Cultura
Allontanare un bambino? È sempre un intervento a cuore aperto (ma può salvare una vita)
«Operare per la tutela dei minori non ha mai nulla d’ordinario: si tratta sempre, come per un chirurgo, di fare un “intervento a cuore aperto”, occorre grande specializzazione per tutti. Eppure l’affido ha aiutato molti bambini a trovare serenità e lo dico proprio da avvocato che difende bambini da molti anni. Purtroppo questo non ha la giusta enfatizzazione nei media». Un'intervista con l'avvocato Grazia Cesaro, presidente dell'Unione Nazionale Camere Minorili
«È bene dire che operare per la tutela dei minori non ha mai nulla d’ordinario: si tratta sempre, come per un chirurgo, di fare un “intervento a cuore aperto”, occorre grande specializzazione per tutti. Eppure l’affido ha aiutato molti bambini a trovare serenità e lo dico proprio da avvocato che difende bambini da molti anni. Purtroppo, e non capisco perché, questo non ha la giusta enfatizzazione nei media preferendo altri tipi di comunicazione più scandalistici». L'avvocato Grazia Cesaro difende i minori dal 1992, a maggio 2019 è stata eletta presidente dell’Unione Nazionale Camere Minorili, ed è una degli esperti che abbiamo coinvolto nella copertina di VITA di settembre, dedicata alla "calda estate" dei servizi per la tutela e la protezione dei minori, dopo l'indagine aperta sui servizi sociali della Val d'Enza.
Qual è in sintesi – sarebbe perfetto un’immagine – la situazione oggi dei servizi che si occupano di minori e di genitori che hanno difficoltà ad esercitare il loro ruolo?
Difendo minori da oltre 25 anni e mentre io sono evidentemente invecchiata, ho visto le figure dei servizi ringiovanirsi sempre più: conosco sempre meno le persone. Questa è la conseguenza della necessità di esternalizzazione a cooperative esterne, per motivi economici e di taglio degli investimenti sul welfare.
È un problema: se lo Stato disinveste, non si può pensare che questo disinvestimento non abbia ricadute in termini di professionalità. Minor investimento vuol dire operatori con numero elevato di casi e meno interventi di sostegno alle famiglie: più disinvesti, meno puoi ragionare in termini di efficienza, rendi il servizio meno stabile, hai meno continuità e professionalità. Questo è un discorso che deve essere messo al primo punto, non è solo una valutazione politica, anche da avvocato avere un servizio sociale professionale è un aiuto importante nel processo.
Nella sua esperienza, come vede cambiato il bisogno di protezione dei minori e le difficoltà dei genitori?
Dal 1992, quando ho cominciato, ad oggi molto è cambiato. Ho iniziato a lavorare occupandomi di minori prevalentemente in situazioni di gravi povertà di risorse economiche, mentre oggi il disagio dei minori è trasversale, c’è sempre la precarietà economica e sociale, ma il disagio non sembra essere più solo legato ad aspetti economici. Ci sono le disgregazioni familiari e il senso di insicurezza connesso, c’è l’aumento del disagio mentale anche tra i minori e adolescenti.
Difendo minori da oltre 25 anni e mentre io sono invecchiata, ho visto le figure dei servizi ringiovanirsi sempre più: conosco sempre meno le persone. Questa è la conseguenza della necessità di esternalizzazione a cooperative esterne, per motivi economici e di taglio degli investimenti sul welfare. È un problema, non si può pensare che questo disinvestimento non abbia ricadute in termini di professionalità
L’affido può essere un business, come è stato più volte detto in questi giorni?
In Lombardia in realtà abbiamo provvedimenti di affido che rimangono ineseguiti, lasciando i minori in comunità. Dal mio osservatorio il problema è opposto: accogliere un bambino in affido richiede grandi energie, non è certo un affare economico e le famiglie di oggi – spesso monogenitoriali – non hanno le risorse per un impegno così gravoso. Si è tentata in passato anche la strada dell’affido professionale, ma non ha aumentato di molto l’offerta. Di fatto anche io come curatore mi trovo sempre più spesso a sollecitare i servizi per minori che sono in comunità, chiedendo di trovare famiglie affidatarie: mi dicono “conosciamo la situazione, ma non abbiamo disponibilità”. Detto ciò, va anche sottolineato che in Italia (i dati sono del 2104) i minori fuori famiglia sono circa 26.000 dietro la Francia che ne ha 138.000 e la Germania che ne ha 125.000.
Casi come quello della Val d’Enza ci dicono che ci sono falle nel sistema: quali sono le criticità principali?
I fatti della val d’Enza sono oggetto di procedimento penale e certo quella è la sede in cui dovranno con attenzione e scrupolo essere vagliati, senza operare generalizzazioni pericolose e peraltro fuorvianti. Se vi sono responsabilità queste sono ovviamente individuali. È bene dire che operare per la tutela dei minori non ha mai nulla d’ordinario: si tratta sempre, come per un chirurgo, di fare un “intervento a cuore aperto”, occorre grande specializzazione per tutti. Eppure l’affido ha aiutato molti bambini a trovare serenità e lo dico proprio da avvocato che difende bambini da molti anni. Purtroppo, e non capisco perché, questo non ha la giusta enfatizzazione nei media preferendo altri tipi di comunicazione più scandalistici. Ciò che la cronaca attuale ci riporta però è certo un’occasione per riflettere su quanto è migliorabile: serve a mio parere un miglior utilizzo di risorse ma anche una riflessione sulla specializzazione di tutti gli operatori coinvolti e una implementazione della raccolta dati. I dati sui minori fuori famiglia ad esempio provengono da fonti di rilevazione diverse, Ministero Lavoro e politica sociali, Istat, Autorità Garante per l’Infanzia e l’Adolescenza… e non vengono raccolti in maniera omogenea. Questa lacuna è segnalata anche nell’ultimo rapporto di monitoraggio sull’applicazione della Convenzione sui diritti infanzia e adolescenza (CRC) in Italia. Il sistema delle banche dati con informazioni omogenee consentirebbe di avere sia un maggiore monitoraggio sul lavoro dei servizi (se davvero in Val d’Enza vi era numero spropositato di allontanamenti e affidi, dalla banca dati sarebbe emerso) sia un monitoraggio sulle situazioni dei minori allontanati.
Ciò che la cronaca attuale ci riporta però è certo un’occasione per riflettere su quanto è migliorabile: serve a mio parere un miglior utilizzo di risorse ma anche una riflessione sulla specializzazione di tutti gli operatori coinvolti e una implementazione della raccolta dati.
È sempre più urgente inoltre la strutturazione compiuta della Banca Dati Nazionale, quale unico strumento di monitoraggio costante, mediante l’estensione a tutto il territorio nazionale del sistema di rilevazione S.In.Ba (Sistema informativo nazionale sulla cura e la protezione dei bambini e delle loro famiglie), in attuazione del Decreto n. 206 del 16 dicembre 201411. Spesso si sottovaluta l’importanza dello strumento informatico nel nostro settore, mentre una banca dati ben strutturata e una comunicazione tra autorità giudiziarie potrebbe velocizzare e agevolare non poco il sistema di tutela minore. Ad esempio se vi è un procedimento aperto su un minore avanti al Tribunale per i Minorenni ed un procedimento aperto magari di separazione dei genitori avanti al Tribunale ordinario, i giudici non hanno possibilità di accedere alle stesse informazioni: il giudice dovrebbe poter digitare sul proprio computer il nome del minore, la data di nascita, e vedere tutti i procedimenti che lo coinvolgono. Oggi non è così.
Anche io come curatore mi trovo sempre più spesso a sollecitare i servizi per minori che sono da tempo in comunità, chiedendo di trovare famiglie affidatarie: mi dicono “conosciamo la situazione, ma non abbiamo disponibilità”
Molti hanno messo in evidenza lo “strapotere” di giudici e assistenti sociali, evidenziando come sia praticamente impossibile per i genitori fare appello alle decisioni prese, soprattutto in considerazione del fatto che spesso esse restano provvisorie e di conseguenza non appellabili. È un problema? Servono forme di tutela maggiore per i minori e per le famiglie in questi iter così delicati? Oggi che possibilità esistono di “correggere” una decisione sbagliata?
Sicuramente l’impianto normativo è migliorabile, prevedendo maggiori forme di garanzia e occorre implementare e coordinare le garanzie del giusto processo con le esigenze di tutela anche immediata di un minore. Ad esempio l’immediata comunicazione alla parte della richiesta di apertura di un procedimento di adattabilità o de potestate da parte del PM, con fissazione di una udienza per garantire il contraddittorio. Altra procedura che deve essere meglio regolata è quella dell’articolo 403, con l’indicazione di tempi di ratifica del provvedimento urgenti da parte del Tribunale. Su questo era già stato fatto un tavolo tecnico tra avvocatura e magistratura, bisogna continuare a lavorarci per fare al Parlamento proposte pensate e non basate sull’improvvisazione. Ma non facciamoci prendere dal mito del contraddittorio che risolve tutto: nel mondo minorile, come nel mondo sanitario, la tempestività di un intervento di tutela può anche salvare una vita. L’allontanamento nella mia esperienza è sempre considerato estrema ratio, è difficile per tutti e non è mai fatto a cuor leggero da nessuno. E ho visto più di una volta eccessive cautele e accertamenti portare a interventi tardivi che hanno comportato gravissimi danni al bambino. Anche questo però non fa notizia, o la fa solo in casi gravissimi.
Non facciamoci prendere dal mito del contraddittorio che risolve tutto: nel mondo minorile, come nel mondo sanitario, la tempestività di un intervento di tutela può anche salvare una vita. L’allontanamento nella mia esperienza è sempre considerato estrema ratio. E ho visto più di una volta eccessive cautele e accertamenti portare a interventi tardivi che hanno comportato gravissimi danni al bambino. Questo però non fa notizia
Serve un avvocato del minore? Cosa esiste già a tal proposito e che differenza ci sarebbe rispetto all’esistente? Sarebbe da nominare in tutti i casi o solo in alcuni? Esisterebbero poi, nel caso, un numero sufficiente di professionisti con questa competenza specifica?
Anche su questo è necessario un intervento normativo. Con l’entrata in vigore nel 2007 della legge 149/2001, che ha introdotto la figura dell’avvocato del minore, non vi è stata alcuna legge di attuazione normativa. C’è stato un vuoto pazzesco, che noi come avvocati minorili abbiamo segnalato subito e continuiamo a segnalare. Basti solo pensare che normativamente è prevista la formazione del difensore d’ufficio dell’imputato minorenne nel caso di procedimento penale ma non vi è nulla per il difensore del minore nel procedimento civile. La giurisprudenza di merito ha supplito e la prassi oggi più conforme alle indicazioni normative è la nomina di un curatore già avvocato (che dunque ha la competenza per costituirsi in proprio se lo ritiene anche nel procedimento ex art. 86 c.p.c) in situazioni di grave conflitto di interesse con entrambi i genitori questo in coerenza anche con le indicazioni della Convenzione di Strasburgo. Quindi nei casi di allontanamento del minore da entrambi i genitori il curatore dovrebbe sempre essere nominato, in realtà ciò non avviene sempre. Anche alcuni Consigli dell’Ordine sono intervenuti spontaneamente a colmare il vuoto normativo organizzando corsi di formazione per avvocati/curatori dei minori. Ma perché su un ruolo così importante non è stato il legislatore a intervenire?
Nei casi di allontanamento del minore da entrambi i genitori il curatore dovrebbe sempre essere nominato, in realtà ciò non avviene sempre. Ma perché su un ruolo così importante non è stato il legislatore a intervenire?
È interessante una recente pronuncia della CEDU nella quale la Corte, vista la mancata nomina di un curatore in un grave caso di caso di conflitto d’interessi tra minori e genitori, prima di decidere ha chiesto allo Stato di nominarlo. Una procedura insolita, da alcuni criticata come ingerenza nello Stato, ma in realtà ha significato molto perché ha riconosciuto quello che la nostra Corte Costituzionale dice da tempo, cioè che il minore coinvolto in un procedimento giudiziario deve avere un suo rappresentante autonomo che lo difenda, se i genitori hanno dimostrato di non poterlo fare.
In questa calda estate sono state fatte diverse ipotesi per migliorare il sistema di protezione dei minori: una commissione d’inchiesta sulle case famiglia, si è tornato di nuovo a parlare di soppressione dei TM… A suo parere cosa serve davvero?
Non occorre la bacchetta magica né inventarsi “effetti speciali”, ma solo colmare alcune lacune, lavorando su ciò che da tempo dicono le raccomandazioni sull’attuazione della CRC in Italia. Servono investimenti di risorse, in termini di maggiori servizi ma anche di specializzazione e formazione degli operatori coinvolti. Serve l’attivazione immediata delle banche dati e una miglior comunicazione tra le stesse, sia quelle dei servizi sociali sia quelle della giustizia, per arrivare a una raccolta dei dati con criteri omogenei. Serve un tavolo tecnico per portare avanti il lavoro sulle proposte normative integrative della procedura anche sulla figura dell’avvocato/curatore del minore. Proteggere i sistemi di tutela vuole dire proteggere non solo la serenità dei minori, ma anche garantire al Paese la possibilità di avere domani adulti migliori, più equilibrati, minore emarginazione, una società più coesa e più stabile. Anche ragionando solo in termini economici, significa minori interventi di spesa pubblica ad esempio nelle psichiatrie o per l’assistenza economica. L’investimento nella tutela sui minori non è mai a fondo perso.
Photo by Austin Pacheco on Unsplash
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