Welfare

Coronavirus, per i malati di Alzheimer uscire di casa è una necessità

«Il distanziamento sociale è essenziale, ma per chi soffre di demenza stare all'aperto è uno strumento di cura che permette, nei momenti di maggior difficoltà, di ridurre l'ansia. Sono preoccupata per i pazienti e per i loro familiari». Dialogo con la dottoressa Amalia Bruni che gestisce il centro regionale di Neurogenetica dell’ospedale Giovanni Paolo II di Lamezia Terme. Con 6 consigli di svolgere durante queste giornate di reclusione forzata

di Sabina Pignataro

«In questo momento così difficile, di quarantena, di emergenza, ad essere drammaticamente colpite e sole non sono soltanto le 600.000 persone affette da Alzheimer in Italia, ma anche i loro familiari. È per tutti loro che io sono preoccupata». Dal suo osservatorio privilegiato, il centro regionale di Neurogenetica dell’ospedale Giovanni Paolo II di Lamezia Terme in Calabria, presidio di rilevanza mondiale per lo studio delle demenze degenerative, la dottoressa Amalia Bruni (in foto in primo piano) lancia un messaggio accorato: «Non vorrei fare la Cassandra – dice- ma in questo momento, in cui tutto il Paese è impegnato nella cura del Covid- 19, io intravedo due possibili rischi per chi vive delle situazioni di fragilità, legate allo sviluppo di malattie degenerative». Prima di tutto, dice, «temo che il divieto di uscire possa aggravare lo stato d’ansia del malati di Alzheimer. E poi, ho paura che il venir meno degli aiuti riservati ai caregiver possa alla lunga prosciugare le loro risorse, con ricadute importanti sulla salute dei malati stessi».

«Fermo restando che il distanziamento sociale, l’isolamento delle persone e tutte le altre misure restrittive restano le uniche misure di prevenzione seria – commenta Bruni- sarebbe opportuno che il Governo tenesse conto delle conseguenze di una quarantena prolungata sui bisogni delle persone più fragili». Perché, dice, «se per una persona sana il fatto di non poter uscire è una condizione scomoda, forse fastidiosa, ma tollerabile, per i miei pazienti uscire di casa è non solo una necessità ma anche uno strumento di cura che permette loro, nei momenti di maggior difficoltà, di ridurre l'ansia». Un momento critico, ad esempio, è quello del pomeriggio/sera quando la riduzione della luce peggiora il disorientamento del paziente che, non riconoscendo il posto in cui si trova, ha paura e istintivamente tende a scappare. «Se i pazienti non possono uscire si agitano, diventano più aggressivi e non resta altra possibilità che aumentare la dose di psicofarmaci. Come medico, non vorrei che questa fosse l’unica strada percorribile». Per questo, racconta «negli ultimi giorni mi è capitato di rilasciare dei certificati medici, per evitare che le famiglie che dovessero uscire con un malato fossero passibili di sanzioni».

Più in generale, aggiunge la scienziata che nel 1995 ha individuato il gene dell’Alzheimer, la presenilina 1, «non possiamo non riflettere su cosa significhi l’isolamento per un essere umano – malato e non – che per definizione è un animale sociale. La solitudine che, negli anziani è un fattore di rischio di depressione e demenza, nella cosiddetta popolazione “normale”, quella che fino oggi non ha mostrato segni di fragilità, potrebbe avere ugualmente delle conseguenze negative e dare origine, in certi casi, anche a malattie, tipo obesità, o disagi mentali».

Già di suo l’Alzheimer (vessillo di tutte le forme di demenza) è una malattia che tende ad isolare sia la persona che il familiare. «E infatti di solito si “ammala” anche la famiglia», sottolinea Bruni. In questi giorni, poi, in cui «gli strumenti di assistenza sanitaria e sociale, dalle visite mediche, ai caffè Alzheimer e centri diurni sono oggi praticamente annientati dall’emergenza, il paziente dipende totalmente dal suo familiare, il quale si ritrova così privo di quelle poche uscite che gli consentivano di prendere delle boccate d’aria, essenziali per rigenerarsi.

«Prendersi cura di un malato di Alzheimer è non solo faticoso ma anche frustrante, se l’impegno comporta un totale annullamento delle proprie necessità», sottolinea Bruni.Purtroppo, aggiunge, «la mancanza di uno spazio personale per il famigliare coinvolto nella cura porta con sé un rischio altissimo: quello di generare un aumento dei disturbi comportamentali non solo nel paziente ma anche nel familiare stesso. E questo è molto pericoloso», perché, «un comportamento inadatto nel familiare spesso scatena o amplifica reazioni di agitazione e aggressività alimentando un circolo vizioso, che è lì pronto ad avviluppare entrambi, in una spirale esponenziale e malefica». Per questo motivo, «serve uno sforzo maggiore per aiutare e sostenere chi si prende cura di questi malati: se riuscissimo ad evitare i comportamenti negativi dei famigliari, eviteremmo peggioramenti clinici nel paziente».

Ma come? «Riuscire a trovare un sentimento positivo in un isolamento (a volte in case piccole, senza balconi) non è esattamente semplice ma è quello che va fatto», spiega Bruni. «In condizioni “normali” abbiamo tutti fretta, tante cose da fare, il tempo non basta mai. Oggi il tempo si è fermato, o comunque ha subìto una battuta d’arresto. Pensare che stranamente “abbiamo più tempo” per i nostri cari forse può metterci in una situazione di maggiore disponibilità di animo e farci realizzare che possiamo “coccolarci” vicendevolmente. La loro vita ancor prima della nostra, è fortemente a rischio e per noi, indipendentemente se caregiver o operatori della sanità, dovrebbe essere un privilegio quello di accompagnarli e proteggerli nell’ultima parte della vita».

In questi giorni, per sostenere i famigliari delle persone malate di Alzheimer, moltissime strutture sanitarie (i CDCD) che si occupano dei pazienti con demenza e molte associazioni di volontariato hanno rinforzato quella che è da sempre stata una modalità integrativa dell’assistenza, ovvero il supporto telefonico o via web. «La presa in carico di un paziente richiede di suo, necessariamente, questo», chiarisce la dottoressa. «Ma in questo momento lo sforzo deve essere ancora maggiore nei confronti dei caregiver. In più strutture sono stati definiti numeri telefonici dedicati in maniera specifica al loro sostegno psicologico». Le associazioni dei familiari presenti in Italia (Federazione Alzheimer, Alzheimer Uniti e AIMA) hanno tutte gli sportelli d’ascolto.

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Sei attività per caregiver e malati da svolgere durante il giorno suggerite dalla dottoressa Bruni

  1. Mantenere i ritmi del risveglio, colazione, toilette, vestirsi, è importantissimo. Cerchiamo di non abbandonarci al pigiama party considerando che “tanto non dobbiamo uscire e non viene nessuno a trovarci”.
  2. Possiamo sempre telefonare e video chiamare amici e parenti lontani…
  3. Piccoli esercizi di ginnastica da fare insieme durante la giornata, brevi passeggiate intorno al palazzo o anche nelle stanze di casa, ci aiutano a rilassarci.
  4. Tirare fuori tutte le vecchie foto, raccontare e farsi raccontare.
  5. Cucinare insieme, fare piccole cose insieme e rifarle all’infinito come la tela di Penelope. E poi disegnare, pregare, cantare e ascoltare musica, ridere… insieme
  6. Trovare un obiettivo della giornata salvo cambiarlo in corso d’opera sorridendo con leggerezza, con la leggerezza ritrovata e la riscoperta di affetti sopiti …

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