Volontariato

Il non profit in crescita cerca servizi specializzati

A tre anni dalla riforma enti in aumento e più spazi per i consulenti. La sfida della contabilità sociale

di Valentina Melis

Scrivere un bilancio sociale per gli enti del terzo settore o valutare l’impatto delle azioni messe in campo da un’organizzazione, dove questo è richiesto da una pubblica amministrazione o a beneficio dei finanziatori. Sono alcune delle competenze mirate richieste ai professionisti che affiancano gli enti non profit o hanno intenzione di aprire nel loro studio un dipartimento dedicato a questi clienti. Gli ultimi dati diffusi dall’Istat fotografano un settore che continua a crescere con tassi medi annui superiori a quelli che si rilevano per le imprese “profit”, sia per numero di istituzioni (arrivate a 350.492), sia per numero di dipendenti (844.775).

Anche se la riforma avviata nel 2016 non è ancora pienamente a regime – non sono partiti i nuovi regimi fiscali di favore per gli Ets, che attendono il via libera della Ue, né il nuovo Registro unico nazionale degli enti del terzo settore – qualcosa si muove. Il ministero del Lavoro ha pubblicato (il 9 agosto) le linee guida per redigere il bilancio sociale degli enti del Terzo settore: un rendiconto non finanziario, ma a tutto tondo dell’attività svolta, che è obbligatorio per gli enti con entrate sopra il milione di euro, per le imprese sociali, per i centri di servizio per il volontariato. Anche se l’organizzazione non ha grossi volumi di entrate, poi, il bilancio sociale è una scelta di trasparenza nei confronti dei finanziatori, può essere richiesto agli enti che operano in collaborazione con pubbliche amministrazioni o decidono di partecipare a bandi che lo prevedono.

Un altro decreto del ministero del Lavoro pubblicato il 12 settembre contiene le linee guida per i sistemi di valutazione dell’impatto sociale delle attività degli enti del Terzo settore. È un un punto qualificante della riforma, che porterà le organizzazioni a “misurare” il beneficio sociale portato dagli investimenti effettuati e dalle azioni messe in campo. Anche questo è un ambito di specializzazione che coinvolgerà i consulenti delle organizzazioni non profit, e in particolare i commercialisti.

A un anno dalla firma dell’accordo tra il Consiglio nazionale dei dottori commercialisti e degli esperti contabili e CSVnet, l’associazione dei centri di servizio per il volontariato che offrono supporto tecnico e formazione agli enti non profit, sono stati siglati 20 accordi di collaborazione tra gli Ordini territoriali e gli stessi centri di servizio. «La prima cosa avviata nelle Regioni – spiega Roberto Museo, commercialista e direttore di CSVnet – è la formazione congiunta tra i professionisti e le aree di consulenza dei Csv. È stato un primo modo di lavorare insieme e conoscersi meglio, superando qualche resistenza da ambedue le parti».

L’obbligo di aggiornare gli statuti degli enti del terzo settore, adeguandoli alle regole della riforma, è slittato al 30 giugno 2020, ma ci sono enti che si sono già allineati. Questo processo porterà con sé la progressiva adozione degli organi di controllo e dei revisori legali, previsti dal Codice del Terzo settore per le associazioni, quando l’ente supera determinate dimensioni, e per le fondazioni. «Noi commercialisti – spiega Gianni Massimo Zito, vicepresidente della commissione Enti Terzo Settore dell’Odcec di Roma – siamo chiamati a una forte specializzazione, sul fronte dei bilanci, sociali e non, sulla valutazione dell’impatto sociale delle azioni degli enti e sul fronte della revisione, che deve seguire principi ad hoc per gli enti del Terzo settore. Proprio per questo – aggiunge – anche le società di consulenza più strutturate stanno creando dipartimenti con competenze specifiche».

Lavorare per il non profit è remunerativo per i professionisti, dato che il 61% degli enti ha entrate sotto 30mila euro all’anno? Sul piano delle “tariffe”, secondo Davide Bertolli, commercialista di Bertolli e Associati, studio specializzato nella consulenza al Terzo settore, «il professionista dovrebbe adottare gli stessi format che si usano per le start-up: scommettere cioè sul successo del cliente, perdendo magari qualcosa all’inizio ma potendo poi lavorare bene. Comunque – aggiunge – gli enti oggi sono disposti a riconoscere e remunerare le competenze specifiche dei professionisti».

Intanto, considerando che il mercato dei beni e dei servizi acquistati dalle organizzazioni non profit vale oltre 21 miliardi, la start up innovativa Italia non profit ha appena lanciato un marketplace online che fa incontrare domanda e offerta di servizi (consulenziali e non) dedicati al Terzo Settore.


da Il Sole 24 ore

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