Cultura

New York, il lato infame del sistema dell’arte contemporanea

Il MoMA, il più ricco museo americano, annuncia il taglio di tutto il proprio dipartimento educativo. Una decisione drastica che mette centinaia di persone per strada, senza dare nessuna speranza per il futuro. E non è l’unica decisione vergognosa da parte del sistema miliardario dell’arte contemporanea…

di Giuseppe Frangi

Oltre a quella del virus, negli Stati Uniti è in atto un’altra corsa al massacro: è il taglio drastico ai posti di lavoro, che lascia a casa migliaia di persone senza nessun paracadute sociale. E la cultura è l’avamposto di questa operazione di dimagrimento unilaterale.

Settimana scorsa il MoMA, cioè il più importante museo d’arte moderna al mondo, un punto d’attrazione per milioni di visitatori a New York ha reso pubblico un comunicato dai toni drastici: il dipartimento educativo, uno dei punti di forza del museo, chiude. A tutti i collaboratori viene assicurato il pagamento del lavoro fino al 30 marzo “ma tutti gli alri impegni futuri sono annullati e non verranno effettuati ulteriori pagamenti». L'email del MoMA si conclude con una nota dal tono sconcertante: anche quando il museo dovesse riaprire, «ci vorranno mesi, se non anni, prima di un ritorno al budget e ai livelli operativi per poter garantire dei servizi educativi». Interpellata dalla redazione del sito Hyperallergic la direzione del MoMA si è limitata a questa laconica spiegazione: «Con la chiusura a tempo indeterminato del Museo, abbiamo affrontato la dolorosa realtà che non ci saranno nuovi incarichi contrattuali da offrire a un gruppo di eccellenti educatori freelance che lavorano all'occorrenza nei musei di tutta la città, incluso il MoMA . Siamo profondamente grati per i loro precedenti contributi al Museo. Auguriamo a loro e ai loro cari sicurezza e salute in questo momento difficile».

I musei americani, nella gran parte istituzioni private rette da fondazioni, e secondo l’associazione che li raccoglie, con la chiusura starebbero accumulando perdite per 33 milioni di dollari al giorno. Eppure non tutti stanno seguendo la strategia drastica del MoMA, un museo che ad ottobre ha inaugurato la nuova faraonica sede costata quasi mezzo miliardo di dollari. Il Withney Museum, altra istituzione newyorkese dedicata in particolare all’arte americana, ha scelto una strategia diversa, lanciando un programma online. «Il programma servirà la nostra comunità durante la crisi COVID-19 e consentirà a te, il nostro team di liberi professionisti dedicato, di continuare a lavorare, anche se il museo è chiuso», hanno scritto in una mail i due capi dipartimento dell'istruzione, Heather Maxson e Dyeemah Simmons.

Il MoMA è tra i musei più ricchi del mondo, con una dotazione di oltre un miliardo come documentato dalla recente di dichiarazione dei redditi, ma non è affatto l'unica istituzione che ha lasciato alcuni lavoratori in difficoltà. La scorsa settimana, il Massachusetts Museum of Contemporary Art (MASS MoCA) ha annunciato che il licenziamento di 120 dei suoi 165 impiegati in ogni dipartimento. E non va meglio sul fronte delle grandi gallerie, che fino a qualche settimana fa facevano vanto di vendite milionarie degli artisti “benedetti“ dal mercato. La Pace Gallery, che aveva da poco inaugurato una sede monumentale a New York, ha annunciato il licenziamento del 25% dei suoi dipendenti, appena bilanciato da un taglio agli stipendi dei livelli alti. Il suo fondatore aveva contratto il virus, e ne è guarito. In quell’occasione aveva rilasciato una dichiarazione difficile da conciliare con la scelta fatta di tagliare posti di lavoro: «Questa ripresa – la nostra ripresa – per quanto lunga e complessa possa essere, andrà persa o vinta a seconda della nostra capacità di rifiutare quelle cose che rovinano, degradano ed erodono il nostro mondo creativo, per abbracciare e proteggere ciò che è reale, duraturo e capace di ispirare la nostra vita nell’arte».

Va ricordato che fino alla settimana scorsa, quando il nuovo pacchetto di incentivi è stato approvato, i liberi professionisti non hanno potuto beneficiare di sussidi di disoccupazione. Molte delle politiche messe in atto per supportare il personale regolare durante la crisi lasciano questi precari ai margini.

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