Cultura

PEI versus Coronavirus

Come stanno vivendo la serrata delle scuole gli studenti con disabilità o bisogni educativi speciali? Nessuno o quasi pensa a loro. Al massimo fanno mezz'ora di esercizi, con mamma e papà. «Ma gli studenti con un Piano Educativo Individualizzato non hanno bisogno solo di “fare i compiti” o di “imparare”. La loro realtà è più articolata. Non si tratta di “non finire il programma”, bensì di smarrire progressi frutto di fatiche condivise in anni di impegno», scrive un papà. «Il tempo perduto si recupera, ma ciò che si smarrisce rischia non non ritrovarsi più»

di Fabio Selini

La scuola è sospesa ormai da due settimane e probabilmente resterà chiusa ancora. Qualche studente ha la fortuna di essere dotato di lezioni online e molti altri, dei classici "compiti delle vacanze" mascherati da "la scuola non si ferma". In un momento di emergenza va tutto bene, ci si arrangia. Gli insegnanti fanno quello che possono e gli alunni altrettanto. Amen.
In questo enorme calderone di giorni perduti, tentativi di salvare il salvabile e qualche inevitabile furberia, nessuno (o pochi) raccontano la vita degli studenti che necessitano dei PEI al tempo del Coronavirus. Inutile stare a spiegare cosa sono i PEI, chi legge queste righe lo sa benissimo. Mi limito a decodificare l'acronimo, non tanto per saccenza quanto perchè una specifica parola che lo compone dà senso a quello che andrò a scrivere. Piano Educativo Individualizzato. Non serve altro. È un "piano" (obiettivi e interventi), "educativo" (superfluo spiegare, suvvia), "individualizzato" (specifico e modellato sulle esigenze e le difficoltà). Ecco qui! “Individualizzato”! Bambini e ragazzi che necessitano di vicinanza didattica e umana, di supporto costante e comprensione, di sostegno e accudimento.

Cosa accade agli studenti PEI al tempo del Coronavirus?
A casa come ogni alunno con un po' di compiti specifici da completare, magari preparati da un’insegnante (di sostegno?) che si è fatta in quattro, preoccupata di garantire una specie di continuità educativa. Tutto degno, lodevole e prezioso.
A casa con mamma e papà come unico, improvvisato supporto didattico. Se mai mamma e papà sono poi così in grado di aiutare, s’intende. Ad esempio io conosco bene un papà che non è mai stato in grado di dare una mano i propri figli nei compiti, lo frequento e lo vedo riflesso ogni mattina allo specchio. Un papà, non un insegnante e nemmeno un educatore. E come il tizio dello specchio ce ne sono alti e altre. Non si può essere perfetti, tuttologi, bravissimi. Soprattutto quando si tratta di occuparsi di difficoltà specifiche e certificate che, appunto, necessitano di interventi professionali e di specifica formazione.

Perché gli studenti con PEI non hanno bisogno solo di “fare i compiti” o di “imparare”. La loro realtà è più articolata. Accade a scuola ogni giorno, accanto a questi bambini e ragazzi ci sono Insegnanti di sostegno e educatori professionali che garantiscono supporto didattico, educativo e umano. Vicinanza, specificità, condivisione, inclusione, accudimento, rapporti umani… Tutto questo, in tempi di Virus con la corona e di scuole serrate, manca terribilmente.

Non si tratta di “perdere le lezioni”, di “non finire il programma”, di “dimenticare le tabelline”, bensì di smarrire progressi frutto di fatiche condivise in anni e anni di impegno di insegnanti, educatori, famiglie e soprattutto, studenti. È un patrimonio inestimabile. La scuola per gli studenti e corpo, è sostanza, è vita, è parte di sé.

Queste ore perdute, questa mancanza di tempi e luoghi di essenziale vicinanza didattica/educativa pesano terribilmente. Fare i compiti a casa con mamma e papà (magari per meno di mezz’ora perché ci sono deficit di attenzione, apprendimento ecc) servono di certo a non perdere il contatto con la realtà scolastica, ma sono tremendamente insufficienti rispetto alle esigenze di chi abbisogna costantemente di Piani Educativi Individualizzati, i PEI appunto. I PEI quando ben costruiti e realizzati sono tanta roba, signori! Essenziali e vitali come l’aria che si respira. E quando manca l’aria…

E allora cosa fare? Non certo riaprire le scuole rischiando il contaglio e neppure chiedere ad Insegnanti di sostegno e educatori professionali di svolgere attività domiciliare (il virus non si ferma sulla soglia della casa di famiglia). Altre soluzioni? Non lo so, io faccio il papà. Non ho ricette miracolose o sfere di cristallo rivelatrici. Forse non c’è soluzione o forse sì. Anzi, sì! O forse boh!? Ripeto, non so.
Però bisognerebbe (anzi bisogna) porsi il problema e farsene carico cominciando fin da subito a progettare momenti di “recupero”, strategie inclusive e includenti, “banche ore” (quelle perse in queste settimane ad esempio?) da utilizzare in base alle inevitabili esigenze/difficoltà del rientro… e forse, anzi di certo tanto altro. Questi bambini e ragazzi fantastici e affaticati non possono essere lasciati soli, non devono essere percepiti come effetti collaterali o ignorati dalle istituzioni. Devono tornare al centro delle attenzioni scolastiche e assistenziali.

Perchè “perdere l’anno” conta poco, ma perdere gli appigli ai quali si è aggrappati con le unghie e i denti può essere molto, molto, molto più doloroso, difficile e faticoso. Il tempo perduto si recupera, ma ciò che si smarrisce rischia non non ritrovarsi più.

*Fabio Selini è papà adottivo di Daria e Otavio. Ha scritto questa riflessione sulla sua pagina Facebook e ci ha gentilmente autorizzato alla pubblicazione su Vita.it

Foto Unsplash

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