Welfare

“Dopo di noi”: il paradosso dei soldi non spesi

In Puglia in tre anni sono stati accolti nove progetti, in Molise uno. Le minori entrate derivanti dalle agevolazioni fiscali per trust e assicurazioni porteranno nel fondo molti milioni di euro, che però rischiano di accumularsi a quelli già stanziati e non spesi dalle regioni. «Lanciamo 35 sportelli per diffondere la capacità di fare valutazione multidimensionale e progetti individuali, le famiglie non possono aspettare», dice Roberto Speziale

di Sara De Carli

Seimila beneficiari, a fronte di una platea potenziale che la relazione tecnica che accompagnava la legge nel dibattito parlamentare, nel 2016, aveva quantificato in 127mila persone. Le stime erano dell’Istat: 38mila disabili gravi al di sotto dei 65 anni che vivono soli e hanno perso entrambi i genitori e 89mila che vivono con genitori anziani. «Nell’arco dei prossimi cinque anni circa 12.600 perderanno tutti i familiari», aveva affermato nei mesi successivi l’istituto.

«Cinque anni non sono passati, ma quattro sì. E anche quando i genitori sono ancora vivi, basti pensare che quelli che nel 2016 avevano 80 anni e un figlio di 60, oggi di anni ne hanno 84 e il figlio 64. Quattro anni a quell’età cambiano tutto. Per questo i dati della Seconda relazione al Parlamento, appena presentata, sono francamente sconfortanti», ammette Roberto Speziale, presidente nazionale di Anffas. Speziale è una delle persone che più ha creduto nella legge 112/2016 «e ci credo ancora, perché per le nostre famiglie il dopo di noi non è un tema qualunque, è “il” tema per eccellenza».

Come spiegare questi dati? E come fa a essere ancora ottimista?
Intanto c’è da dire che la Relazione fotografa la situazione al 31 dicembre 2018, quindi a un anno fa. Poi c’è da ricordare che i primi due anni della legge sono stati anni di rodaggio, la legge ha scontato inizialmente la sua portata innovativa, i territori hanno dovuto metabolizzare le novità. Non possiamo dire “tutto male”. Nelle prossime annualità sono certo che i numeri dei beneficiari si innalzeranno, da questo punto di vista ottimista. Certo se pensiamo invece alle famiglie, al bisogno, alla realtà… i numeri sono sconfortanti. Quello dei 6mila beneficiari come anche la cartina d’Italia contenuta nella Relazione, con le 380 nuove soluzioni alloggiative tutte concentrate al Centro Nord. Una cosa che la Relazione evidenzia, ed è importante, è che dove la legge ha funzionato c’è stato un forte raccordo con le associazioni e le famiglie, non solo a livello di consultazione ma anche di coprogettazione e compartecipazione: questo è uno degli elementi qualificanti della legge e anche il riscontro diretto che abbiamo dai territori ci dice questo.

La parte che proprio non ha funzionato è quella relativa alle agevolazioni per trust e assicurazioni.
Se lo ricorda sicuramente, all’epoca ci furono molti attacchi da parte dei 5 Stelle, che dicevano che la legge 112 era nata per fare un favore alle assicurazioni e ai trust… Sono opportunità, ma nessuno che conoscesse un po’ il nostro mondo poteva realisticamente immaginare che ci sarebbe stata una corsa dettata dall’agevolazione fiscale. Lì ha pesato moltissimo la mancanza di una campagna informativa, che era prevista dalla legge stessa in realtà e che non è mai stata fatta. Sono strumenti complessi, che le famiglie non conoscono e verso cui sono diffidenti in prima battuta, vanno spiegati. Poi la relazione stessa dice che sarebbe opportuno lavorare su altri strumenti.

Quel che è certo è che le mancate entrate sono state di un ordine di grandezza incomparabilmente inferiore al previsto e dal momento che quelle risorse, secondo la legge, vanno nel Fondo per finanziare gli interventi per il dopo di noi… significa che sono in arrivo un sacco di soldi in più.
Avremo un sacco di soldi in più, è vero, che rischiano di andare ad accumularsi a quelli che le Regioni hanno già, fermi e che non vengono spesi perché le regioni non sono pronte… Tant’è che la Relazione non lo dice quante sono le risorse che sono state effettivamente utilizzate. Le famiglie hanno bisogno, anzi, sono disperate. Ma alle famiglie i soldi messi a disposizione dalla legge 112 in larghissima parte non sono ancora arrivati. Non è la legge ad essere sbagliata o ad essere un “flop”, è che le Regioni vanno aiutate a spendere questi soldi e a spenderli bene. Questo è il problema principale della legge 112.

È paradossale e sconcertante…
Prendiamo la Puglia. Su 52 domande, in tre anni ne sono state accolte 9 e altre 9 hanno iniziato ad essere prese in carico; i soldi realmente spesi sono poche decine di migliaia di euro a fronte di 12 milioni disponibili. Il Molise ha un solo progetto approvato in tre anni. Ce lo siamo detti più volte, la legge prevede l’attribuzione delle risorse alle Regioni a fronte della dimostrazione di aver speso le risorse degli anni precedenti. Il Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali ha proceduto all'erogazione delle quote spettanti per l'annualità 2018 a 14 Regioni per circa 41 milioni di euro, mentre per Molise, Puglia, Sardegna e Sicilia è ancora in corso l' approfondimento istruttorio relativamente alla rendicontazione per l’annualità 2016. Ma per assegnare quelle risorse, il Ministero di è “accontentato”, come dice la Relazione stessa, della «attribuzione agli ambiti delle risorse relative all'annualità 2016». Attribuzione agli ambiti però non vuol dire ancora “risposte ai cittadini”. Non è che le famiglie in Puglia non hanno bisogno, è che il sistema che è stato costruito è farraginoso e complesso.

Esattamente il problema nelle Regioni qual è?
Non sanno fare i progetti. La legge 112 si attua solo in presenza di una valutazione multidimensionale e di un progetto individualizzato. Sa cosa fanno invece alcune regioni? Dicono di presentare una istanza telematica, indicando l’Isee e caricando il progetto. Chi lo scrive il progetto? Le famiglie. Ma quello non è un progetto, quello al massimo sono i tuoi desiderata. L’alternativa offerta è quella di pagare un’agenzia privata, con al massimo il 10% del contributo, per farti scrivere il progetto. Che senso ha?

Come si possono “aiutare” le Regioni, come dice lei?
Per il 14 febbraio Anffas ha in programma l’evento di lancio del progetto “Liberi di scegliere… dove e con chi vivere", che è una citazione dell’articolo 19 della Convenzione Onu, realizzato con il co-finanziamento del Ministero del lavoro e politiche sociali per l'annualità 2018. L’obiettivo di questo progetto è mettere in campo iniziative utili a fornire concrete soluzioni per la corretta applicazione della legge 112/16, anche attraverso l’attivazione di 35 sportelli territoriali per la predisposizione dei progetti individuali di vita. Sperimenteremo un modello virtuoso per la valutazione multidimensionale, dando il nostro contributo al potenziamento della rete di infrastrutturazione sociale. La nostra storia è questa, da sempre: non quella di lamentarsi, ma di fare cose. In parallelo, stiamo lavorando a un modello di progetto individuale semplificato, pur di avviare il processo.

Che altro dato le balza all’occhio leggendo la Relazione?
La misura più utilizzata è stata la c, quella per le “palestre” per la vita indipendente, che prevedono un distacco progressivo dalla famiglia e servizi per lo sviluppo dell’autonomia… È molto positivo, però…

Però?
Forse può anche celare qualcosa di deprecabile, cioè che da qualche parte si stiano finanziando con i soldi della legge 112 i classici e ordinari servizi dei centri diurni.

Nel mondo Anffas, quante nuove realtà sono nate con la legge 112/16?
Ad oggi, abbiamo censito oltre cento nuove realtà nate su ispirazione della legge 112. Su ispirazione nel senso che le nostre associazioni sono molto pratiche, le iniziative sono conformi alla legge e al suo senso, ma sono state realizzate talvolta con risorse proprie, non con i finanziamenti del fondo della legge. D’altronde come dicevo questo tema è assolutamente all’ordine del giorno per tutte le ns famiglie, in Anffas c’è un fiorire di incontri e di ipotesi… La legge è stato un attivatore straordinario, abbiamo fatto oltre 50 convegni… Il tempo che scorre senza risposte fa male e noi non possiamo aspettare.

Photo by Steven HWG on Unsplash

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