Famiglia

I rom di via Rubattino 10 anni dopo? La più bella storia di riscatto

Il 19 novembre 2009, 400 rom romeni venivano sgomberati dalla baraccopoli di via Rubattino a Milano, in tenuta antisommossa. Per i bambini rom, Milano si mobilitò per la prima volta: maestre e genitori dei compagni di classe diedero il via a uno straordinario impegno perché continuassero ad andare a scuola. Dieci anni dopo, quei ragazzi vanno alle superiori, vivono tutti in una casa e almeno un genitore per ogni famiglia ha un lavoro

di Redazione

Il 19 novembre 2009, 400 rom romeni venivano sgomberati dalla baraccopoli di via Rubattino a Milano. In un clima ostile e di "caccia all'uomo", diversi bambini arrivarono ad essere sgomberati 20 volte in un anno, costretti a cambiare 8 scuole in tre anni. La Comunità di Sant'Egidio, insieme a tanti cittadini della zona ("Mamme e maestre di Rubattino"), reagì con azioni solidali, prima fra tutte quella delle insegnanti che ospitarono gli alunni sgomberati.

Dieci anni dopo, il 19 novembre 2019, la quasi totalità di quelle persone (73 famiglie) vive in casa. È finito il tempo delle baracche e dei topi, in ogni nucleo almeno un adulto lavora, il 100% dei minori frequenta le scuole dell'infanzia, primarie e medie, molti ragazzi studiano alle superiori e fanno volontariato. Quello fatto dai rom di via Rubattino è oggi uno dei più significativi percorsi di integrazione di famiglie rom in Italia, che verrà raccontato alla città questa sera, con l’appuntamento "I Rom di Via Rubattino 10 anni dopo. Immagini, video e racconti di un'integrazione possibile" (19 novembre, ore 20.30, CAM Garibaldi, Corso Garibaldi 27), organizzato dalla Comunità di Sant’Egidio. Persone rom porteranno la loro testimonianza, interverranno l'Assessore alle Politiche sociali del Comune di Milano Gabriele Rabaiotti, il direttore di Avvenire Marco Tarquinio e Milena Santerini, docente dell'Università Cattolica e membro della Comunità di Sant'Egidio; coordinano Stefano Pasta, Assunta Vincenti, Flaviana Robbiati e Elisa Giunipero. Sarà proiettato il video "Mi sembra che è un sogno".

Flaviana Robbiati è una delle maestre della scuola elementare di via Pini. Nel febbraio 2010, alla vigilia di un nuovo sgombero dei loro alunni, questa volta dal campo di Segrate, con alcune colleghe, avevano scritto una lettera: “Ciao Marius, ciao Cristina, Ana, ciao a voi tutti bambini del campo di Segrate. Sappiamo quanto siano stati difficili per voi questi mesi: il freddo, tantissimo, gli sgomberi continui che vi hanno costretti ogni volta a perdere tutto e a dormire all'aperto in attesa che i vostri papà ricostruissero una baracchina, sapendo che le ruspe di lì a poco l'avrebbero di nuovo distrutta insieme a tutto ciò che avete. Le vostre cartelle le abbiamo volute tenere a scuola perché sappiate che vi aspettiamo sempre, e anche perché non volevamo che le ruspe che tra pochi giorni raderanno al suolo le vostre casette facessero scempio del vostro lavoro, pieno di entusiasmo e di fatica. Saremo a scuola ad aspettarvi, verremo a prendervi se non potrete venire, non vi lasceremo soli, né voi né i vostri genitori che abbiamo imparato a stimare e ad apprezzare. Grazie per essere nostri scolari, per averci insegnato quanta tenacia possa esserci nel voler studiare, grazie ai vostri genitori che vi hanno sempre messi al primo posto e che si sono fidati di noi. Di sicuro continueremo ad insegnarvi tante, tante cose, piu' cose che possiamo, perche' domani voi siate in grado di difendervi dall'ingiustizia, perche' i vostri figli siano trattati come bambini, non come bambini rom, colpevoli prima ancora di essere nati. Vi insegneremo mille parole, centomila parole perche' nessuno possa piu' cercare di annientare chi come voi non ha voce. Ora la vostra voce siamo noi, insieme a tantissimi altri maestri, professori, genitori dei vostri compagni, insieme ai volontari che sono con voi da anni e a tanti amici e abitanti della nostra zona. A presto bambini, a scuola».

È stato così davvero. Le maestre sono andate a prendere i bambini a casa e la stessa cosa hanno fatto tanti genitori dei compagni di classe di quei bambini. Era la prima volta – forse rimasta un unicum – che a Milano si vide tanta mobilitazione per i rom. «Perché?», chiedemmo a Flaviana Robbiati. «Ci siamo ritrovati dentro. Di fronte a un'ingiustizia così grande, come si fa a rimanerne fuori? Mi stupisce il contrario, che faccia notizia chi come noi difende i bambini e non chi ne calpesta i diritti. Quando ci sono in ballo bambini italiani non funziona così. Abbiamo organizzato una raccolta di firme e una fiaccolata di solidarietà, maestre e genitori. Però abbiamo dovuto mandare avanti qualcuno a spiegare che le fiaccole non erano per incendiare le tende. Lo sgombero c'è stato comunque, ma i ragazzi hanno continuato a frequentare la scuola. C'è un ragazzo di 16 anni che tutte le mattine da Chiaravalle accompagna qui due fratelli e un cuginetto».

A scuola hanno continuato ad andare ogni mattina, e non solo. La scuola è stata la chiave d’ingresso in un percorso cominciato dai bambini ma che ha coinvolto le famiglie intere. Come quella di Pietro, che ora lavora e non chiede più l’elemosina per sfamare la sua famiglia. I suoi figli vanno tutti a scuola, il grande, alle superiori, fa pure volontariato, la moglie lavora anche lei, fa le pulizie. Vivono in un appartamento in zona Corvetto. La Comunità di Sant'Egidio, che in questi anni ha coordinato le azioni solidali di tanti milanesi, spiega che «dieci anni di amicizia ci dicono che tanti muri sono stati abbattuti, tante cose che ritenevamo impossibili sono diventate la normalità: è normale che un ragazzo finisca le medie e si iscriva alle superiori, è normale che due amici rom e non rom escano insieme a Milano che è la città di entrambi, è normale che un anziano milanese sia accudito da una donna rom. È diventato normale che persone tanto diverse si sentano parte della stessa famiglia. È stata un'amicizia che ha chiesto di cambiare a tutti, ai rom e ai non rom. Nel 2009 attorno a famiglie e persone rom ci siamo legati e, negli anni successivi, abbiamo legato altri, mostrando come la solidarietà possa essere contagiosa: la vicenda di via Rubattino sconfigge la rassegnazione e ci insegna che è più bello per tutti – rom e non rom – vivere gli uni insieme agli altri e non gli uni contro gli altri».

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