Famiglia

In 10 anni triplicati i bambini poveri in Italia

In Italia sono oltre un milione e 260 mila i bambini che vivono in condizioni di povertà assoluta; negli ultimi dieci anni sono triplicati: passando dal 3,7% del 2008, pari a 375 mila, al 12,5% del 2018. Di questi bambini: 563 mila vivono nel sud, 508 mila al nord e 192 mila al centro. A denunciare la condizione dei minori in Italia è Save the Children nell'Atlante dell'Infanzia a rischio

di Redazione

Un paese «vietato ai minori», dove negli ultimi dieci anni il numero dei bambini e ragazzi in povertà assoluta è triplicato, raggiungendo quota 1,2 milioni. Dove ci sono sempre meno nascite, si riducono sempre più gli investimenti nella spesa sociale per l’infanzia e l’istruzione, cresce la dispersione scolastica e gli studenti sono costretti in scuole non sicure: oltre 7mila sono vecchi e più di 21mila senza certificato di agibilità. È la fotografia dell’Italia scattata dal decimo Atlante dell’Infanzia di Save The Children , la pubblicazione a cura di Giulio Cederna e intitolata “Il tempo dei bambini” che fa il bilancio della condizione dei bambini e adolescenti in Italia negli ultimi dieci anni. Scoprendo che i giovani italiani leggono sempre meno libri ma passano sempre più tempo on line: la percentuale di”iperconnessi” è aumentata di quasi il 40% tra il 2008 e il 2018.

Il rapporto è stato presentato in 10 città italiane in occasione del lancio della nuova edizione della campagna “Illuminiamo il futuro” contro la povertà educativa. Campagna accompagnata da una petizione on line con l’hashtag #italiavietatAiminori per il recupero di 16 spazi pubblici abbandonati sparsi per la penisola, da destinare ad attività extrascolastiche gratuite per i bambini e a spazi scolastici sicuri.

Minori in povertà

Secondo Save The Children la percentuale di minori che in Italia oggi vivono in povertà assoluta, ovvero senza i beni indispensabili per condurre una vita accettabile, è più che triplicato, passando dal 3,7% del 2008 al 12.5% del 2018. Un record negativo tra i Paesi europei, dicono i dati, che è peggiorato negli anni più duri della crisi economica, tra il 2011 e il 2014, quando è passato dal 5% al 10%. In termini assoluti, sottolinea l’organizzazione per l’infanzia, i numeri sono ancora più impressionanti: nel 2008 i minori in questa condizione erano circa 375mila, nel 2014 già sfioravano 1, 2 milioni. Oggi sono 1,26 milioni (563mila nel mezzogiorno, 508mila a nord e 192mila al Centro). «Fortissimi», secondo il rapporto, i divari territoriali: se in Emilia Romagna e Liguria poco più di un bambino su 10 vive in famiglie con un livello di spesa molto inferiore rispetto alla media nazionale, questa condizione peggiora in regioni del Mezzogiorno come la Campania (37,5%) e la Calabria (43%). Una povertà che si manifesta nella mancanza di beni essenziali, lo stretto indispensabile per una vita dignitosa: un'alimentazione e un'abitazione adeguata: nel 2018, infatti, sono 453mila gki under 15 che hanno beneficiato di pacchi alimentari.

La spesa per l’infanzia: «Bassa e ingiusta»

«In un paese impoverito, in cui si fanno sempre meno figli e in cui il tema dell'integrazione dei “nuovi italiani” diventa sempre più urgente», dice Save The Children, l'Italia continua a «non avere un Piano strategico per l'infanzia dotato di adeguati investimenti». Secondo i numeri, infatti, siamo tra i paesi Ue che meno investe nell’infanzia, con forti divari anche a livello territoriale: a fronte di una spesa sociale media annua per famiglia e minori di 172 euro pro capite da parte dei comuni, la Calabria si attesta sui 26 euro e l'Emilia Romagna a 316. Un divario che penalizza il Sud e in particolare tutte quelle aree che sono state colpite dalla mancata definizione dei Livelli essenziali delle prestazioni sociali (LEP) previsti dalla riforma del Titolo V della Costituzione. In mancanza di un intervento di riequilibrio da parte dello Stato centrale, i divari territoriali e regionali sono cresciuti, piuttosto che diminuire, nel corso degli anni.

Meno fondi, più abbandoni e scuole non sicure

Secondo l’Ocse l’Italia spende per istruzione e università circa il 3,6% del Pil a fronte di una media degli altri paesi del 5 per cento, ricorda Save The Children, sottolineando che la causa di questo ritardo «va ricercata in un'azione precisa, consapevole e devastante», ovvero la spending review dispensata dalla riforma del 2008, che «ha scippato alla scuola e all'università 8 miliardi di euro in 3 anni». Così la spesa per l’istruzione, spiega ancora l’organizzazione per l’infanzia, è crollata dal 4,6% del Pil del 2009 fino al minimo storico del 3,6% del 2016 (ultimo dato Ocse disponibile), mentre nello stesso periodo «molti paesi europei» portavano «gli investimenti nel settore istruzione e ricerca al 5,3% di Pil, per poi scendere al 5% negli anni a seguire». Un «tempo perso» che, secondo Save The Childremn, si traduce ogni anno «in centinaia di migliaia di bambini persi alla scuola», ovvero i cosiddetti “Early school leavers”, su cui l’Italia – pur avendo fatto significativi passi in avanti – resta indietro, attestandosi attualmente a un 14,5%. Resta il nodo della sicurezza: i dati parlano di 21.662 istituti scolastici che in Italia non hanno un certificato di agibilità e di 24mila senza certificato di prevenzione per gli incendi.

Sempre meno libri, sempre più Web

L’indigenza diventa anche povertà educativa: nel 2008, secondo i dati, i ragazzi che non leggevano nemmeno un libro oltre quelli scolastici erano il 44,7%, dopo 10 anni sono diventati il 47,3 per cento. Meno stimoli culturali e meno sport – un under 17 su 5 non pratica nessuna attività sportiva – ma sempre più Web: nel 2008 il 23,3% dei minori non usava quotidianamente Internet, quota che è scesa nel 2018 a solo il 5,3%, con una riduzione del digital divide tra Nord e Sud del paese.

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