Economia
Randazzo: «Minibond sociali? Il rischio è perdere un’occasione»
Secondo l’avvocato di diritto commerciale e societario e docente del Gruppo di Ricerca Tiresia del Politecnico di Milano «le obbligazioni “sociali” sono all’inizio ma adesso bisogna supportare la creazione di un ecosistema capillare e sostenibile anche attraverso l’adozione di policy adeguate». L’intervista
Roberto Randazzo è avvocato di diritto commerciale e societario e docente del Gruppo di Ricerca Tiresia del Politecnico di Milano. Per questo Vita lo ha interpellato per capire il trend che sta portando sempre più realtà sociali, in particolare cooperative, ad usare strumenti obbligazionari per fare fundraising. «La normativa di riferimento è contenuta nel decreto Legge 22 giugno 2012 n. 83 (“Decreto Sviluppo”) voluta anche per agevolare il ricorso al mercato dei capitali da parte delle Pmi. È questo che ha creato l’opportunità», spiega.
Cosa porta le cooperative sociale a utilizzare un meccanismo pensato per le Pmi?
In realtà i minibond sono involontariamente tagliati a pennello per il mercato del sociale. Parliamo infatti di interventi su singoli progetti collegati magari a bandi pubblici, relativi ad una sfera di intervento garantita o dal convenzionamento o dall’aggiudicazione di appalti e commesse. È questo il perimetro ideale di un minibond.
È quindi scoccata una scintilla in modo casuale?
È la scintilla del metodo e dello strumento. Ma non è ancora la scintilla del mercato espanso. Abbiamo cominciato ma adesso bisogna supportare la creazione di un ecosistema capillare e sostenibile anche attraverso l’adozione di policy adeguate
In che senso?
Questa strada avrebbe dovuto essere battuta molto più convintamente. Non ci voleva molta immaginazione per intuire che i minibond erano adatti al mondo della cooperazione sociale. Subiamo ancora un approccio demonizzante rispetto alla finanza ad impatto sociale. Questo significa non dare accelerazioni. Ed è un peccato mortale
Ma la Riforma del Terzo Settore contiene questo tema…
Avrebbe dovuto contenerlo in maniera molto più radicale soprattutto rispetto agli strumenti obbligazionari e agli investimenti in equity. Ma se nessuno innesca il motore va a finire che saremo sempre di fronte a esperienze spot e isolate con costi marginali altissimi e modelli operativi sempre diversi.
Come fare quindi?
Oggi essere cauti significa non essere innovatori. Bisogna avere il coraggio di fare scelte radicali. E per il futuro essere radicali significa dare un supporto di sistema. La verità
è che le norme ci sono, le possibilità anche, ma manca l’ecosistema. Manca la costruzione di una generazione di gestori che vadano a cercarsi queste opportunità. Se non creiamo il knowledge è come non fare nulla.
Il prossimo step?
Se è vero che il minibond funziona con un approccio sistemico si potrebbe immaginare di costruire un fondo che sottoscriva questi strumenti. Occorre intercettare gli investitori mainstream che oggi non sono in questo settore.
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