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Centri diurni, le associazioni chiedono un tavolo a Regione Lombardia

«Occorre pensare e progettare con urgenza una “Fase 2” che sia efficace e rispettosa dei diritti della salute di tutti i soggetti coinvolti: persone con disabilità, familiari, operatori. La risposta non può e non deve essere la semplice riapertura dei servizi», spiegano le associazioni

di Redazione

L'articolo 8 del DPCM 26 aprile 2020 stabilisce progressive aperture dopo la prima, più rigida, fase di contenimento del Covid19. È prevista la possibilità di riattivare «le attività sociali e socio-sanitarie erogate dietro autorizzazione o in convenzione, comprese quelle erogate all’interno o da parte di centri semiresidenziali per persone con disabilità, qualunque sia la loro denominazione, a carattere socio-assistenziale, socio-educativo, polifunzionale, socio-occupazionale, sanitario e socio-sanitario». Questi servizi, precisa il DPCM, devono essere riattivati in base ai Piani territoriali adottati dalle Regioni, «assicurando attraverso eventuali specifici protocolli il rispetto delle disposizioni per la prevenzione dal contagio e la tutela della salute degli utenti e degli operatori».

Ecco che allora ACI Welfare Lombardia (Confcooperative e Legacoop), Anffas Lombardia, Ledha e Ceal hanno scritto a Regione Lombardia per chiedere un incontro in cui concordare le modalità di redazione dei Piani territoriali (anche con il coinvolgimento di Anci) per favorire la ripartenza dei servizi necessari a garantire risposte adeguate alle persone con disabilità e alle loro famiglie. L’assessore Gallera si è già impegnato a convocare per settimana prossima un gruppo di lavoro dedicato alle redazione del Piano: «abbiamo chiesto che siano coinvolte, oltre alle nostre realtà, anche la Direzione Generale Politiche sociali e Anci Lombardia», dichiara Valeria Negrini, portavoce del ForumTerzo Settore Lombardia.

Superata la "Fase 1" occorre «pensare e progettare con urgenza una “Fase 2” che sia efficace e rispettosa dei diritti della salute di tutti i soggetti coinvolti: persone con disabilità, familiari, operatori. La risposta non può e non deve essere la semplice riapertura dei servizi», spiegano le associazioni. L'obiettivo è quello di garantire interventi e servizi flessibili e personalizzati, capaci di tutelare la salute fisica e mentale e sostenere la migliore qualità della vita.

Tale riflessione non riguarda solo la disabilità, ma che deve allargare il proprio sguardo anche ad altri servizi semi-residenziali dell'area della salute mentale (adulti e minori) e dell'area delle dipendenze, come peraltro già previsto dalla Legge Regionale 15/2006.

Foto Unsplash

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