Volontariato
Per riaprire le scuole? Nuovi arredi e zero didattica a distanza
Vo' Euganeo è stata la prima scuola d'Italia a chiudere. Oggi sta progettando la riapertura e il nuovo studio del prof Crisanti, che sottoporrà nuovamente a tampone tutti i 3mila abitanti, sarà utilissimo. Intanto però si parte da un'indagine fra i genitori. Due i nodi: il distanziamento e il fatto che il 30% delle famiglie non saprebbe a chi lasciare i figli. L'idea è quella di puntare sugli arredi, dimezzando le ore e le classi. Ma a scuola si deve tornare, in presenza: «la scuola è una relazione educativa, i bambini devono vedere il sorriso dell’altro»
«Rivedere gli spazi». «Orari precisi, possibilmente con una certa frequenza, in cui lavare le mani». «Ingressi, merenda e uscite scaglionati. Attività sportiva solo all'aperto». «Ridurre il numero dei bambini per classe, al massimo a 15». «Scuola solo la mattina, con mascherine». «Fare uno screening medico ai bambini prima di farli rientrare». «Tamponi agli insegnanti e personale scolastico una volta a settimana». «Agevolare per chi ne ha la possibilità l'esonero dalla mensa, principale fonte di possibile contagio». «Chiedere l'impegno dei genitori di non mandare a scuola i bambini che non stanno bene». «Organizzare gli spazi in maniera diversa, valutando eventuale utilizzo di altri edifici anche parrocchiali». «I bambini hanno già sofferto troppo in questo periodo, bisogna trovare un giusto compromesso tra la didattica, la salute collettiva e il sorriso dei bambini».
A Vo’ Euganeo per riorganizzare il rientro a scuola hanno coinvolto i genitori, con una indagine preliminare che ha raccolto non solo il “gradimento” attorno ad alcune ipotesi, ma ha soprattutto chiesto alle famiglie quali sono e sarebbero le loro principali difficoltà e quali le loro proposte. L’indagine preliminare accompagna un’altra iniziativa, annunciata ieri, che durerà sei mesi e che fa di Vo’ un luogo unico al mondo: uno studio a tappeto sulla popolazione, da 2 milioni di euro, guidato dal prof Crisanti, che sottoporrà di nuovo a tampone i circa 3mila abitanti di Vo’, unico gruppo al mondo ad essere già stato completamente testato due volte al momento in cui il focolaio è esploso e dopo 15 giorni di zona rossa. Un campionamento massiccio che aveva già permesso di capire che più del 43% dei positivi è asintomatico ma contagioso e che i bambini sono in larghissima parte risparmiati dalla malattia. I tamponi verranno fatti tra sabato 25 aprile e lunedì 27, nei locali della scuola. Il sindaco, Giuliano Martini parla di un’altra serie di tamponi, «per vedere se c’è qualche positivo, dopo la parziale riapertura delle attività commerciali», accompagnata da test sierologici «per verificare la presenza del titolo anticorpale» e da una «ricerca sul genoma per verificare il perché le persone reagiscono in modi così differente al contagio, nella speranza di capire i meccanismi che determinano questi diversi esiti». Sono tante le domande a cui dare risposta: «Perché ci sono persone che pur vivendo in una famiglia con 2-3 positivi non si positivizzano? Perché i bambini non si positivizzano, pur vivendo insieme a persone positive? Perché ci sono persone positive da ormai due mesi, che non si negativizzano? Quanto dura la copertura anticorpale? Sapere tutto questo è fondamentale pensando che a settembre la scuola riaprirà, per definire nel modo più dettagliato possibile i protocolli necessari per mandare a scuola i ragazzi in sicurezza», spiega il sindaco.
Perché ci sono persone che pur vivendo in una famiglia con 2-3 positivi non si positivizzano? Perché i bambini non si positivizzano, pur vivendo insieme a persone positive? Perché ci sono persone positive da ormai due mesi, che non si negativizzano? Quanto dura la copertura anticorpale? Sapere tutto questo è fondamentale pensando che a settembre la scuola riaprirà, per definire nel modo più dettagliato possibile i protocolli necessari per mandare a scuola i ragazzi in sicurezza
Giuliano Martini, sindaco di Vo’ Euganeo
La scuola intanto, in attesa di sapere le regole di sicurezza (3mq per alunno?), ipotizza scenari possibili. Perché un punto chiaro c’è: riaprire le scuole non può significare tornare nella scuola che conoscevamo prima, con gli stessi spazi, la stessa organizzazione. Dobbiamo inventare una scuola nuova. «In questi giorni abbiamo letto molte proposte per studenti e famiglie, ma scritte non da loro. Che cosa pensano davvero le famiglie e gli studenti? L'istituto comprensivo di Lozzo Atestino lo sta chiedendo alle sue 600 famiglie, abbiamo centinaia di dati e commenti», spiega Alfonso D’Ambrosio, neo dirigente scolastico catapultato nell’occhio del ciclone Coronavirus. Il 60% dei genitori, qui, chiede di ripensare il rientro con una seria sinergia fra scuola, comuni, territorio e genitori, contro un 11% che pensa che sia solo un problema della scuola e il 25% che ritiene necessaria una sinergia con il governo. La scuola è del territorio e nel territorio, questo è il secondo punto che questa emergenza ci ha chiarito.
La scuola di Vo’ è stata la prima in Italia a chiudere, sabato 22 febbraio: il giovedì dopo la didattica a distanza qui era già partita. Per la ripartenza però, di didattica a distanza non se ne parla, perché la scuola è relazione: il digitale resterà, come strumento, ma la distanza no. Per quanto qui abbia funzionato benissimo. «La Didattica a Distanza è uno strumento a supporto ed integrativo. Ma oggi dobbiamo partire dal pensare come organizzare gli spazi all'interno degli edifici scolastici per ottenere il massimo della didattica in presenza, in sicurezza», dice D’Ambrosio. Alcuni dati su tutti: il 30% delle famiglie dichiara di non avere nessuno che possa rimanere a casa con i figli, per cui una scuola che riprenda nella forma di didattica a distanza è impensabile. Il 40% delle famiglie, lascerebbe i bambini ai nonni. Una scuola completamente da casa piace solo all’8% delle famiglie, una mista tra lezioni in presenza e a casa al 20%: a convincere le famiglie (40%) pare essere l’idea di una scuola in presenza ma con orario ridotto, solo mattutino.
«È l’ipotesi su cui ci stiamo seriamente orientando: 20-24 ore al posto di 40, dividendo le classi in piccoli gruppi, sfruttando i locali e gli edifici non utilizzati, gli spazi esterni, lavorando molto sugli arredi per il distanziamento, più che sulle mascherine. Quattro, cinque ore di scuola, con ingressi leggermente scaglionati. Mentre un gruppo sta con l’insegnante di italiano, l’altro fa matematica e poi si invertono. Logisticamente per i genitori è la soluzione migliore: alternare mattina e pomeriggio, andare a scuola un giorno sì e uno no… per l’organizzazione della scuola può essere quasi indifferente ma per le famiglie è certamente più complicato», spiega il dirigente D’Ambrosio. O meglio, le mascherine vanno benissimo dalla seconda elementare in su, ma per ripartire occorre pensare ai piccoli, alla scuola dell’infanzia e al primo/secondo anno della primaria. Sullo sfondo, le esperienze di asilo e scuola nel bosco e quella delle tagesmutter, con l’idea di coinvolgere stagisti universitari per un paio d’ore al giorno, che seguano fino alle 16 piccoli gruppi di 3 o 4 bambini negli stessi spazi dove si è fatta scuola il mattino. La mensa? Solo per chi davvero non ha nessuno a casa. Tante lezioni all’aperto, tante uscite sul territorio: come valore aggiunto, non solo per questioni di locali che mancano (in uno dei plessi, dice il preside, ci sono dieci sezioni a fronte di 24 locali). Magari, al posto delle mascherine, usare le visiere trasparenti, se certificate: un bambino piccolo forse se la toglierebbe meno rispetto alla mascherina. La scuola ha già acquistato termometri con puntatore laser, per misurare la febbre in entrata. E non sarebbe male – propone il dirigente – immaginare di sottoporre tutti a tampone una settimana prima del rientro, così che tutti si possa varcare la soglia con tranquillità.
La didattica a distanza è uno strumento, non la soluzione. La soluzione deve tener presenti i vincoli. Il primo vincolo è il distanziamento, che ci costringe a ripensare gli spazi, non solo cercando spazi fuori dalle scuole ma anche avviando una serissima riflessione con le aziende sugli arredi, che in questo momento sono i grandi assenti dal dibattito e anche dai finanziamenti del Ministero.
Alfonso D’Ambrosio, dirigente scolastico dell’IC di Lozzo Atesino
Da fisico, D’Ambrosio ritiene che «la soluzione deve tener presenti i vincoli. Quali sono i vincoli che abbiamo, posto che la riapertura – diciamo a settembre – sarà in un tempo “arancione”, in cui il rischio di contagio non sarà zero? I principali sono due: il distanziamento, che ci costringe a ripensare gli spazi, non solo cercando spazi fuori dalle scuole ma anche avviando una serissima riflessione con le aziende sugli arredi, che in questo momento sono i grandi assenti dal dibattito e anche dai finanziamenti del Ministero. L’altro è quel dato altissimo, del 30% dei genitori che non avrebbero a chi lasciare i figli».
D’Ambrosio è uno dei campioni della scuola digitale, tant’è che la DAD in questo istituto sta funzionando alla grande. Perché allora nella progettazione della ripartenza non c’è? «Il processo di apprendimento è più efficace in presenza. La DAD è uno strumento e funziona bene quando c’è autonomia di studio, alle superiori, forse alle medie in un mix. Ma il problema grosso del rientro sono le scuole dell’infanzia e la primaria: l’apprendimento lì è una relazione empatica. In ogni caso già adesso stiamo facendo incontri sulla postura, non possiamo pensare di tenere i ragazzini 6-7 ore al giorno davanti al computer. Tutto ciò che abbiamo appreso in queste settimane di didattica a distanza ce lo portiamo anche in classe, continueremo a fare scuola digitale, ma accanto a tutto il resto. La scuola è una relazione educativa: i bambini devono vedere il sorriso dell’altro».
Foto di copertina, Matteo Biatta/Sintesi
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