Cultura

La sanità è in mano agli amministrativi. E alla prossima emergenza rischiamo di essere daccapo

«Se dobbiamo continuare a tenere magazzini con un mese, massimo due di scorta, è chiaro che alla prossima emergenza ci ritroveremo daccapo», dice Massimo Di Muzio, responsabile dei DPI per il Gruppo Operativo Regionale per le Emergenze Sanitarie della Regione Marche. Da quando è scoppiata l'emergenza, dorme in ospedale: oggi è il terzo giorno in due mesi che passa a casa

di Sara De Carli

È il terzo giorno, forse il quarto che il dottor Di Muzio torna a casa, da quando è scoppiata l’emergenza Covid19. Il Primo maggio, Pasqua, l’altro non lo ricorda nemmeno. Dorme in ospedale, insieme a un collega specializzando per evitare di contagiare i familiari ma anche perché «non mi chieda il motivo, ma i camion con i DPI della Protezione Civile arrivano sempre di notte». Un camion è arrivato anche oggi pomeriggio, non ci sono feste. Laurea in farmacia, specializzazione in tossicologia, esperto di materie NBCR – cioè di rischi e scenari di emergenza Nucleare Biologico Chimico Radiologico – Massimo Di Muzio è direttore della UO Farmacia Clinica dell’Istituto Nazionale Riposo e Cura Anziani di Ancona, un IRCCS che ha sedi in più regioni d’Italia. Insegna all’Università ed è membro del GORES – Gruppo Operativo Regionale per le Emergenze Sanitarie della Regione Marche, per cui è responsabile dei Dispositivi di Protezione Individuale.

«Tornando a casa, a Tolentino, oggi ho visto un manifesto bellissimo del Comune per celebrare il 1° Maggio. È la gigantografia del viso di una donna anziana e dedica il 1° Maggio a chi con il suo lavoro ha fatto grande l’Italia e che oggi per il Coronavirus ci sta lasciando nel silenzio», racconta. E per contrappasso, il pensiero gli corre alla vicenda di Vercelli, appena sentita in tv, in cui alcuni familiari di vittime anziane di una casa di riposo hanno denunciato che il personale del 118 locale avrebbe risposto “al momento abbiamo solo un posto letto disponibile, e sarebbe meglio lasciarlo libero ad un paziente giovane, piuttosto che ad una persona con poche speranze di sopravvivenza”.

«L’anziano ha lo stesso diritto di cura di un giovane. Il triage deve essere fatto sull’appropriatezza clinica non sull’età anagrafica o su altre caratteristiche, ad esempio la disabilità», afferma deciso. All’INRCA di Ancona – che è un Istituto di Ricerca a Carattere Scientifico (IRCCS) non una RSA, con circa 200 posti letto – tutti i pazienti sono anziani, «dai 67/70 anni fino agli old old man». Sono stati aperti 5 reparti Covid, nella sede di Ancona: «un ospedale Covid-free è probabilmente un controsenso, non potendo garantire in assoluto l’assenza del virus», dice Di Muzio. Ci sono una cinquantina di pazienti ancora in cura, due reparti sono stati chiusi. Il peggio sembrerebbe passato. «Ci sono stati decessi, ma non con quelle percentuali che abbiamo letto in altre regioni o nelle RSA. Sono anziani ma sono stati curati, con successo, nei limiti delle condizioni. L’eparina ha dato buoni risultati e anche il trattamento con idrossiclorochina con azitromicina. Ho visto buone risposte», spiega.

Quanto ai DPI, «adesso la situazione comincia ad essere tranquilla. Dopo un inizio molto difficile se non drammatico. Oggi c’è una routinarietà negli arrivi. Il materiale però arriva per il 90% dalla Cina, quindi giocoforza non ha la marcatura CE. Questo sta creando diversi problemi agli ospedali. «Eppure nei piani pandemici che ogni regione dovrebbe avere sono obbligatorie scorte di farmaci antiretrovirali e di DPI», dice Di Muzio. Le scorte evidentemente nessuno le aveva. «Il problema più grande della sanità italiana è che abbiamo lasciato che a prendere le decisioni fosse il settore ammnistrativo… La carenza dei DPI, ad esempio, è anche una conseguenza dell’obbligo di acquistare tali prodotti in gara e basandosi su dati storici degli anni precedenti! Ma come è possibile avere tali statistiche in assenza di precedenti epidemie? Noi siamo stati fortunati perché, avendo come GORES partecipato alla valutazione dei DPI per l’Ebola e avendone richiesto l’approvvigionamento, nei primi giorni abbiamo usato quelli. Una collega di un altro ospedale mi ha confessato che non avendo le FFP3 ha lavorato inserendo un salvaslip dentro la FFP2. Per acquistare il gel idroalcolico – se lo ricorda che problema fu all’inizio averlo – ho dovuto discutere con chi voleva aspettare ad acquistarlo per vedere se il prezzo scendeva di qualche centesimo. Anche in questo momento, per 3mila euro di filtranti facciali devo fare una richiesta di offerta sul MEPA: per 3.000 euro, chi vuole che mi risponda?».

Da lunedì 4 maggio non passerà magicamente tutto. «Dobbiamo imparare a convivere con il Coronavirus ma anche con altre emergenze del genere, che vuol dire mettersi nell’ordine delle idee che è necessario avere scorte di DPI, anche se potrebbero scadere se non utilizzate. Se dobbiamo continuare a tenere magazzini con un mese, massimo due di scorta, è chiaro che alla prossima emergenza ci ritroveremo daccapo. Non ha senso: ad esempio i farmaci hanno validità che varia da 3 a 5 anni. Non è così eccezionale che capiti che un farmaco diventi carente e spesso non sappiamo come garantire la terapia ai pazienti perché dobbiamo avere solo un mese o due di scorta per tenere basso il valore del magazzino. Ma un farmaco non è un bullone».

Quale lezione dovremmo aver imparato? «Spero che si rivedano i piani pandemici e che si comprenda la necessità di aumentare le scorte. Mi auguro che tutto questo serva a cambiare la mentalità, dal ministro in giù».

Foto Sintesi

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