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Siria, 11,3 milioni di persone non ricevono più cure mediche

In questi giorni di emergenza da Coronavirus ci accorgiamo di quanto sia fondamentale e vada tutelato il sistema sanitario nazionale, tra i pilastri di ogni società. Eppure a poche migliaia di chilometri da noi, in Siria, abbiamo permesso nel silenzio generale che si bombardassero ospedali. Nel Paese 11,3 milioni di persone, di cui il 40% bambini, non ricevono più cure mediche. Più della metà degli ospedali pubblici e dei centri di prima assistenza è fuori uso, L'ong Avsi ha avviato nel 2016 il progetto "Ospedali Aperti", il bilancio a quattro anni dall'avvio

di Anna Spena

In questi giorni di emergenza da Coronavirus tante cose sono cambiate. Prima tra tutte il ripensare al nostro sistema sanitario nazionale, troppe volte bistrattato, dato per scontato, soggetto a tagli che ci sembrano incomprensibili. Ma per accorgercene ci serviva una Pandemia? Il sistema sanitario sta alla base della società, non solo della nostra. È un sistema non solo da supportare ma anche da tutelare. Eppure, a qualche migliaio di chilometri da noi c’è chi gli ospedali li bombarda nel silenzio generale. Siamo in Siria e la crisi di questo Paese che è entrato nel decimo anno di conflitto, è una delle crisi umanitarie più grandi mai vista. Ad oggi sono 5,6 i milioni di Siriani registrati come rifugiati, la maggior parte di loro nei paesi vicini (Turchia, Libano, Giordania, Iraq ed Egitto), e 6,2 milioni di sfollati interni. Le tensioni e i diversi fronti aperti nel Nord del paese (la provincia di Idlib e il confine con la Turchia continuano incessanti, e continuano a creare vittime, nuovi rifugiati e sfollati: anche oggi in molte città e villaggi è impossibile vivere in sicurezza.

Le Nazioni Unite hanno calcolato che oltre l’83% della popolazione vive ormai stabilmente in condizioni di grave povertà, con un tasso di disoccupazione schizzato al 57% e circa 12 milioni di persone rimaste senza alcuna fonte di guadagno, conseguenza diretta di una guerra che ha creato una delle più gravi crisi umanitarie del mondo. «In particolare», spiega dice Marco Perini, regional manager middle estper la ong Avsi, «la crisi sanitaria è profondissima».
Secondo le ultime stime di OCHA, 11,7 milioni di persone hanno bisogno di aiuto. Fra loro, quasi 11,3 milioni di persone, di cui il 40% bambini, non ricevono più cure mediche e non hanno accesso agli ospedali.

«Negli ultimi 5 anni», continua Perini, «l’aspettativa di vita in Siria si è ridotta di 15 anni per gli uomini e di 10 per le donne. Sia ad Aleppo che a Damasco – le prime città in cui abbiamo iniziato a lavorare – la domanda di cure mediche è estremamente alta: vi sono rispettivamente 2.237.750 e 1.066.261 persone che non hanno accesso a cure sanitarie».

Più della metà degli ospedali pubblici e dei centri di prima assistenza è fuori uso (si stima che circa il 46% degli ospedali e centri di salute sia distrutto o danneggiato, che ci siano solo 2,44 staff medici per ogni 1000 abitanti, di fronte allo standard di 4,45 e che quasi due terzi del personale sanitario abbia lasciato il Paese). Il conflitto ha accresciuto la domanda di servizi sanitari e trattamenti medici, creando liste di attesa molto lunghe nelle rimanenti strutture pubbliche.

Il ridotto numero di strutture sanitarie ancora operanti sta facendo un enorme sforzo che spesso eccede le risorse disponibili, inasprito dai fattori di seguito elencati. «È per questa ragione», racconta Perini, «che nel2016 grazie all’iniziativa del cardinal Mario Zenari, nunzio apostolico in Siria, e della Fondazione Avsi viene lanciato il progetto Ospedali Aperti, con l’obiettivo di assicurare l’accesso alle cure mediche gratuite anche ai più poveri. Attraverso la collaborazione con 3 ospedali privati non profit che non sono stati gravemente danneggiati nel conflitto: l’Ospedale Italiano e l’Ospedale Francese a Damasco e l’Ospedale St. Louis ad Aleppo».

Il progetto diventa operativo nel luglio del 2017 e si è articolato in due fasi: dal 1° luglio 2017 al 31 dicembre 2018 e dall’1° gennaio 2019 al 31 dicembre 2021. Dopo una fase di preparazione che ha comportato la stipula degli accordi sia con le congregazioni che gestiscono i 3 ospedali che con gli ospedali stessi, Avis ha avviato la selezione e l’assunzione del personale dedicato al progetto. Ci si è poi dedicati alla ricerca dei fornitori, alla valutazione dei preventivi e all’acquisto di alcune apparecchiature mediche necessarie, la cui installazione negli ospedali è stata avviata a partire da settembre 2017.
«L’obiettivo generale del progetto», continua Perini, «è di contribuire al miglioramento delle condizioni psico-fisiche della popolazione più vulnerabile in Aleppo e Damasco attraverso la facilitazione di accesso alle cure sanitarie fornite dagli ospedali privati coinvolti».

Al progetto collaborano più enti tra cui Papal Foundation, Conferenza Episcopale Italiana, conferenza episcopale Usa. AVSI decide di destinare le entrate del 5 per mille all’operazione Ospedali Aperti. Al 15 ottobre 2019 erano 22.779 i servizi medici erogati gratuitamente dall’inizio del progetto. A causa del conflitto 600.000 persone soffrono di gravi malattie mentali: solamente il 10% dei centri sanitari primari offre servizi per cure specifiche. A febbraio il progetto si allarga a due Centri sanitari nella periferia di Damasco, quello di Mar Yousef a Dwelaa (parrocchia greco- melchita) e quello di Ibrahim Khalil a Kashkoul (gestito dalle suore Basiliennes Chouerites). «Finita la prima fase biennale il progetto viene prolungato e viene ampliato l’obiettivo: portare cure gratuite ad almeno 50mila persone vulnerabili».

Foto Marco Calvarese

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