Politica
Ripartire dai bambini: non “quando” ma “come” riaprire nidi e scuole
La domanda. corretta non è "quando" riapriranno le scuole e i servizi per l'infanzia, ma il "come". Tre le parole chiave: sperimentazione, temporaneità; territorialità. «L’aspetto comune deve essere costituito da una prospettiva pubblica, integrata e coordinata, da non confondersi con l’improvvisazione. Ossia definire condizioni minime di sicurezza, che regolamentino ogni sperimentazione»
di Vanna Iori
In queste giorni si sta aprendo un dibattito nel Paese su come articolare la fase 2 per i bambini e le famiglie. La domanda non riguarda il “se” e “quando” apriranno le scuole o i servizi all’infanzia, ma il “come”, poiché i tempi e gli spazi non potranno più essere realizzati come prima. Le ragioni sanitarie indicano l’impossibilità di riaprire le scuole: i bambini sono contagiosi e, spesso, asintomatici; il virus si diffonde con più facilità negli ambienti chiusi; le nostre scuole hanno un numero assai elevato di alunni per classe; abbiamo il corpo docente tra i più anziani d’Europa. L’Istituto Superiore di Sanità ha chiarito che una riapertura generalizzata delle scuole porterebbe il fattore R dei contagi da 0 a 1 in pochi giorni.
Ogni considerazione, è evidente, dovrà essere compatibile con le indicazioni sanitarie in merito al Covid-19, a cui qualunque proposta deve ovviamente essere subordinata. In questo senso, sarebbe opportuno che si procedesse con maggiore efficacia all’esame della popolazione attraverso un uso massiccio dei tamponi per tutti coloro che operano con bambini.
Non sarà facile trovare risposte che rispondano alla sicurezza sanitaria senza sminuire il diritto allo studio, soprattutto nelle fasce di età più basse. È importante una proposta che consenta di far partire il prossimo anno scolastico in sicurezza. Ma nel frattempo molti genitori stanno tornando al lavoro ed è necessario trovare soluzioni educative e di sostegno alla genitorialità, già ora, nel periodo che precede e prepara la riapertura.
Quali opportunità dunque per i bambini e le famiglie in questa fase di emergenza? Per capire cosa sarà possibile fare è indispensabile definire un quadro complessivo entro cui andrebbero predisposti tutti gli interventi possibili. Cercherò qui di indicare alcuni elementi a supporto delle successivi indicazioni concrete.
Sperimentazione. Le soluzioni simili a quelle che conosciamo non bastano più, il “noto” ora non è praticabile, ma può valere come orientamento per identificare le priorità e le condizioni di senso nel definire le proposte per i bambini. Per questo ognuna di esse dovrà avere esplicitamente carattere consapevolmente sperimentale, nella situazione emergenziale.
Temporaneità. L’esperienza non va respinta ma può e deve essere rimodulata in funzione dell’attuale situazione eccezionale, forse destinata a durare e modificarsi ulteriormente. Le scelte che verranno messe in campo in questo periodo dovrebbero essere considerate perciò con carattere temporaneo. Ogni esperienza potrà costituire oggetto di riflessioni per eventuali progettazioni future da mettere a sistema, ma non potrà essere considerata definitiva.
Territorialità. In questo momento la differenziazione su base territoriale non dovrebbe essere intesa come una deroga alle necessarie condizioni di omogeneità nazionale (peraltro i servizi per l’infanzia sono molto disomogenei anche in condizioni non di emergenza), ma come un’occasione per favorire riprese là dove è possibile, differenziando scelte, proposte e investimenti sulla base delle diverse situazioni e risorse locali. La costruzione della comunità educante delle reti territoriali tra i vari servizi educativi implica il coinvolgimento in primis dei Comuni, delle Regioni, del Terzo settore, degli spazi e delle competenze di cui ogni comunità è portatrice.
L’aspetto comune deve essere quindi costituito da una prospettiva pubblica, integrata e coordinata, da non confondersi con l’improvvisazione. Ossia definire condizioni minime di sicurezza, che regolamentino ogni sperimentazione. In tal senso, sarà fondamentale una condivisione generale di modalità e prassi, adattando i controlli e i criteri di funzionamento alla nuova, temporanea, situazione.
Potrebbe essere utile indicare alcune proposte a titolo esemplificativo, che concorrano a costruire linee guida e criteri, prefigurando nuovo opportunità.
In ogni decisione andrà salvaguardato l’equilibrio tra le necessità degli adulti (genitori lavoratori e non) e quelle di bambine e bambini.
Pensando alle famiglie, dovrebbero essere rafforzati gli interventi straordinari a sostegno ai genitori, con supporti differenziati in base a esigenze e disponibilità, quali congedi parentali o bonus babysitter o caregivers, ma anche ulteriori interventi a supporto dello smart working, rotazione, part time ecc. Sarebbe utile definire anche supporti alle famiglie più in difficoltà con interventi di educativa domiciliare e con interazioni a distanza per formare i genitori e affiancarli nella gestione dei figli piccoli.
Per quanto riguarda i bambini bisogna concentrarsi sull’elaborazione di proposte che prendano in considerazione solo gruppi molto piccoli, rivedendo in modo significativo i rapporti numerici per salvaguardare la fattibilità e la sicurezza. Serve personale specializzato affiancato da figure di educatori professionali, anche in collaborazione con figure del terzo settore o anche volontari, per favorire la compresenza di più adulti, là dove possibile. Si può immaginare di costituire gruppi di bambini di età eterogenee, sia perché sono un valore dal punto di vista educativo, sia perché in questo caso potrebbero essere uno degli elementi di sostenibilità, per gli educatori e per la sicurezza. In una fase intermedia occorre flessibilità anche nella composizione dei gruppi.
Serve inoltre ripensare una collocazione dello spazio fisico diffusa delle proposte sul territorio, su base di vicinanza, in stretta rete con i diversi soggetti attivi sul piano locale (comuni, scuole, biblioteche, oratori, palestre, spazi pubblici ecc. ), uscendo dai servizi di appartenenza e “portandoli” più vicini all’utenza. Questo potrebbe ridurre gli assembramenti all’interno di uno stesso servizio, abbassando la densità di popolazione, e contemporaneamente ridurrebbe gli spostamenti.
È poi necessario individuare soluzioni di socializzazione all’aperto, che con i più piccoli sono praticabili per alcuni momenti e in alcuni periodi, oltre che con personale in grado di sostenere un’esperienza educativa outdoor, sul modello danese.
Per quanto riguarda i nidi, si può immaginare una frequenza a rotazione (giorni o settimane alterne) o per turni distribuiti nell'arco della giornata (es. un gruppetto la mattina, un gruppetto il pomeriggio), in auspicabile corrispondenza con gli orari lavorativi dei genitori (anche il lavoro può forse riprendere con turnazioni che favoriscano il distanziamento) e con quelli del personale.
In questo quadro sarebbe necessario rafforzare il coordinamento pedagogico su base territoriale, che presìdi, funga da garante, sostenga gli educatori, monitori le sperimentazioni, promuova i raccordi tra servizi ed enti. Laddove soluzioni più “stabili”, ancorché non a tempo pieno, non fossero praticabili (e con i più piccoli, nel breve periodo, questo potrebbe essere molto diffuso) si possono pensare opportunità di utilizzo degli spazi pubblici, al chiuso o all’aperto, con figure di riferimento affiancate da personale educativo ad alleviare la quotidianità degli adulti familiari (ad esempio i Centri per le famiglie, ma in modalità ridotta e leggera).
Infine sarebbe utile, in questa fase di progettazione costituire un portale infanzia, utile per condividere sperimentazioni. In questo momento, è infatti urgente, affinchè la politica, di concerto con le risorse territoriali, elabori rapidamente una proposta fattibile e flessibile sull’infanzia, mostrando la disponibilità a lavorare su base territoriale e a far circolare le esperienze in corso.
Foto Unsplash
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