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Governo, svolta sulle migrazioni? Bene, ma basta improvvisazioni

Dal global compact alla riforma del trattato di Dublino, al superamento dell’approccio emergenziale, alla necessità di definire precise norme per gli ingressi regolari, anche per combattere l’irregolarità, alla doverosa attenzione alle percezioni e paure dei cittadini. Ecco da dove ripartire. La nota di Link 2007

di Redazione

Il nuovo Governo sembra intenzionato ad affrontare la realtà dell’immigrazione e della mobilità umana in chiave europea e uscendo definitivamente dalla fase emergenziale. Le Ong associate in LINK 2007 accolgono con favore i segnali politici per un reale governo della realtà migratoria che sappia coniugare umanità, solidarietà, dignità di ogni persona, utilità per il paese e regole precise per arginare illegalità e traffici umani, assicurando sicurezza. L’importante è che non si ricominci da capo e cessino le improvvisazioni. Molto lavoro è stato fatto in questi anni in ambito accademico, politico e della società civile, che può essere messo a frutto. Proponiamo sinteticamente alcune riflessioni su temi di attualità che LINK 2007 ha sviluppato nei recenti anni: dal global compact alla riforma del trattato di Dublino, al superamento dall’approccio emergenziale, alla necessità di definire precise norme per gli ingressi regolari, anche per combattere l’irregolarità, alla doverosa attenzione alle percezioni e paure dei cittadini, all’inclusione sociale, agli orientamenti condivisi.

  • Il Global Compact dimenticato

Aderire al Patto Globale per una migrazione sicura, ordinata e regolare è per l’Italia un passo utile e necessario. Frutto della dichiarazione dell’assemblea generale dell’ONU nel 2016 e del successivo approfondito lavoro di esperti governativi e qualificate realtà accademiche e non governative a livello globale, è stato firmato lo scorso dicembre a Marrakech da 164 paesi (assenze significative, oltre all’Italia, quelle di Stati Uniti, Australia, Israele, Svizzera, Austria, Ungheria, Polonia, Slovenia). Si tratta di un patto giuridicamente non vincolante ma che rappresenta un fondamentale riferimento per delineare una reale governance dei movimenti migratori nella sicurezza e nelle regole.

Il presidente del consiglio dei ministri Giuseppe Conte dovrebbe farsi promotore di una mozione parlamentare che modifichi il precedente insensato impegno “a non sottoscrivere” tale patto, annunciandola tra pochi giorni nel suo discorso all’assemblea generale delle Nazioni Unite dove, lo scorso anno, si era impegnato a sostenere il Global Compact. Sarebbe un considerevole segnale politico alla comunità internazionale e di serietà e credibilità dell’Italia.

Il Patto Globale può rappresentare il denominatore condiviso su cui poter basare le politiche dell’Unione europea per il governo della realtà migratoria. Disegna infatti il filo conduttore su cui poggiare decisioni comuni, pur nelle legittime differenti scelte e modalità operative dei singoli Stati.

  • La Riforma del regolamento di Dublino

La convenzione di Dublino del 1990, stipulata con l’obiettivo di armonizzare le politiche in materia di asilo per garantire ai rifugiati un'adeguata protezione, è stata pensata in funzione principalmente dei richiedenti protezione dei paesi dell’est europeo. Per evitare duplicazioni di richieste, è stato fissato che lo Stato membro a cui compete l'esame della domanda d'asilo e l’accoglienza è quello del primo ingresso del richiedente. I successivi regolamenti di Dublino II (2003) e Dublino III (2013) non hanno modificato quest’impostazione, limitandosi ad introdurre alcune precisazioni, quali le impronte digitali, la banca dati a livello europeo, maggiori tutele all’infanzia con obbligo di considerare sempre l’interesse superiore del minore, più ampie possibilità di ricongiungimento famigliare, modalità e costi dei trasferimenti.

Dopo un anno e mezzo di approfondito lavoro nella Commissione libertà civili, giustizia e affari interni, l’assemblea del Parlamento europeo ha approvato nel novembre 2017 una proposta di revisione del regolamento di Dublino con la maggioranza dei due terzi. Essa tende a coniugare solidarietà e fermezza e risponde assai bene alle esigenze italiane.

Al fine di ridurre il peso sui paesi in prima linea, essa prevede che tutti gli Stati membri debbano condividere equamente la responsabilità degli arrivi di richiedenti protezione internazionale ed elimina la disposizione del primo paese di arrivo per la valutazione delle richieste e per l’accoglienza. I richiedenti protezione devono accettare di restare nello Stato che è individuato secondo una gerarchia di criteri che tiene conto dei legami esistenti (presenza di parenti, ricongiungimenti, precedenti soggiorni). Altrimenti, essi sono ricollocati tramite un meccanismo di assegnazione automatico, secondo quote calcolate sulla base del Pil e della popolazione, con la possibilità di esprimere una preferenza in una lista di Stati con il minor numero di richieste.

Lo Stato di assegnazione diventerebbe quindi competente ad esaminare la domanda del richiedente ed assicurarne la permanenza sul proprio territorio. Non è possibile sottrarsi al meccanismo e sono penalizzati gli Stati membri inadempienti, sia con limitazioni all’accesso ai fondi europei, sia con l’esclusione dai fondi per il rimpatrio dei non aventi diritto alla protezione internazionale. Il Parlamento europeo, pur nella rigorosità adottata, ha escluso qualsiasi chiusura protettiva dei confini e ha confermato il trattato di Schengen e la libera circolazione.

  • Il Consiglio europeo ad un bivio

L’adozione di questa riforma è bloccata dal Consiglio europeo, essendo richiesta su tale materia l’unanimità degli Stati membri. Alcuni paesi la impediscono risolutamente, compresa l’Italia del primo governo Conte il cui ministro dell’Interno, alla vigilia della riunione dei ministri dell’Interno europei il 5 giugno 2018, ha dichiarato che "il governo italiano dirà no alla riforma del regolamento di Dublino e a nuove politiche di asilo", senza poi presentarsi alla riunione. Si è trattato di una deplorevole decisione, dato che l’Italia avrebbe potuto far valere le proprie ragioni nel successivo Consiglio europeo per migliorare ulteriormente la proposta di riforma, di per sé già vantaggiosa, secondo le proprie aspettative e i propri interessi e premere sugli Stati refrattari “amici”, verificandone il reale grado di “amicizia”.

Se la regola dell’unanimità blocca le decisioni europee impedendo qualsiasi riforma, se la piena competenza degli Stati membri in materia migratoria limita le decisioni comuni, è compito e dovere degli Stati più illuminati trovare le modalità politiche per superare quanto prima tali ostacoli. Se il trattato di Dublino non può essere modificato a causa del veto, nonostante l’evidente inadeguatezza alla realtà odierna, servirà un atto politico di rottura, come è stato in questi giorni proposto da Enrico Letta.

Si tratterebbe di uscire da tale trattato insieme alla parte riformatrice degli Stati europei, vanificando quindi l’efficacia del veto, e contemporaneamente firmare un nuovo trattato tra i Paesi che ci stanno, secondo le linee proposto dal Parlamento europeo, con l’equa assunzione di responsabilità e la regola delle decisioni a maggioranza. Sarebbe anche il modo per continuare a costruire e a rafforzare il cammino politico dell’Unione. Gli accordi transitori che si stanno definendo tra paesi europei sugli approdi nel Mediterraneo centrale non devono divenire il pretesto per ritardare una simile decisione.

  • Il Governo italiano e la fine dell’approccio emergenziale

L’Italia dovrebbe ristabilire quanto prima precise e chiare regole per gli ingressi, esigendone il rispetto. La regolarità degli ingressi è una delle priorità per potere uscire dalla fase emergenziale che l’Italia ha vissuto e per potere dare inizio ad attive, condivise ed efficaci politiche di integrazione. Non tutti gli immigrati fuggono dalla guerra, dalle calamità, dalla fame. Occorre prenderne atto. Stabilire regole precise di ingresso nel rispetto dei diritti umani e della dignità della persona è la via maestra per combattere l’irregolarità e per permettere un’adeguata accoglienza e integrazione, a partire da chi ha bisogno di aiuto e protezione ma soprattutto per definire precisi e appropriati criteri per aprire vie legali a chi intenda venire in Italia per lavoro o per studio, anche sperimentando strumenti innovativi per la migrazione circolare e quella ciclica legata alla stagionalità. Solo l’apertura agli ingressi regolari può legittimare opzioni politiche di fermezza contro un’immigrazione incontrollata. Dando così ai cittadini ed alle loro percezioni e paure – da tenere in seria considerazione – il segnale che davvero le cose stanno cambiando, grazie a politiche che intendono governare l’immigrazione in modo ordinato, regolare e sicuro. Sono le tre parole chiave del Patto Globale sulle migrazioni, risultato di un lavoro che ha le sue radici in anni di analisi, valutazioni, mediazioni, a cui il Governo italiano dovrebbe ora aderire, insieme agli altri 164 paesi che già l’hanno sottoscritto, che potrebbe tra l’altro facilitare la stipula degli accordi migratori con tali paesi.

Si è troppo a lungo sottovalutato il tema dell’integrazione e inclusione. La storia ci insegna che quando la forbice dell’inclusione si allarga troppo, emarginando, discriminando, negando diritti basilari ad ampie fasce di popolazione, le società entrano in crisi. Vale oggi più che mai. La necessità di politiche e azioni finalizzate all’inclusione (sociale, educativa, economica, politica) vale non solo per gli immigrati ma per tutti i cittadini in condizione di fragilità e marginalizzazione, quando non di vessazione. La nostra Costituzione, all’art. 3, è chiara e ogni distinzione che escluda e discrimini chiunque sia nel nostro paese è da bandire. L’inclusione e l’integrazione strutturata garantiscono maggiore legalità, controllo e sicurezza. Serve di più prevenire che punire col carcere persone costrette alla devianza da situazioni di marginalità e fragilità. Data l’ampiezza del problema, servirà un impegno congiunto delle istituzioni e delle organizzazioni della società civile.

  • I partenariati internazionali

La via intrapresa dall’Italia e dall’Unione europea degli accordi con i principali paesi di provenienza e di transito degli immigrati dovrà a nostro avviso essere rafforzata e perfezionata in una prospettiva di lungo termine, non a senso unico ma a reale vantaggio reciproco, con positive ricadute sulla popolazione e lo sviluppo delle comunità. Le spinte che portano ad emigrare sono normalmente legate alla mancanza di speranza nel futuro. Ad ognuno dovrebbe invece essere garantito il diritto di non essere obbligato ad emigrare ma di trovare le condizioni per potere prendere in mano la propria vita considerando il valore del vivere nella propria terra per costruirvi il proprio futuro. Si tratta di un’impresa che per essere vinta richiede, particolarmente in questa fase, responsabili partenariati internazionali per lo sviluppo, con un intenso e sincero dialogo con le società e le istituzioni di questi paesi e con le diaspore presenti nei nostri territori. Non tanto per esercitare forme di deterrenza, esercizio di poca utilità, ma per promuovere con l’istruzione e lo sviluppo una diversificazione delle opzioni di fronte alla scelta migratoria ed una maggiore consapevolezza.

La cooperazione internazionale, nelle sue molte articolazioni nazionali e internazionali, può avere un ruolo primario a sostegno di questo processo. Ma va intesa correttamente, “promuovendo relazioni solidali e paritarie tra i popoli fondate sui princìpi di interdipendenza e partenariato” (legge 125/2014, art.1) e coordinando le varie iniziative e i vari strumenti in una strategia di intervento comune, con una svolta nei partenariati internazionali. In particolare con l’Africa, che in trent’anni raddoppierà la popolazione con 2,4 miliardi di persone ed un’ampia maggioranza di giovani, in gran parte istruiti e pronti al lavoro, di fronte al continente europeo in calo demografico e invecchiato.

  • Riflessioni sul discorso pubblico

Uscire dall’approccio emergenziale e alquanto disordinato dei recenti anni richiede anche qualche ripensamento sul discorso pubblico. Proponiamo alcune considerazioni:

  • non è né giusto né onesto affermare ‘apriamo le porte e accogliamoli tutti’, producendo tra l’altro uno scontato e pericoloso effetto opposto, difficilmente governabile, come abbiamo verificato in questi ultimi anni;
  • salvare vite umane è un dovere, un imperativo, senza se e senza ma;
  • l’accoglienza è un valore: ma deve anche corrispondere all’effettiva possibilità di essere dignitosa, condivisa, inclusiva, inserita nel progetto di società, di lavoro e di welfare di chi accoglie;
  • uno Stato ha non solo il diritto ma il dovere di dotarsi di regole – rispettose dei diritti e della dignità di ogni persona e al contempo rigorose – che impediscano arrivi irregolari, indiscriminati, incontrollati e prevedano l’effettivo allontanamento di chi ha contravvenuto a tali regole, salvi i casi di forza maggiore previsti e protetti dal diritto internazionale;
  • abolire, senza la definizione di un nuovo quadro normativo, ogni distinzione tra i rifugiati in fuga da guerre e violenze, protetti dalle convenzioni internazionali, e chiunque altro provenga da paesi di povertà potrebbe essere un errore (pur capendo le motivazioni), derivandone un’inevitabile svalutazione delle convenzioni;
  • le percezioni e le paure dei cittadini, anche quando non corrispondono alla realtà dei fatti, non sono da deridere ma devono essere prese in seria e prioritaria considerazione e ad esse devono essere fornite risposte efficaci per il loro superamento.

    LINK 2007 – COOPERAZIONE IN RETE” è formata dalle Ong: AMREF, CCM, CESVI, CIAI, CISP, COOPI, COSV, ELIS, MEDICI CON L’AFRICA CUAMM, ICU, INTERSOS, LVIA, WORLD FRIENDS – www.link2007.org presidenza@link2007.org

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