Cultura
La scuola che ha “svaligiato” i suoi laboratori di informatica
«Ci sono famiglie che non avevano un computer o una webcam, gli ho portato i computer a casa, al momento un’ottantina», spiega la dirigente dell’Istituto Tecnologico "Giordani-Striano" di Napoli. Sulla scrivania ha un elenco di nomi: «Sono i ragazzi che ieri non si sono collegati. Li devo chiamare, per capire il perché. Se c’è un problema di connessione, di dispositivi, se stanno male, se erano stanchi… Qui i ragazzi li seguiamo uno a uno»
Davanti a sé, la dirigente ha un elenco di sei nomi: «Sono i ragazzi che ieri non si sono collegati. Li devo chiamare, per capire il perché. Se c’è un problema di connessione, di dispositivi, se stanno male, se erano stanchi… Qui i ragazzi li seguiamo uno a uno», dice. Elena De Gregorio è la dirigente scolastica dell’Istituto Tecnologico "Giordani-Striano" di Napoli, circa 800 alunni per quattro indirizzi: informatica, chimica, meccanica ed elettrotecnica. Ci sono alunni che arrivano da quel Rione Traiano noto alle cronache come piazza di spaccio e altri che vengono dal Vomero e da Posillipo; il tasso di abbandono sta sotto l’1% e «moltissimi trovano lavoro a 3-4 mesi dal diploma». Non è un’isola felice: piuttosto – dice la dirigente – una scuola che «ha puntato sull’includere tutti, anche chi parte da condizioni sociali più svantaggiate».
Da quando le scuole sono chiuse causa Coronavirus, qui vengono garantite 32 ore di lezione a settimana: «le piattaforme le usavamo già, il 3 marzo eravamo operativi. Non c’è una norma contrattuale che obblighi i docenti a lavorare a distanza, ma tutti si sono attivati grazie anche ai tutorial realizzati dal team digitale», sottolinea la dirigente. Si sono dati un ritmo: 40 minuti di lezione e 20 di pausa. «Dobbiamo tener presente il rischio di uno stress da prestazione, i ragazzi stanno lavorando tantissimo. Perciò abbiamo pensato quelle lunghe pause e anche l’alternanza fra lezioni frontali, seppur in videoconferenza e attività laboratoriali, con un’attività pratica da fare i materiali che si hanno in casa, come un piccolo esperimento di chimica». Ci sono le interrogazioni in videoconferenza, i compiti scritti e «tanta autovalutazione, perché da casa non ci vuole niente a cercare online le risposte a una verifica. Il punto è mettere il ragazzo nelle condizioni di valutare se ha raggiunto o meno certe competenze e nel caso attivarsi per un recupero», spiega De Gregorio.
I compiti della didattica a distanza sono due, ha scritto il Ministero in una nota recente: «non interrompere il percorso di apprendimento» e «mantenere viva la comunità di classe, di scuola e il senso di appartenenza, combatte il rischio di isolamento e di demotivazione». Per la dirigente del "Giordani-Striano" «è molto vero, tant’è che abbiamo coinvolto i docenti di sostegno per dare una sorta di “sostegno psicologico” ai ragazzi: ho studenti che hanno pianto durante la videolezione. Hanno tante domande e spesso le famiglie non sono in grado di rispondere», riflette la prof.
E per non lasciare indietro nessuno, hanno anche “svaligiato” i laboratori dell’Istituto: «ci sono famiglie che non avevano un computer o una webcam, gli ho portato i computer a casa, al momento un’ottantina. Moltissimi stanno lavorano con i cellulari e attraverso l’iniziativa Solidarietà digitale hanno attivato la connessione gratuita, guidati dagli assistenti tecnici. Ecco, questo fa la differenza: sono un help desk per tutti i problemi tecnici, di connessione, legati all’uso dei software che le famiglie riscontrano. In una situazione del genere, l’animatore digitale, da solo, non ce la fa».
Photo by Annie Spratt on Unsplash
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