Politica

Via l’assegno unico dalla nota di aggiornamento al Def

Era l'idea più forte e di visione sentita finora. Dava un segnale urgente. Ma per quest'anno non si farà. Un tweet del sottosegretario Misiani però rilancia: «L’assegno unico è una grande riforma che guarda al futuro. Per il governo è una priorità. Arriverà con una legge delega che permetterà di avviare nel 2020 il riordino e l’unificazione degli strumenti esistenti a sostegno delle famiglie»

di Sara De Carli

L’idea dell’assegno unico per figlio, universale, era davvero un’idea forte, una visione di futuro e di società, una politica che si proietta nel futuro anziché gestire l’ordinaria amministrazione. L’unica idea forte forse sentita finora. Ma non ci sarà, almeno non quest’anno. Oggi, a conclusione dell'esame della Nota di aggiornamento del Documento di economia e finanza 2019, l'Assemblea del Senato ha approvato le proposte di risoluzione sulla Nadef che tolgono l’assegno unico dal perimetro della prossima legge di bilancio. Nell’impegnare il Governo «alla promozione delle misure di welfare, al sostegno e alla qualificazione del sistema sanitario universale, al sostegno e alla qualificazione del sistema di istruzione, formazione, alta formazione, università, ricerca, innovazione, al rafforzamento delle politiche abitative e all'implementazione di interventi in favore delle famiglie», si citano ora soltanto «l'azzeramento delle rette per gli asili nido per i redditi medi e bassi e un ampliamento dell'offerta a partire dal Mezzogiorno». L’assegno unico scompare come locuzione ma resta il concetto del «riordino e unificazione degli strumenti esistenti per la valorizzazione e il sostegno delle responsabilità familiari e genitoriali» da fare però «nel corso del triennio di programmazione».

Il sottosegretario di Stato per l'economia e le finanze, Antonio Misiani, nella discussione ha affermato che «c'è l'ampliamento e la gratuità dei nidi, ma c'è anche il tema del riordino e dell'unificazione degli strumenti monetari di sostegno alle responsabilità famigliari, perché noi oggi abbiamo l'assegno al nucleo familiare che va ai dipendenti ma non agli autonomi, le detrazioni Irpef per carichi famigliari che vanno ai capienti ma escludono chi guadagna troppo poco per pagare le tasse, abbiamo vari bonus, non abbiamo un assegno unico a sostegno dei figli a carico come accade in Germania, Francia, Gran Bretagna, nelle altre grandi democrazie europee. Il riordino e l'unificazione di quegli strumenti, contenuti nella risoluzione di maggioranza, sono un obiettivo di medio periodo, perché è un tema di grande complessità e non riusciremo ad affrontarlo in questa legge di bilancio, ma è un obiettivo che è importante riaffermare in questa sede». A sera è arrivato anche un tweet.

Focus quindi sugli asili nido. Questione «che, magari, quantitativamente, nell'economia di una manovra da 30 miliardi, appare poco rilevante è di straordinaria rilevanza sociale nel nostro Paese. Noi abbiamo – ce lo ha ricordato l'Istat nelle audizioni – un tasso di occupazione femminile del 50 per cento, inferiore di 18 punti al tasso di occupazione maschile e di 13 punti al tasso di occupazione femminile medio europeo. Abbiamo una generazione di donne istruite e competenti che potrebbero e vorrebbero dare un contributo straordinario al mondo del lavoro italiano e che non possono farlo perché c'è una debolezza della rete dei servizi, un'offerta di posti nei nidi molto inferiore a quella del resto d'Europa e molto sperequata sul territorio e c'è un oggettivo ostacolo nei confronti di tante donne al rientro nel mondo del lavoro per effetto della debolezza dei servizi e di rette che in molti casi pesano enormemente sui bilanci delle famiglie italiane. Noi vogliamo agire su entrambi i versanti, ampliare l'offerta di asili nido (il piano di investimenti risponderà anche a questa esigenza) e azzerare le rette per le famiglie a reddito basso e medio, per creare nuove opportunità, per ridurre le disuguaglianze, per ampliare l'offerta di lavoro femminile e quindi anche da questo punto di vista migliorare il potenziale di crescita della nostra economia. Certo, è un primo passo: le politiche per il sostegno alle responsabilità famigliari rappresentano, dal punto di vista del Governo, la strategia di lungo respiro che vogliamo implementare con più strumenti».

«Siamo stanchi, le famiglie sono stanche», ha commentato il presidente nazionale del Forum delle associazioni familiari, Gigi De Palo. «Era difficile, è ancora difficile, ma ci proveremo fino alla fine. Oggi tutta l’Italia sa che cos’è l’assegno x figlio del Forum, il tema è posto. Sapevamo delle difficoltà, ma continueremo a giocarcela fino in fondo. Fino alla fine».

Misiani ha spiegato anche la scelta di mantenere il reddito di cittadinanza. «In Italia il numero di poveri assoluti è triplicato dal 2007 al 2017 (erano 1,7 milioni prima della crisi e sono saliti a cinque milioni nel 2017). L'Italia, nel 2017, prima dell'introduzione del reddito di inclusione e prima dell'introduzione del reddito di cittadinanza, spendeva lo 0,4 per cento del PIL per politiche contro la povertà e l'esclusione sociale, meno della metà della media europea (0,4 la media italiana e 0,9 la media europea). L'avvento del reddito di inclusione prima e del reddito di cittadinanza oggi ci permette quasi di colmare questo divario, perché l'ammontare di risorse destinato al reddito di cittadinanza ci avvicina alla media europea, anche se rimarremo comunque al di sotto. Credo che, dal punto di vista dell'allocazione delle risorse nel bilancio dello Stato, sia una scelta sacrosanta quella di mantenere e rafforzare nel nostro Paese una misura universalistica e strutturale contro la povertà, come esisteva in tutti i Paesi europei; l'Italia, insieme alla Grecia, era l'ultimo Paese a non avere questo tipo di strumento, che è stato introdotto dal Governo di centrosinistra e rafforzato dal Governo precedente. Credo sia assolutamente ragionevole mantenerlo e naturalmente migliorarlo dal punto di vista del suo funzionamento, in relazione all'obiettivo che deve avere uno strumento come il reddito di cittadinanza, che consiste nel tirare fuori le persone da una condizione di emarginazione, di esclusione sociale e di povertà e reincluderle nel mondo del lavoro e fuori da una condizione di marginalità».

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