Cultura
Per l’estate dei bambini? Moltiplichiamo i luoghi dell’educazione
Alleanze diffuse sui territori: è questa l'unica via per immaginare spazi sicuri in cui bambini e ragazzi possano riprendere la loro vita. «Non è difficile da pensare. I bambini sanno seguire le regole, siamo noi che dobbiamo ipotizzare delle soluzioni sicure: chiuderli in casa è solo la via più semplice», dice Juri Pertichini di Arciragazzi. La prima proposta si chiama "Poli Bambini e Ragazzi"
Una piazzetta, un parco, un bosco, una spiaggia. Luoghi facilmente individuabili, all’aperto ma vicini a un luogo che abbia dei servizi igienici, raggiungibili a piedi, accessibile ai bambini e ragazzi con disabilità. Ogni paese o quartiere li ha. Quest’estate potrebbero diventare dei Poli Bambini e Ragazzi, il primo luogo per “riaprire i bambini”, dai 2 ai 18 anni. In questi spazi i soggetti attivi sul territorio – associazioni di genitori, enti di terzo settore, parrocchia, comitati cittadini… purché censiti e noti al Comune – proporranno a piccoli gruppi di bambini e ragazzi attività artistiche, motorie, di animazione, di gioco… garantendo personale adulto, rispettando le procedure e le norme di comportamento volte a ridurre rischi di contagio da COVID19 che potranno essere via via indicate. Per la fascia 0-6 anni gli spazi da privilegiare sono i nidi e le scuole dell’infanzia, non solo perché già attrezzate ma anche per riportare i piccoli nel posto che loro consideravano casa.
Saranno occasioni in cui sperimentare e allenarsi, già dal periodo estivo, a quelle nuove regole di prevenzione e sicurezza che saranno necessarie a settembre per il rientro a scuola. È una proposta che prende spunto da tante riflessioni, dalle esperienze di educazione diffusa, scuola aperte, centri estivi… per dare ai bambini e ai ragazzi l’opportunità di una estate in cui si riconoscano i loro diritti, firmata da Laura Baldassarre, Camillo Cantelli, Simonetta Cavalli, Giovanni D’Andrea, Lino D’Andrea, Lorenzo Improta, Liliana Leone, Juri Pertichini, Giovanna Zunino. Ne parliamo con Juri Pertichini, vicepresidente nazionale di Arciragazzi.
Come è nata la proposta?
Come spesso accade, dalle preoccupazioni e dai ragionamenti convidisi in questi giorni fra un po’ di persone, ciascuno portatore di una filiera. La proposta parte dall’estate ma vuole essere più generale.
Il punto di partenza qual è?
Purtroppo la constatazione che il Paese non riconosce l’esistenza di bambini e ragazzi come cittadini. Quando va bene sono alunni o figli, quando va male sono possibili untori. L’implicito è sempre che sono sempre persone inaffidabili, da controllare, non persone con cui allearsi e a cui spiegare le cose. Tutti discutono di riapertura e nessuno si è posto il problema di dove staranno i bambini, come se fossero un problema privato che non riguarda la società.
Adesso però il tema è caldissimo…
Il tema è cresciuto perché i genitori sono terrorizzati dalla riapertura del 4 maggio e si chiedono dove metteranno i figli. È qualcosa in più rispetto a prima, ma la logica è sempre la stessa. Se affrontiamo la questione con questo paradigma, le risposte vengono di conseguenza: un parcheggio per i bambini o la passeggiata, come con i cani… Le famiglie hanno giustamente una domanda enorme: che succede adesso? Dal 4 maggio alla fine della scuola? E in estate? È paradossale quello che si sente in queste ore: il sistema produttivo italiano si basa sulle baby sitter, per cui chi non ha la baby sitter non può andare a lavorare. Oppure, in alternativa, le donne restano a casa e i maschi vanno a lavorare. Un salto all’indietro di cento anni. L’assenza del tema diritti dei bambini come persone in quanto tali è eclatante. Deve cambiare il paradigma.
Chi deve essere l’interlocutore della domanda “che succede ora?”?
La risposta, dura, è che non si sa a chi porre la domanda. Lo Stato non ha una struttura tale per cui qualcuno possa e debba dare una risposta a questa domanda. Una ministra si occupa di scuola, una di famiglia, una di lavoro e via così. Ma dei “buchi” fra queste “aree” non se ne occupa nessuno. È chiaro che qui vengono al pettine nodi che si segnalano da sempre, che non c’è coordinamento tra soggetti che si occupano di infanzia: non c’è nessuno che ha il mandato e sia ingaggiato per dare una risposta alla grande questione che le famiglie pongono. L’unico che lo può fare immagino sia la Presidenza del Consiglio, cui spetta di vedere se ci sono “buchi” fra i vari pezzi di lavoro portati avanti dai diversi ministeri.
Quindi vi siete detti “da qualche parte partiamo”.
Esatto. L’estate è un punto di partenza. Sapendo che se vogliamo dare una risposta universale bisogna dare i soldi ai Comuni e fare rete, questo è il volano, non i bandi. Come era per la 285. Un progetto integrato con censimento dei luoghi, secondo linee guida date a livello centrale. Non è difficile da pensare. L’idea è di valorizzare le alleanze territoriali, di attivare il territorio rispetto alla possibilità di accogliere gruppi di bambini che si suppone – ma le linee guida non ci sono – dovranno essere piccoli e distanziati. L’unica possibilità è quella attivare il territorio diffuso, diversamente non ci si riesce e l’alternativa è tenere i bambini in casa. Valorizzare posti vicino a casa, i parchi, le parrocchie, i centri sportivi, i musei, le biblioteche, le fattorie didattiche… tutto. I poli sono qesto, puntelli sul territorio. Uno spazio associato a un’attività, organizzata dalle associazioni, dall’oratorio, dai nonni vigili, dal comitato genitori, da insegnanti volontari… Questo modello vale per l’estate ma anche per la scuola: perché non pensare che la scuola per un giorno alla settimana si faccia in un museo, in una fattoria… abbiamo uno spazio educante straordinario.
Da mamma, penso che sia necessario. Poi però mi chiedo: ci fosse domani, ce li manderei i miei figli?
Dobbiamo cambiare tutti prospettiva e abitudini. Non è passato tantissimo da quando sugli autobus c’erano le sputacchiere… Oggi quando incontriamo una persona per strada, entrambi ci spostiamo un po’: due mesi fa era scortese, adesso è normale. Perché non possiamo pensare che lo facciano anche i bambini? Sono abituati a rispettare le regole e lo fanno molto rigorosamente, se gliene spieghiamo il senso. Se vai in un ospedale pediatrico non è che i bambini, anche quelli che girano per i corridoio, sono tutti lì che si scambiano i fluidi… Un corollario del fatto che i bambini non esitano è che complessivamente noi non ci fidiamo di loro e quindi parte il paradigma del controllo e della segregazione. Un grande assente è una campagna informativa alla tv per i bambini, un cartone animato che spieghi le regole da rispettare. I bambini sanno seguire le regole, però siamo noi che dobbiamo ipotizzare delle soluzioni sicure: chiuderli in casa è solo la via più semplice. La stessa preoccupazione, però, varrà anche a settembre per la scuola. Immagino che le linee giuida che non ci sono dovranno assicurare che i volontari, gli educatori, gli operatori, glin insegnanti… siano tutti sottoposti a tampone. La risposta su questo deve venire dallo Stato.
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