Politica
Migrazioni e governo. Ripartire da una visione e da una pratica: gli Sprar
Il nuovo Ministro dovrà decidere se l’integrazione dei migranti possa uscire dal rango dell’emergenza ed entrare in quello della strategia di lunga durata. Ma per farlo, occorre uscire anche dalla logica dei "decreti sicurezza"
Ora che l’uragano Dorian è stato declassato al livello 2, ora che la tempesta ideologica sul tema delle migrazioni e degli sbarchi è stato ridotto a semplice acquazzone animata da un ex capitano senza parlamento, la più grande speranza che un cittadino di media onestà intellettuale può avere è che si parli per bene e per tempo del fenomeno migratorio e del suo possibile governo per il futuro del paese.
Prima dello tsunami di rabbia gialloverde contro le ONG, Soros, i migranti palestrati con il telefonino, il Ministro Minniti aveva segnato grandi passi avanti ed altrettanto grandi passi indietro.
Aveva potenziato i numeri degli Sprar (il Sistema di Protezione per Richiedenti Asilo e Rifugiati, riconosciuto in Europa e nel mondo come un’eccellenza italiana per l’integrazione), portando il sistema a raggiungere cifre mai viste dalla sua fondazione risalente alla legge Bossi-Fini: da 3.000 posti a 38 mila, ed aveva anche sostenuto i corridoi umanitari, con 10.000 arrivi sicuri avvenuti con voli di linea direttamente dai campi rifugiati dell’Etiopia, della Turchia e dalla Libia.
Ma lo stesso Minniti aveva lanciato mediaticamente “l’allarme” della presenza nel Mediterraneo di troppe Ong fuori controllo che recuperavano in mare i naufraghi, aprendo la pratica del sospetto e dell’ingiuria contro le navi umanitarie, e, soprattutto, aveva spesso presentato in pubblico la riduzione degli sbarchi come un successo del suo ministero. Eppure era noto a tutti gli osservatori che la drastica diminuzione di partenze ed arrivi dal nord Africa verso l’Italia (da punte di 180 mila sbarchi l’anno a meno di 40 mila) fosse il correlato del grande funzionamento dei lager libici, in cui migranti africani ed asiatici illegittimamente detenuti erano presi in “ostaggio” da fazioni libiche e guardie costiere autoctone. Un anno dopo gli accordi dell’Italia di Minniti con la Libia i racconti dei detenuti libici raccolti dagli osservatori ONU furono descritti come “orrori inimmaginabili” (nel rapporto del 20 dicembre 2018).
Questa carenza di visione e connessione strategica e valoriale nel rapporto tra Salvare Vite ed Accogliere Vite, fu poi sugellata con la non calendarizzazione nelle aule parlamentari, per motivi di prudenza politica, del disegno di leggi sullo Ius Culturae.
Da giugno 2018 tutti sappiamo cosa sia successo nel campo dell’odio e della guerra ideologica alle migrazioni ed alle Ong e, per fortuna, con un clamoroso autogoal alla Koulibaly, il capitan fracassa è tornato all’opposizione ed a manovrare social, perdendo il potere di legiferare in materia.
Ora il nuovo governo ha la grande occasione di ripartire da lì, da quegli errori di fine legislatura del precedente governo che hanno spianato la strada a Salvini ed alla sua popolarità mediatica. L’errore di fondo è uno solo: nessuna buona pratica può funzionare a lungo se resta priva di una corretta e coerente visione dei valori che dovrebbe sorreggerla.
Se la Libia è uno Stato fallito, in cui le ingiustizie e le violenze a danno dei migranti sono un fatto acclarato e certificato dalle commissioni competenti ONU, l’Italia, che è paese limitrofo, diviso solo da 300 km di mare, se ne deve interessare con la sua politica estera o con la sua politica interna? Serve una risposta strategica e di valore. Ci interessa il dolore degli uomini e delle donne solo per ragioni di sicurezza nazionale o ci interessa il dolore degli uomini e delle donne nella costruzione delle nostre alleanze per un futuro di pace e di progresso dei popoli? Le nostre politiche rispondono alle Convenzioni ONU sui diritti Umani, alla nostra Costituzione, alla nostra presenza nei tavoli internazionali sulle migrazioni, disertati costantemente da Salvini, o ai follower?
Se salvare vite è un valore italiano, se accogliere vite è un valore italiano, investire in integrazione è un valore? E’ una scelta buona o una scelta intelligente? Chi, nei precedenti governi, ha fatto passare l’idea che integrare i migranti fosse una scelta di bontà ha spianato la strada all’odio contro i migranti per ovvie ragioni. Per decenni abbiamo presentato agli ultimi dei nostri territori il welfare come “un affare economico” e non relazionale, un affare molte volte insostenibile a causa della crisi economica.
Con questa rappresentazione del welfare è chiaro che un “penultimo”, una di quelle persone fragili che da anni aspetta una risposta ad un suo disagio ed a cui hanno sempre risposto che la sua presa in carico non può avvenire per mancanza di fondi sufficienti, grida “al ladro” quando vede ingenti fondi essere spesi per l’accoglienza e l’integrazione di stranieri. Ed è stata in parte questa la reazione alla pratica scellerata dell’uso ricorrente dei CAS ( i centri di accoglienza straordinaria): fiumi di milioni di euro destinati all’accoglienza emergenziale che però diventava sotto gli occhi di tutti un’accoglienza strutturale. Quando Salvini è arrivato al governo c’erano ancora 130 mila persone accolte nei CAS e solo 30 mila accolti negli Sprar. Su 8000 comuni italiani, solo 1200 erano stati interessati dagli Sprar. I CAS sono sistemi privati molto discutibili dal punto di vista metodologico, ed infatti hanno fatto tanto parlare di sé, in tante Procure ma soprattutto tra gli italiani attoniti che hanno visto resuscitare all’improvviso alberghi dimessi, case diroccate, ospizi, capannoni industriali dismessi, per lo scopo dell’accoglienza. Ci sono stati e ci sono tuttora dei CAS eccellenti, e quando i CAS funzionano bene si dice, nel gergo di chi lavora nel terzo settore, che quel “Cas lavora come se fosse uno Sprar”. Evidentemente questo gioco del “se fosse” non può funzionare a lungo. Se un buon CAS funziona come uno SPRAR perché non investire direttamente sull’integrazione e ridurre i costi della semplice accoglienza di urgenza?
Il nuovo Ministro dovrà decidere se l’integrazione dei migranti possa uscire dal rango dell’emergenza ed entrare in quello della strategia di lunga durata. Il primo decreto sicurezza ha spazzato via il sistema degli SPRAR bloccando l’ingresso nello stesso dei richiedenti asilo. Non potendo operare i millantati rimpatri promessi, si parlava di oltre 6000 mila ne sono stati fatti qualche migliaia, il primo decreto sicurezza ha di fatto confinato i richiedenti asilo tra l’essere in un CAS a tempo illimitato e l’essere nel limbo dell’illegalità, fuori da un CAS.
Se le risposte alle prime domande saranno di valore e non di tattica per la ricerca del consenso, probabilmente i due decreti sicurezza saranno a ragione abrogati o rivisti, ma per non ricadere negli errori precedenti si potrebbe cominciare da una mossa facile ed opportuna: si riaprano e si diffondano gli Sprar e tutti gli attuali richiedenti asilo presenti nei CAS siano accompagnati, per legge o per circolare, ad essere accolti nel Sistema di Protezione Richiedenti Asilo e Rifugiati, con progetti personalizzati connessi allo sviluppo locale.
La differenza? Avremo convertito il costo esoso, e molte volte mortificante dell’accoglienza fatta di vitto, alloggio e pocket money, in un investimento strategico per l’Italia del domani. Avremo sostituito la favola della bontà, che provoca tanta rabbia nei dimenticati e nelle persone sole, con il racconto politico e visionario di un’Italia che si rigenera e che connette i percorsi di integrazione con i percorsi di sviluppo locale delle tante comunità. Percorsi di sviluppo in cui il vantaggio dei penultimi e quello degli ultimi trovano lo stesso vantaggio di camminare insieme. Le tante pratiche raccolte dagli SPRAR dimostrano già tutto questo, basta consultarle per vederle (https://www.sprar.it/attivita-e-servizi/buona-prassi) . Costano di meno, funzionano di più, ma soprattutto rispondono a valori veri e non a parole vuote.
Scegliere da che parte stare rispetto al dolore degli uomini e delle donne, non potrà essere una scelta espressa in una circolare, ma potrebbe essere la ratio stessa di un nuovo governo delle migrazioni. Scegliere per l’intelligenza sociale e non per la bontà potrebbe essere il primo passo per portarci fuori dall’ideologia e tornare a dialogare sul serio.
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