Non profit
Tutela minori: la qualità cresce con la partecipazione
Nei percorsi che accompagnano le famiglie più fragili, comprese quelle in cui si rende necessario il temporaneo allontanamento di un minore, c'è spazio per la partecipazione? Un convegno di Legacoop Lombardia presenta l'efficacia del modello costruito a partire dall'esperienza della cooperativa sociale “La casa davanti al sole” di Varese, in collaborazione con l'Università Cattolica
La partecipazione, per Giorgio Gaber, era l’essenza stessa della libertà. Meno poeticamente ma più concretamente, partecipazione è una parola chiave delle pratiche sociali più innovative: per “Voci in comune”, il “dizionario” dell'amministrazione condivisa elaborato qualche mese fa da Labsus, «si può parlare di partecipazione solo quando la cittadinanza opera consapevolmente e in forma attiva per la trasformazione e, dunque, non è solo destinataria di comunicazioni, né oggetto di indagini consultive da parte di un decisore. Il suo scopo è il miglioramento della qualità delle politiche o dei progetti, facendo intervenire il sapere implicito dei cittadini e la loro capacità di contribuire personalmente al miglioramento delle comuni condizioni di vita. Inoltre, essa favorisce l’ampliamento della democrazia, dà voce a gruppi e soggetti marginali o esclusi dalla rappresentanza (come gli stranieri, o i bambini), rafforza il legame di fiducia tra cittadini e istituzioni, stimola la creatività e rende possibile la sperimentazione di pratiche innovative». Ora, è possibile scegliere la via della partecipazione anche nei percorsi di tutela minori? O questa area del sociale così delicata (e talvolta bistrattata) deve necessariamente dispiegarsi nella distanza di ruoli distanti, dettati dalla tutela di interessi divergenti?
L’esperienza della cooperativa sociale “La casa davanti al sole”, che lavora su Varese e Venegono Inferiore, è tutta improntata ad andare oltre la forma classica del “servizio”, impostando interventi «con una forte impronta comunitaria anche quando sono rivolti al singolo e danno voce e responsabilità progettuale a chi fruisce dell’intervento stesso; richiamano alla partecipazione attiva di chi si trova nella situazione di difficoltà considerando la fragilità come dimensione strutturale della esistenza stessa. Possiamo definirli “Interventi di Welfare Partecipato ”». Modelli di servizio per cui il minore è sì al centro, ma anche la famiglia di origine e quella affidataria sono attori da coinvolgere in trasparenza. Le prassi partecipative a “La casa davanti al sole” vengono sperimentate da cinque anni e gli esiti – validati dall’Università Cattolica – sono da poco stati raccolti in un volume “Tutela minorile e processi partecipativi” (Franco Angeli). Se ne parlerà mercoledì 30 ottobre nell’incontro pubblico “Prassi partecipative per la qualità del lavoro nella tutela minori” organizzato da Legacoop Lombardia alla Casa dei Diritti a Milano (ore 9-13, in Via de Amicis 10) cui parteciperanno cooperatori sociali, ricercatori universitari, assessori alle politiche sociali, rappresentati delle istituzioni, genitori e figli.
Legacoop Lombardia, attraverso le sue associate, segue poco più di 1.500 minori e 1.200 famiglie, con più esperienze di Assistenza Domiciliare Minori che di comunità. Realtà in cui è diffusa, già da anni, la logica del monitoraggio, dalla qualità, dell’accountability. Per Attilio Dadda, presidente di Legacoop Lombardia e vicepresidente di Legacoop nazionale, «in un momento di speculazione sull’attività professionale delle cooperative, credo sia importante ristabilire un livello di verità – che spetta alla magistratura – ma anche di qualità, buone pratiche e studi che questo settore sta producendo. Le realtà impegnate nella tutela minori hanno tutte un forte radicamento sul territorio e in questo senso il loro lavoro è estremamente qualificante per la crescita delle comunità locali». Il tema della partecipazione, su cui questo incontro mette l’accento, è relativamente inedito ma cruciale, tanto che anche in questa calda estate post Bibbiano molte analisi hanno indicato proprio nella capacità di coinvolgere le famiglie, costruendo percorsi non conflittuali, il punto di forza o di caduta del sistema.
«È chiaro che il distacco dalla famiglia è un momento di rottura, ma puntare sulla partecipazione al punto da codificarla permette di trasformare quel momento in una fase di un percorso, che tanto più è condiviso tanto meno diventa oggetto di contenzioso», prosegue Dadda. «Siccome sono gli operatori sociali e gli educatori ad essere sul campo, riteniamo sia interesse delle cooperative sociali studiare e spingere su questo modello. Significa anche, per noi, giocare un ruolo terzo, tra il pubblico e la famiglia, cercando di connettere gli attori, di farlo con un una visione partecipata e codificata da un modello, perché questo alla fine garantisce tutti».
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