Salute
Addetti alle pulizie: lo sporco lavoro di un servizio pubblico essenziale
Nel Far West degli appalti nelle pulizie, sono tantissimi coloro che restano invisibili, ma ogni giorno igienizzano gli spazi di tutti. Un servizio pubblico necessario che non possono interrompere. Ma come sono messi in condizione di lavorare gli addetti alle pulizie durante l'emergenza? Gare al massimo ribasso, paghe da pochi euro l'ora e contratti a termine. L'inchiesta
«Dovrebbe essere un'eccellenza la pulizia, tanto più degli ospedali, e adesso con il coronavirus. Invece con tutti i tagli che ci sono stati negli anni, in questi momenti di emergenza siamo arrivati anche a lavorare in metà persone, coprendo doppi turni per una settimana intera. Così ho fatto il doppio delle stanze che facevo prima, ma nelle stesse ore. Il problema è lo stesso da anni: cambi contratto a ogni appalto, ti diminuiscono le ore per gli stessi compiti ma, o firmi o sei fuori. Molti colleghi, gli anziani soprattutto, adesso sono in malattia, nessuno per Covid fortunatamente. Ma nella nostra categoria, anche se si registrano degli infetti, non lo viene a sapere nessuno, noi non siamo molto considerati o rispettati come lavoratori. Invece se non ci siamo noi, si ferma tutto.»
Questo è ciò che racconta Federica, ma il nome è di fantasia, perché il timore è quello di ritorsioni. Ha nemmeno una quarantina d'anni, la metà dei quali passati come addetta alle pulizie, ed è assunta da una cooperativa servizi che gestisce questo servizio, e insieme anche la mensa, di una rinomata clinica milanese. Un presidio ospedaliero, con tanto di reparto Covid19 allestito in emergenza, che oggi come tanti si trova a fronteggiare il diffondersi del virus un po' come può, tra carenza di organico e dispositivi di protezione difficilmente reperibili. Nonostante una patologia oncologica pregressa, in virtù della quale sarebbe potuta #restareacasa, lei a pulire quelle stanze ha scelto di andare. «Scrivilo, scrivilo pure, non mi devo mica vergognare, anzi sono orgogliosa di essere guarita e poter ancora lavorare». Prende poco più di 7 euro all'ora, ma non si lamenta, perché dice che la pagano puntuale, e aggiunge: «Pensa che al portiere danno appena 4 euro e mezzo!»
Contro lo sporco, imbattibili
Sono le maghe del pulito, ma molto spesso anche del lavoro in appalto, con traballanti tutele. Assicurano ogni giorno la pulizia e la sanificazione degli ambienti a cui tutti noi abbiamo accesso, anche in tempo di Covid: dagli ospedali agli uffici pubblici, dai supermercati agli esercizi commerciali, dalle scuole alle palestre, sono negli residenze per anziani, nelle aule dei tribunali, nelle fabbriche, nei condomini, sono quasi ovunque. Ma tutto sommato, abbastanza invisibili. Sono le addette e gli addetti alle pulizie.
Per ciò che possiamo immaginare, grazie ad un'esperienza quotidiana d'incontro con coloro che vediamo direttamente al lavoro (e che quindi non lavora di notte, com'è forse la maggior parte dei casi), ipotizziamo siano in maggior parte donne, anche se ovviamente sempre così non è. In tante appunto, finiscono il proprio turno, quando la città si risveglia e quegli spazi comincia a fruirli. Anche oggi che dall'emergenza sanitaria Covid19 siamo invitati a #restareacasa.
Ma di quante lavoratrici (e lavoratori) parliamo, quando diciamo “addette/i alle pulizie” è possibile solo contarne a spanne, e non a precise migliaia. Istat riferisce che non li rileva e anche i tre sindacati confederali Cgil-Cisl-Uil, sigle che in loro rappresentanza hanno firmato i contratti nazionali di riferimento, dicono che fanno fatica a contarli, poiché il settore è particolarmente complesso e variegato, ma comunicano di aver inviato a fine marzo una lettera al Presidente del Consiglio, ai Ministeri e alla Protezione Civile per chiedere attenzione alle loro condizioni. Nel suo “piccolo”, quanti è in grado di rappresentarne, sa invece dirlo subito la Cub Confederazione Unitaria di Base, lei che di contratti collettivi nazionali è da un po' che non ne sigla.
«Sono all'incirca sui 200mila, gli addetti alle pulizie che rappresentiamo come Flaica-CUB, la federazione di categoria a cui fa riferimento il settore, andata a congresso lo scorso anno con oltre 10mila iscritti – così spiega Marcelo Amendola, appunto segretario nazionale Flaica CUB – Ma certo il conteggio di quanta forza lavoro impieghi il settore pulizie è pressoché impossibile. Basti pensare che al CNEL, il Consiglio nazionale dell'economia e del lavoro, sono depositati più di 130 contratti di lavoro per la categoria. Ci sono miriadi di imprese di pulizie e multiservizi, sia nel pubblico che nel privato, che vanno da grandi società per azioni, associazioni temporanee di impresa e cooperative, passando per piccole ditte individuali. E, al di là del fatto che esiste una marea di lavoro nero, ciò che sicuramente si può affermare è che questa è in generale una categoria “volatile”: dove un giorno lavori con un appalto, e domani rimani a casa oppure, come un gregge, segui la nuova azienda che ha vinto il nuovo appalto, anche se ti diminuisce orari e compensi.»
La fotografia del settore
Pulizia, disinfezione, sanificazione, disinfestazione, derattizzazione e assimilabili. Queste le principali voci a contratto, cui dovrebbero corrispondere, a seconda di graduabili competenze, differenti livelli retributivi. Ma, in tempi di emergenza sanitaria, tutti si adattano a far tutto, ci riferiscono. Ma anche prima della comparsa del virus Covid19, la fotografia che viene offerta del settore non è che fosse proprio rincuorante. «A grandi linee, – prosegue il portavoce nazionale Flaica CUB, ovviamente cercando la sintesi – possiamo distinguere due realtà, ossia quella che è la situazione al Centro-Nord e quella invece al Centro-Sud. Ovunque, si lavora in condizioni precarie e senza continuità lavorativa, anche dal punto di vista di anzianità, qualifiche e salari, giostrandosi tra part-time e tempo pieno, per la stragrande maggioranza in appalti della durata di un anno, dove non sai mai quale ditta subentra nel servizio e se resti, e dove il risparmio sulle gare di assegnazione è scaricato sulla pelle dei lavoratori o nell'uso degli ammortizzatori. Al Nord Italia, in media, un addetto alle pulizie non arriva a guadagnare al di sopra dei mille euro al mese, a dire bene. Ma laddove al Nord, con un incarico e uno stipendio ci lavora una sola persona, al Sud ciò che accade è che, per clientelismo bello e buono, quell'impiego viene diviso per almeno tre lavoratori, come una regalia. Con una riduzione spaventosa del reddito medio, ossia appena 300 euro a persona. In maggioranza, si tratta di donne e, soprattutto per quel che riguarda gli appalti ospedalieri, la manodopera impiegata al Nord è immigrata. I lavoratori stranieri, non tutelati, sono spesso usati da “testa di ponte” per abbassare le tutele lavorative ed economiche di tutti gli altri. Senza pari diritti e un salario degno, per tutti, non si andrà da nessuna parte. Contro la logica del “divide et impera”, ciò che noi avanziamo con forza è la richiesta dell'internalizzazione degli appalti, sia nel pubblico che nel privato. Per fare un esempio: se chi deve pulire la Fiat, è assunto direttamente dalla Fiat, le tutele cambiano e cambiano anche la solidarietà tra lavoratori e il potere di rappresentanza, ad esempio anche solo come possibilità di unirsi in sciopero per le loro rivendicazioni.»
Dove non si fan sentire i numeri per via di un dato disperso, hanno invece buona voce i comunicati stampa sindacali. Da questi, per ogni sigla e firma, è facile constatare come malcontento per remunerazioni e mancate tutele nel settore non siano affatto una novità d'oggi e tra le criticità lamentate, purtroppo sovente, c'è infatti anche quella del mancato pagamento delle mensilità arretrate dalla ditta appaltante, uno volta terminato l'incarico, per cui non è possibile rivalersi su alcuno. La scorsa estate, ma è solo per fare un esempio, sembra esser accaduto al personale addetto alle pulizie del nuovo Tribunale a Vicenza. Ma se si vuol guardare a ospedali e coronavirus, ancora più emblematica in proposito potrebbe essere quella che i quotidiani chiamano la “querelle dei tamponi” all'ospedale Cardarelli di Napoli, per la responsabilità di chi deve fare i tamponi proprio agli addetti alle pulizie: struttura sanitaria o società di gestione del servizio? La questione è sui costi.
Il piacere del pulito, in un tot
La situazione emergenziale odierna ha così chiamato questi lavoratori, non solo a pulire ma in molti casi proprio a sanificare gli ambienti, per contribuire nel loro importante ruolo al contenimento della diffusione del virus Covid19. E questo, anche e nonostante, protocolli di sanificazione non previsti prontamente, dispositivi non forniti nell'immediato, e soprattutto, sempre nello stress quotidiano del rischio di contagio per se e i propri i cari una volta rientrati a casa.
Racconta ancora Federica, come testimonianza diretta della sua esperienza in un ospedale lombardo, con al suo interno anche un reparto Covid. «Adesso anche a noi hanno l'obbligo di misurarci la febbre, in ingresso e in uscita a fine turno e abbiamo i dispositivi di protezione individuali, ma non è stato subito così, abbiamo dovuto insistere. Credo che si siano accordati che a me li fornisce la mia ditta, ma poi li riaddebita come costo all'ospedale. Gli occhiali di protezione me li sono comprata io e per l'intero turno ho a disposizione una sola mascherina, una casacca, una cuffia e i guanti. Mentre le mie colleghe che puliscono il reparto Covid hanno alcune protezioni aggiuntive, ad esempio i calzari, e devono svestirsi e sanificarsi sempre goni volta che entrano ed escono da lì. La nostra ditta ha l'appalto anche per il servizio mensa, tutto monouso in plastica, e lo facciamo noi, in mezzo ai turni pulizie. Per i pazienti Covid il cibo lo appoggiamo fuori dalle camere e poi entra l'infermiere; ma per la pulizia, poi entrano le mie colleghe, due volte al giorno. E ovviamente puliamo, e quindi tocchiamo, tutto quello che il paziente infetto ha usato e toccato durante il giorno. E c'è chi respira da solo senza ausili e allora si alza e va in giro per la stanza e usa il bagno, e quelli sono rischi in più per noi. Nemmeno abbiamo avuto mai alcuna formazione specifica. Se non a un paio di colleghi, a cui hanno detto come usare un nuovo macchinario per nebulizzare. A noi al massimo ci hanno spiegato cosa fare e non fare, ma ad esempio non come vestirci e svestirci in modo corretto dei dispositivi di protezione per non contaminarci. Abbiamo tutti le stesse problematiche, anche le altre colleghe con cui parlo, che lavorano in altri ospedali e non solo. Ci ringraziano, quando si ricordano ci ringraziano, ma nessun riconoscimento economico. E comunque, se ti fermi e non vuoi più andare a lavorare, perché ritieni di non essere messo nelle condizioni idonee per farlo in sicurezza, potrebbero addirittura denunciarti per interruzione di pubblico servizio. Il nostro è un servizio essenziale, che deve essere dato.»
Una lunga lista di attese
Il problema non è tipico ovviamente solo delle strutture ospedaliere. Basterebbe pensare a coloro che ogni notte puliscono i centri commerciali, supermercati e discount, per far sì che poi di giorno siano aperti e frequentati per far spesa. A quelle fabbriche dove non si è affatto allentata la produzione, come può essere l'agroalimentare che, ad esempio nella produzione farine, ha al contrario semmai aumentato i propri ritmi con turnazioni di personale anche sull'intero arco delle 24 ore. Le Residenze Sanitarie Assistenziali per Anziani. Oppure i condomini (ai quali il Sindaco di Perugia, con tanto di ordinanza, chiede una disinfezione frequente, a rischio per gli inadempienti una denuncia penale). Gli uffici pubblici, come quelli regionali (di fine marzo l'accusa del sindacato Csa Cisal sul fermo delle attività di sanificazione). Nonostante questo, nel percepito comune, la questione dell'esposizione al contagio si rende gioco forza più drammatica ed evidente laddove più drammatica ed evidente è la presenza stessa dei malati, piuttosto che quella di un virus invisibile (di cui per altro, la disputa sulla sanificazione straordinaria delle strade con ipoclorito di sodio, insegna passi di incertezza).
Così, mentre in ospedale a Barcellona, gli addetti alle pulizie sono stati accolti dall'applauso di medici e infermieri e personale ausiliario, sempre di questi giorni è la notizia nostrana che, nel padovano, una cinquantina di lavoratrici della cooperativa di pulizie dell'ospedale Covid di Schiavonia ha chiesto, attraverso un'azione di Adl Cobas, il ripristino delle tute integrali di protezione. Cgil e Uil, a Mantova, denunciano la carenza di mascherine per gli addetti alle pulizie nei reparti Covid. In un comunicato di fine marzo, la Filcams Cgil di Venezia riportava la situazione degli addetti alle pulizie del nuovissimo ospedale dell’Angelo di Mestre: senza mascherine e che si portano a casa le divise da lavare, per via de' “le scaramucce su chi debba fornire i presidi o lavare le uniformi” tra appaltatrice multinazionale francese e ASL 3 Veneto. E a Torino, le tre sigle confederali provinciali hanno richiesto alle istituzioni, Regione Piemonte e Aziende sanitarie in primis, “un Protocollo omogeneo Covid 19 che preveda stesse garanzie e tutele per tutti i lavoratori del comparto sanità, compresi quelli che operano per aziende esterne in appalto”. Un primo bacillo di internalizzazione, sembrerebbe.
Prodotti di scarsa qualità
In buona sostanza, coloro che esigono di garantire la qualità del lavoro, anche di questo lavoro, non guardano solamente alla tutela di chi lo svolge, ma anche di chi ne fruisce un servizio, ossia ogni cittadino che vorrebbe quei luoghi ben puliti, e ancor più oggi, igienizzati e sicuri.
«Nella logica delle gare al ribasso, il contenimento esasperato dei costi erode sì, come prima voce, il valore della forza lavoro, ma allo stesso tempo anche la spesa per le materie prime. Già prima dell'emergenza, spesso gli addetti lamentavano l'utilizzo di prodotti non professionali e scadenti per le pulizie, e questo si è accentuato con il virus e la necessità di sanificazione che richiede presidi ancora più performanti e costosi. – accusa allora il rappresentante nazionale Flaica CUB, Marcelo Amendola, concludendo con parole molto dure il proprio intervento – Chi contesta queste carenze o prova ad opporsi in qualche modo, di certo non viene direttamente licenziato, però viene spostato altrove, in settori che non conosce e con carichi di lavoro pesantissimi e così gli si fa una guerra sulle piccole cose per farlo fuori a suon di lettere di richiamo. Tra tutto, noi avremmo dato voce a una sessantina di denunce, ma ovvio che la situazione è più estesa. Se questi lavoratori si infettano, muoiono in silenzio. Alcuni di loro, soprattutto nelle prime settimane, senza alcuna adeguata protezione, hanno lavorato in condizioni di-spe-ra-te (scandisce). Ho la sensazione che siano trattati come “carne da macello”, quasi che si aspetti il morto per intervenire nei diritti. Ed è difficile accettare che, per quanto hai provato, non sei riuscito a fare abbastanza. Ma siamo al grado delle impossibilità. Ci dovrebbe arrivare lo Stato, con una legislazione e un'azione di tutela opportuna.»
17 centesimi al giorno sono troppi?
Poco più di un euro a settimana, un caffè al bar o forse meno. 60 euro l’anno per tutti i contenuti di VITA, gli articoli online senza pubblicità, i magazine, le newsletter, i podcast, le infografiche e i libri digitali. Ma soprattutto per aiutarci a raccontare il sociale con sempre maggiore forza e incisività.