Politica
Bobba: due proposte per dare ossigeno al Terzo settore
Ricuperare le risorse “dimenticate” del 5 per 1000 e sbloccare quelle “congelate” per le imprese sociali. Partiamo da qui per dare fiato a un comparto che rischia il collasso. L'intervento dell'ex sottosegretario al Welfare
di Luigi Bobba
La ministra Nunzia Catalfo ha annunciato che nel decreto del Governo per sostenere famiglie e imprese saranno ricompresi tra i destinatari di interventi di Cassa integrazione anche le persone che operano alle dipendenze di Enti del Terzo settore. E’ una misura importante ed urgente per evitare che i danni di questa drammatica crisi si scarichino proprio su quelle organizzazioni e su quelle persone che rappresentano un presidio di solidarieta’ e un motore di inclusione sociale. Garantire le attività di interesse generale degli enti non profit diventa uno degli obiettivi primari per consentire di proseguire senza soluzione di continuità il sostegno alle fasce piu fragili della popolazione, le prime che si ritroveranno a subire le conseguenze economiche dell’emergenza. Per fare questo occorre rapidamente trovare fondi per mantenere il livello di operatività dell’intero comparto sociale.
Per molti enti stanno venendo meno i mezzi finanziari di sostegno per le attività principali e, quelle secondarie che finora hanno garantito entrate utili, sono al momento ferme. In attesa di capire quando e in che misura si riattiveranno i canali finanziari derivanti dalle erogazioni dei privati, occorre avviare una riflessione su quali risorse pubbliche è possibile sbloccare nel breve tempo. Insieme alle altre misure annunciate, è possibile partire nel frattempo da alcune opportunità legate alla possibilità di sbloccare alcune risorse già esistenti che richiederebbero in primo luogo lo snellimento di procedure amministrative e anche qualche piccolo intervento normativo.
In primo luogo ci riferiamo al 5 per 1000.
Non e’ noto a tutti che, dalla sua istituzione (2006) ad oggi, ogni anno alcune centinaia di soggetti iscritti alla Agenzia delle Entrate nel Registro del 5 per 1000 – pur ritrovandosi assegnata una quota del Fondo in ragione delle opzioni effettuate dai contribuenti -, si “dimenticano” di inviare al Ministero del Lavoro i dati necessari per vedersi erogata la somma spettante. Puo’ sembrare paradossale, ma e’ cosi! Ai sensi della legislazione in vigore, il diritto a riscuotere il credito e’ esercitabile fino a 10 anni. Ora con una piccola modifica legislativa, da inserire in uno dei decreti relativi al Coronavirus, si potrebbe pensare ad una modalità per rendere disponibili quelle somme. La riduzione dei termini di prescrizione, sicuramente efficace, potrebbe forse presentare profili di incostituzionalità. In alternativa, si potrebbe prevedere una rivisitazione della procedura di erogazione delle somme derivanti dal 5 per mille allo scopo di attribuire a tutti gli enti che non hanno riscosso il credito, il diritto di procedere alla comunicazione dei dati entro un congruo termine. In caso contrario le somme si renderebbero disponibili con la possibilità, dunque, di recuperare svariate decine di milioni da riassegnare al Fondo del 5 per 1000 dell’anno corrente; fondo che, come è noto, sostiene le attivita’ di piu’ di 50.000 realta’ associative e di volontariato. Potrebbe essere questa anche l’occasione per accelerare l’iter di approvazione del DPCM destinato ad attuare le modifiche apportate alla disciplina del 5 per mille dalla riforma del terzo settore. Il Decreto avrebbe in questa fase un valore aggiunto non indifferente, giacchè potrebbe tagliare i tempi, – circa due anni – di assegnazione delle risorse agli enti. Infatti nella bozza di Dpcm era stata inserita una norma che consentiva all’agenzia delle entrate di assegnare le somme spettanti agli enti beneficiari sulla base delle dichiarazioni dei redditi senza attendere la scadenza dei termini delle dichiarazioni integrative, come avviene purtroppo oggi.
Seconda proposta.
Nel luglio del 2015, nell’ambito dei provvedimenti connessi alla riforma del Terzo settore, Il Mise emano’ un decreto ministeriale attraverso il quale si destinava una quota del Fondo rotativo per le imprese (FRI) anche alle imprese sociali in modo da consentire alle stesse di accedere ai finanziamenti di credito agevolato. Il Fondo istituito ha una capienza di 200 milioni di euro per interventi di credito agevolato e di 23 milioni di euro a fondo perduto. Si trattava di una misura inedita, in quanto fino ad allora le imprese sociali non potevano accedere alle misure previste invece per la generalità delle imprese. E’ un intervento alquanto incentivante poiche’ consente di ottenere credito ad un tasso dello 0,5% restituibile in 15 anni per importi da 200.000 euro a 10 milioni. Tale misura, partita effettivamente nel novembre del 2017, procede con una lentezza inaccettabile; a dicembre 2019 erano stati utilizzati 13.625.000 euro per credito agevolato e 370.000 per contributi non rimborsabili. Ovvero meno del 7% del fondo per il credito e circa l’1.6% della quota a fondo perduto. Quando usciremo da questa crisi, tali risorse non utilizzate potrebbero rappresentare un volano importante per nuovi investimenti sia per le imprese sociali gia’ esistenti che per la fase di avvio delle imprese sociali nate a seguito della riforma con il dlgs 112. Basterebbe incardinare la procedura di concessione del credito su due soli soggetti: la banca, che presenta l’istanza per conto dell’impresa sociale e che deve valutare il merito di credito; e Invitalia, presso cui e’ stato allocato tale Fondo pensato proprio per rafforzare le imprese sociali. Le risorse residue, pari complessivamente a circa 200 milioni, fungerebbero cosi’ da stimolo e sostegno per coloro che vorranno promuovere innovazione sociale. In conclusione: ricuperare le risorse “dimenticate” del 5 per 1000 e sbloccare quelle “congelate” da un eccesso di burocrazia potrebbe costituire un primo passo importante da cui partire.
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