Welfare

Affido: se chi allontana il bambino è lo stesso operatore che dovrebbe ricucire la famiglia

Quando viene disposto l’allontanamento di un bambino, i genitori spesso guardano con ostilità ai servizi sociali. Al contrario, l’affido dovrebbe essere proprio uno percorso di crescita anche per loro: «difficile però affidarsi, se le persone che si propongono di accompagnarti sono le stesse che hanno segnalato la disfunzionalità della tua famiglia», riconosce Maria Cristina Calle, psicoanalista, consulente di Cometa. Un’idea? Raddoppiare i servizi: indagine da una parte, accompagnamento dall’altra

di Sara De Carli

Maria Cristina Calle, psicoanalista, collabora da diversi anni come consulente dell’Associazione Cometa di Como, una rete di famiglie che in questo momento accoglie 91 bambini in affido. «L’affido significa credere che le persone possano cambiare e superare le difficoltà. Il lavoro con la famiglia d’origine è fondamentale affinché essa capisca che deve modificare alcuni suoi comportamenti e migliorare le risorse educative, rinunciando temporaneamente – per il percorso evolutivo del figlio – alla quotidianità del rapporto. Il principio non è l’affermazione del superiore interesse del minore, ma del migliore interesse di tutti, perché se i genitori stanno bene anche il bambino sta bene. L’operatore allora viene visto come qualcuno che lavora per tutti i componenti della famiglia, non solo per il bambino: ovvio che per un genitore è più difficile avere fiducia se ad accompagnarlo sono gli stessi servizi che hanno segnalato al Tribunale la disfunzionalità della sua famiglia», afferma Calle. È una proposta ricorrente fra gli addetti ai lavori: un servizio sociale autonomo, che segua l’indagine e faccia la valutazione e quello del Comune che realizzi il progetto di accompagnamento… Ci sarebbe maggior terzietà e le famiglie sarebbero più disponibili a collaborare, ma ovviamente costerebbe di più.

In questo momento, qual è il contenuto che le pare più urgente sottolineare parlando di minori fuori famiglia e servizi di tutela dei bambini?
La differenza tra affido e adozione: è una differenza enorme, ma non mi pare così chiara a tutti. Si parla di bambini sottratti alle famiglie, ma non viene esplicitato che i minori in affido solitamente hanno un rapporto costante con i genitori – ovviamente non nei casi in cui non è previsto nel progetto – anche intenso, anche due volte settimana, col tempo rientrano a casa magari una giornata o un fine settimana e poco meno delle metà degli affidi si conclude con il rientro definitivo nella famiglia d’origine.

Il concetto centrale dell’affido è la “composizione”, il bambino deve riuscire a tenere insieme senza conflittualità sia la famiglia di origine che la famiglia che lo aiuta a crescere, nella quotidianità. È un lavoro molto intenso ma i bambini sono capaci di farlo. Evidentemente ci sono differenze tra le due famiglie, cominciando da quelle educative, ma composizione significa lavorare affinché le differenze non siano al centro del rapporto. Questo è un tassello importante nella selezione delle famiglie affidatarie: la capacità di accogliere il bambino con la sua famiglia, che c’è anche quando non c’è perché ogni bambino l’ha in sé.


L’idea dell’affido è che la famiglia sostenga e capisca il percorso del bambino, comprenda che devono modificare alcuni aspetti della loro vita. Ciò che viene richiesto alla famiglia d’origine ricorda la posizione della madre che si presenta a re Salomone, disposta a rinunciare al figlio purché egli possa continuare a vivere.

Maria Cristina Calle

Quanto è importante quindi il lavoro con la famiglia di origine?
Deve essere accolta e sostenuta affinché recuperi le proprie risorse educative. L’idea dell’affido è che la famiglia sostenga e capisca il percorso del bambino, comprenda che devono modificare alcuni aspetti della loro vita. Ciò che viene richiesto alla famiglia d’origine ricorda la posizione della madre che si presenta a re Salomone, disposta a rinunciare al figlio purché egli possa continuare a vivere. Nell’affido non si tratta di rinunciare al figlio ma alla quotidianità del rapporto con lui: la continuità, la quotidianità le dà la famiglia affidataria, ma il rapporto con il figlio nell’affido viene mantenuto. La famiglia d’origine è frequentemente carente sul piano educativo, ma non sul piano affettivo, un buon legame affettivo spesso anzi esiste. Esistono – non dimentichiamolo – anche affidi consensuali, mamme che si rendono conto delle proprie limitazioni oggettive e seguono il percorso evolutivo del figlio offrendo tutto il sostegno necessario alla sua crescita. Per fortuna sono aumentati gli affidi dove le figure di attaccamento collaborano.

Immagino non sia per nulla facile però…
Una delle maggiori difficoltà è che a volte il servizio che segue il progetto di affido è lo stesso servizio che ha segnalato la disfunzionalità al Tribunale. È difficile per la famiglia del bambino stabilire un rapporto di fiducia e farsi accompagnare nel cambiamento. Nei casi in cui la segnalazione e l’indagine l’ha fatta un altro servizio, l’intervento è più efficace e il genitore capisce più facilmente che l’operatore dei servizi sociali è una persona che lavora anche per lui, non solo per il bambino. Il tema è quello del migliore interesse, più che del superiore interesse del bambino: io penso, a differenza di altri, che l’interesse sia di tutti. La complessa architettura del sistema dell’affido implica lavorare per il bene di tutti, se i genitori stanno bene, anche il bambino sta meglio… Un tempo la famiglia allargata e i vicini si occupavano dei figli di chi aveva difficoltà, adesso questo tessuto solidale non esiste più e lo si cerca di ricreare con questa complessissima architettura.

Una delle maggiori difficoltà è che a volte il servizio che segue il progetto di affido è lo stesso servizio che ha segnalato la disfunzionalità al Tribunale. È difficile per la famiglia del bambino stabilire un rapporto di fiducia e farsi accompagnare nel cambiamento. Nei casi in cui la segnalazione e l’indagine l’ha fatta un altro servizio, l’intervento è più efficace e il genitore capisce più facilmente che l’operatore dei servizi sociali è una persona che lavora anche per lui, non solo per il bambino. Il tema è quello del migliore interesse, più che del superiore interesse del bambino: io penso, a differenza di altri, che l’interesse sia di tutti.

Maria Cristina Calle

È noto che nonostante le campagne di sensibilizzazione, trovare famiglie affidatarie è difficile…
Nell’Associazione Cometa ho riscontrato una sorta di fenomeno di “contagio” tra le famiglie, sono tante le famiglie che si avvicinano. Avere una rete di famiglie e la certezza di essere accompagnate e sostenute da un’equipe di specialisti, aiuta. Le famiglie si sentono “tenute” dalla rete, c’è una trasmissione dell’esperienza, una formazione e autoformazione fra integrata con il lavoro dell’équipe affido che è indispensabile ma da solo non basterebbe. A queste famiglie, oltre all’impegno costante nell’accompagnare la crescita dei bambini, si chiedono tante rinunce, ad esempio molti minori arrivano senza documenti e per anni non si riesce a venirne a capo, con tutte le limitazioni che questo comporta, oltre agli innumerevoli impegni strutturati nel progetto di affido. Emotivamente, inoltre, alla coppia è richiesta una stabilità tale da gestire non solo le difficoltà che emergono ma anche l’imprevedibilità del progetto di affido, perché l’affido oltre che temporaneo è imprevedibile. Le coppie che non consideriamo attrezzate per reggere tutto questo, a volte restano comunque nella rete come una risorsa importante di supporto.

Quali sono i numeri di Cometa?
Attualmente sono 60 le famiglie affidatarie coinvolte e 91 i minori in affido. Inoltre la cooperativa Il Manto gestisce tre comunità famigliari, con 16 bambini in affido. Dal 2002 sono stati 45 i minori rientrati in famiglia d’origine, per 14 c’è stato un cambio di progetto perché l’evoluzione psichica dei bambini ha richiesto una presa in carico specialistica che la famiglia non potrebbe affrontare, sono stati collocati in comunità terapeutica o educativa, 5 sono in una comunità mamma bambino e 15 sono rimasti oltre la maggiore età. Tra le famiglie della rete dell’associazione Cometa ci sono famiglie-ponte o di pronto intervento, che accolgono bambini molto piccoli, con procedimenti di adozione aperti, restano fino alla pronuncia definitiva dell’adottabilità e al passaggio nella famiglia adottiva. Nelle famiglie affidatarie sono rimasti in adozioni 7 bambini, tutti disabili o con problemi di salute. Cometa è un’esperienza che ho visto crescere in questi 10 anni, che è cresciuta interrogandosi e modificandosi in relazione alle questioni che man mano ha incontrato nel suo cammino.

In queste settimane, dopo Bibbiano, la cronaca ha raccontato di famiglie affidatarie che ora si sentono un po’ additate come persone interessate al business. Lei avverte che è cambiato qualcosa?
Le famiglie nuove che si sono avvicinate negli ultimi mesi fanno domande, non capiscono come possano stare insieme ciò che vedono a Cometa e ciò che leggono sulla stampa. Le famiglie “vecchie” invece sono dispiaciute da quel che si legge ma non sembrano particolarmente toccate dalle notizie date dalla stampa, perché conoscono dall’interno l’esperienza. Quelle affidatarie sono famiglie che sono abituate a mettersi molto in discussione, perché l’affido è proprio un’esperienza di gratuità e di solidarietà che fa anche mettere in discussione la propria esperienza genitoriale e ciò consente alle famiglie di crescere e maturare in continuazione.

Serve rivedere la legge sull'affido?
La società avanza rapidamente, ma la prima cosa da fare sarebbe applicare le leggi che già esistono, far funzionare le cose. L’anello che fa difetto è lo svuotamento di risorse nei servizi del territorio. Un tempo Comune e Asl lavoravano maggiormente insieme e in coprogettazione con le realtà del Terzo settore, ora invece, ad esempio, l’assistenza psicologica non è più integrata con il servizio sociale del territorio. I Comuni da soli non hanno risorse per far fronte a un lavoro così intenso. Fare una riforma della legge in questo momento, prima di valorizzare e potenziare ciò che è già presente nel tessuto sociale, non sembrerebbe opportuno.

Photo by Ben Wicks on Unsplash

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