’inclusione ma non solo. Serve avere coraggio. Pensare una scuola molto più flessibile. Sfruttare tutte le rotture, invece di restare nella prospettiva di aggiustare ciò che si è rotto. Si è rotto il vaso? Prendiamo i cocci e invece di rabberciare un vaso rotto, uniamoli in maniera creativa e facciamo un mosaico. Bisogna vedere se prevarrà la spinta conservativa o se si riuscirà con un po’ di coraggio e inventiva a trovare soluzioni nuove. Qualcosa si è messo in moto, ci sono tante proposte e idee… speriamo che la scuola nella sua rigidità non si accontenti delle soluzioni di minima per attraversare i mesi necessari a tornare “quella di prima”».
Photo by Giulia May on Unsplash
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