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Così scompare l’umanità dell’Europa al confine Grecia-Turchia
Un giovane siriano di 22 anni proveniente da Aleppo è stato ucciso dalla polizia e un bambino di 6 anni ha perso la vita annegando mentre, nel tentativo di sbarcare sull’isola di Lesbo, l’imbarcazione sulla quale si trovava è stata colpita dalla guardia costiera greca. Attacchi ai centri di accoglienza che hanno spinto operatori e attivisti a sospendere le proprie attività e violenze rivolte ai singoli migranti, oggetto di violenza da parte di gruppi estremisti che soffiano sul vento dell’odio
Ancora una volta al confine Grecia-Turchia numerose persone rischiano la propria vita in fuga dalla morte generata dalla guerra. Sono siriani, afghani e iracheni che hanno cominciato ad avvicinarsi al confine europeo più vicino, la Grecia. Secondo l’Organizzazione Internazionale per le migrazioni, OIM, nei 120 chilometri di confine terrestre fra Grecia e Turchia si troverebbero circa 13.000 persone, molti dei quali bambini , che trascorrono le notti all’esterno, in cammino o davanti ai valichi di frontiera con temperature vicine allo zero. All’indomani dell’offensiva lanciata dalla Turchia alla Siria e dell’inasprimento del conflitto nella zona di Iblid, il Presidente turco Erdogan ha, infatti, annunciato l’apertura dei confini riaprendo quella rotta che era stata ipocritamente chiusa dal costoso accordo siglato con l’Unione Europea nel 2016.
A queste persone disperate si aggiungono coloro i quali, con imbarcazioni di fortuna, si spostano verso le isole greche di fronte alla Turchia. Paradigmatica è in questo caso la situazione dell’isola di Lesbo e, in particolar modo, del campo profughi di Moria dove già, a fronte di tre mila posti previsti, lo scorso mese di ottobre si trovavano, secondo dati Oxfam, quasi 20.000 persone in condizioni disumane e inaccettabili, in uno degli ultimi lembi d’Europa in attesa della valutazione della richiesta di asilo presentata.
Molti uomini e donne, bambini, intere famiglie che dopo esser sopravvissute alle bombe lanciate sulle loro abitazioni in Siria, hanno tentato di raggiungere l’Europa per una vita migliore e si sono ritrovati a vivere al freddo, tra il fango, le pozzanghere, in condizioni igieniche inimmaginabili. Esseri umani, soprattutto bambini, che dopo aver assistito alla guerra, alla morte dei propri cari e alle violenze dei campi, in preda alla disperazione, mettono in atto gesti di autolesionismo o tentano di suicidarsi.
A tale situazione si unisce la decisione presa da parte della Grecia di militarizzare le frontiere sospendendo il diritto di asilo per un mese e le continue immagini dei coraggiosi fotoreporter che continuano a documentare le violenze inaudite e disumane rivolte ai rifugiati. Soltanto ieri un giovane siriano di 22 anni proveniente da Aleppo è stato ucciso dalla polizia e un bambino di 6 anni ha perso la vita annegando mentre, nel tentativo di sbarcare sull’isola di Lesbo, l’imbarcazione sulla quale si trovava è stata colpita dalla guardia costiera greca. E ancora gli attacchi ai centri di accoglienza che hanno spinto operatori e attivisti a sospendere le proprie attività con conseguenze devastanti all’interno dei campi e con violenze rivolte ai singoli migranti, oggetto di violenza da parte di alcuni gruppi estremisti che soffiano sul vento dell’odio.
Nel tentativo di creare delle barriere sia mare che in terra per arginare l’arrivo di queste persone che cercano di scappare dalla guerra che, nei prossimi giorni potrebbero diventare sempre più numerose, scompare ancora una volta l’umanità dell’Europa.
Non potrò mai dimenticare le famiglie e i bambini assistiti dalle missioni MOAS nel Mar Egeo. Nel 2015 la rotta turca ha conosciuto un significativo incremento dei flussi. Oltre alle rotte via terra, il numero di persone provenienti da Siria, Afghanistan, Iraq e Somalia pronte ad affrontare la breve traversata dalla Turchia alla volta delle coste greche per poter raggiungere l’Europa cresceva costantemente. Alla fine del 2015, con l’arrivo dell’inverno, a seguito dell’incremento del numero delle vittime, il team MOAS decise di intervenire con una nave con a bordo due navette di salvataggio ribattezzate con i nomi di Alan e Galip Kurdi realizzando, tra le fine del 2015 e il mese di marzo del 2016, 30 interventi SAR e salvando 1.869 vite umane.
Il mio timore è che oggi, ancora una volta, il numero delle vittime possa continuare a crescere e che tutti coloro i quali stanno fuggendo dal conflitto siriano non riescano ad avere il legittimo diritto a una vita migliore. L’Europa dovrà fornire delle risposte e, augurandomi che non siano ancora una volta degli accordi per trattenere le persone più vulnerabili in condizioni poco sicure o disumane, proponiamo, con il team MOAS, l’implementazione delle Vie Sicure e Legali. Attraverso strumenti già esistenti, ma scarsamente utilizzati, come il ricongiungimento familiare, le sponsorships come i corridoi umanitari e i visti medici, di studio e di lavoro agevolati, le istituzioni nazionali ed europee potrebbero garantire un sistema di ingressi sicuro, legale ed equilibrato nel rispetto della sicurezza dei cittadini europei e dei fondamentali diritti umani delle persone migranti permettendo a chi fugge dalla guerra o da situazioni di pericolo e povertà di raggiungere in sicurezza i Paesi di destinazione.
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Regina Catrambone è co-fondatrice e direttrice MOAS
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