Welfare

Alpine Refugees, le Alpi da trappola a rifugio per migranti

Presentato al Brennero il volume comparativo con i contributi di 38 ricercatori sull’immigrazione in Italia, Austria e Svizzera che offre una diversa rappresentazione della questione migratoria in Europa, a partire dal ruolo degli immigrati nelle aree montane e rurali, confrontando le realtà

di Redazione

Le Alpi possono essere “rifugio” o “trappola” per i migranti. Questa dicotomia dipende da come sono regolamentati i flussi migratori, implementate le politiche di inclusione sociale e lavorativa, e da come è gestita l’accoglienza di richiedenti asilo e rifugiati.
È questo il punto di partenza del volume “Alpine Refugees” (Cambridge Scholars Publishing, 2019), pubblicato con il supporto di Euricse, Cantone dei Grigioni e Istituto BAB di Vienna, presentato al Plessi Museum del Brennero alla presenza degli autori Giulia Galera (Euricse) e Andrea Membretti (Eurac Research), che con Manfred Perlik (Università di Berna) e Ingrid Machold (BAB) hanno curato il testo


Il volume, al quale hanno contribuito 38 esperti appartenenti a università e centri di ricerca “alpini” riuniti dal 2015 nella rete transnazionale ForAlps – Foreign immigation in the Alps, offre una diversa rappresentazione della questione migratoria in Europa, a partire dal ruolo degli immigrati nelle aree montane e rurali, confrontando le realtà di Austria, Italia e Svizzera.

Dall’analisi delle 293 pagine del testo emerge che le Alpi sono ancora terra di emigrazione ma sempre più di immigrazione, sia interna, i “nuovi montanari”, sia, in misura maggiore, internazionale, innanzitutto da Europa Orientale e Africa. «Gli immigrati stranieri nelle Alpi si dividono essenzialmente in “volontari” (immigrati per lavoro) e “forzati” (richiedenti asilo e rifugiati): i primi ci sono da almeno 20 anni e tengono in piedi interi sistemi produttivi locali (agro-silvo-pastorale, edilizia, turismo, ristorazione, servizi alla persona). I “montanari per forza” sono invece un fenomeno recente, meno numeroso ma che nonostante ciò attira molto di più l’attenzione mediatica. Negli ultimi tempi, la distinzione tra le due categorie tende ad essere sempre meno netta, vista la drammatica situazione di molti Paesi di provenienza dei migranti», ha spiegato Andrea Membretti (Eurac Research).

Guardando ai numeri citati nel volume, al 1 gennaio 2017 gli stranieri residenti nelle Alpi italiane erano circa 350mila, contro oltre 4 milioni di italiani, per un’incidenza di 60 nati stranieri residenti ogni 1000 abitanti (in Italia gli stranieri residenti sono l’8,3% del totale). In Trentino Alto Adige, sempre nella stessa data, c’erano più di 90mila residenti stranieri: nello specifico il 9% della popolazione della Regione è nata all’estero.
I richiedenti asilo e i rifugiati non fanno però parte di questo computo; calcolare il loro numero, infatti, è molto difficile. Gli autori del volume hanno fatto riferimento ai residenti in strutture Sprar e nei Cas: nel 2016 in Italia ne erano stati registrati 125mila, per una stima di quasi 13mila richiedenti asilo collocati nelle Alpi italiane e, in totale, con il 40% ospitato in aree montane, alpine o appenniniche.

Nei 27 capitoli di “Alpine Refugees”, emergono similitudini tra Austria, Italia e Svizzera rispetto alla crescente presenza di stranieri in aree alpine, soprattutto in relazione al mercato del lavoro interno che li richiede, ma anche in virtù delle politiche nazionali di redistribuzione dei richiedenti asilo (e a volte di confino) in zone montane. I tre Paesi condividono anche la difficoltà di pensare a politiche migratorie in grado di includere i migranti a livello locale secondo un approccio che non sia emergenziale e/o securitario, bensì finalizzato alla rivitalizzazione di questi territori. Il panorama delle esperienze locali è comunque variegato e a macchia di leopardo. «Accanto a discutibili iniziative di accoglienza in aree montane, che hanno innescato fenomeni di grave esclusione sociale, si rilevano alcune esperienze virtuose che sono riuscite a trasformare la spesa in accoglienza in investimento in capitale umano», è stata la riflessione di Giulia Galera (Euricse).

Alla presentazione nel Plessi Museum, moderata dalla giornalista Marika Damaggio, hanno partecipato anche il sindaco di Brennero, Franz Kompatscher e la responsabile della Regio Wipptal Sabine Richter. Come esempio di buona pratica di integrazione, è stato coinvolto il Centro giovani del Brennero. «In Alto Adige ho trovato molta solidarietà nei confronti dei giovani e una buona propensione all’integrazione. Il nostro centro è una realtà aperta a tutti; da noi il colore della pelle e la provenienza non sono un ostacolo», ha spiegato Saad Khan, 24 anni, di origini pakistane, referente del Centro.

Gli immigrati – hanno concluso i ricercatori del network ForAlps – costituiscono una risorsa attuale e potenziale enorme per la macro regione alpina, in termini non solo economici ma anche socio-culturali, perché in grado di contribuire alla rigenerazione dei territori e delle comunità ospitanti. Il ritorno delle barriere ai confini alpini rappresenta quindi una minaccia diretta alla strategia europea Eusalp basata sulla libera circolazione di merci, idee e persone tra i versanti alpini, e una minaccia alla stessa costruzione europea.

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