Mondo

Chi ci porta il food delivery a casa? Spesso sono i clandestini

«È un fenomeno che conosciamo bene», sottolinea Alessandro Antonelli, segretario regionale Filt Cgil Roma e Lazio. «Ci lavoriamo da tempo. Si compone di un problema di sicurezza e uno di salute pubblica. Le piattaforme lo sanno ma sfruttano i buchi legislativi». L’intervista

di Lorenzo Maria Alvaro

Dopo aver raccontato il fenomeno per cui a Milano molti migranti clandestini lavorano per le piattaforme di delivery abbiamo chiesto ad Alessandro Antonelli, segretario regionale Fillt Cgil Roma e Lazio (la Federazione italiana lavoratori dei trasporti Cgil) se sia un fenomeno isolato o invece una prassi. «È qualcosa che purtroppo conosciamo bene. Ed è un problema che si compone di più temi. Da un lato ci sono le piattaforme che non fanno alcun controllo e giocano sui buchi normativi, dall'altro quei pochi controlli che fanno sono facilmente aggirabili e poi non si capisce perché queste persone circolino e lavorino liberamente, e questo è un tema che riguarda il Governo». Per Antonelli i rischi sono «sia di ordine pubblico e sicurezza, perché chiunque ci può entrare in casa, sia di salute pubblica perché non si può sapere se la persona che ci consegna il cibo stia bene e abbia requisiti adatti per fare questo tipo di lavori». L'intervista



In questi giorni abbiamo appurato che molti ragazzi migranti arrivati dalla rotta del Mediterraneo lavorano per le piattaforme di delivery. Le risulta questo fenomeno?
Assolutamente. È qualcosa che stiamo studiando qui su Roma

Com’è possibile che una persona senza documenti e considerata dalla legge “clandestina” lavori per le realtà della gig economy?
La prima cosa che abbiamo riscontrato è la modalità di assunzione di questi lavoratori. Paradossalmente è sufficiente scaricare una app, inviare i propri dati e dare l’assenso al trattamento dei dati personali. In un minuto si è abilitati alle consegne

Questo mi sorprende. I ragazzi intervistati in Stazione Centrale a Milano hanno sostenuto di usare un account di un amico. Lei invece mi sta dicendo che non è necessario…
Dipende dalla piattaforma. A noi risulta che Just Eat ad esempio degli uffici territori in cui si va fisicamente a firmare un contratto co. co. co.

Quindi c’è una forma di controllo?
Questo lo ha detto lei. Sicuramente c’è un momento in cui ci si incontra per stipulare il contratto. Che questo significhi che vengono controllati i documenti non lo so.

Per le altre piattaforme è diverso?
Le posso dire che invece a noi per Glovo e Deliveroo risulta sia sufficiente una registrazione online. Per cui non c’è neanche questo passaggio fisico.

Intende dire che anche un clandestino può aprire una posizione?
Non ho potuto verificarlo. Questo è quello che raccontano i lavoratori. Sappiamo ad esempio che per quanto riguarda Deliveroo non esistono neanche uffici in Italia, ma solo in Germania. Insomma siamo al corrente di cose che per quello che è il mondo del lavoro in Italia sono totalmente innovative, per così dire.

In ogni caso che ci sia la sede in Italia o meno e che io firmi fisicamente il contratto o meno se dovessi cedere a terzi il mio telefono e il mio zaino nessuno se ne accorgerebbe. È così?
Senza dubbio. L’unico a potersene accorgere è l’utente confrontando la foto profilo del rider con quella della persona che si presenta ad effettuare la consegna.

Il cliente può sapere se la persona che consegna è la stessa del profilo ma non può sapere se sia un irregolare…
No, certo. Nessun privato può chiedere i documenti a qualcuno. Ma se mi permette c’è anche un problema ulteriore

Quale?
Lei giustamente sottolinea il tema della sicurezza. E cioè che al cliente entri in casa un clandestino illegale qualcuno che non si sa chi sia e che non nessuno sa che sia lì. Se per caso dovesse succedere qualcosa la piattaforma di riferimento non si assume la responsabilità. Ma in Italia esiste anche una legge molto stringente per le persone che manipolano e somministrano alimenti. Per poter fare certe attività ci sono requisiti sanitari obbligatori. Chi mi garantisce che la persona che mi sta portando il cibo è sana e pulita.

Quindi nessuno può garantirmi che la persona che mi consegna il cibo sia per bene e sana?
Esattamente. Questo è gravissimo. Che servizio è un servizio che non garantisce diritti essenziali ai lavoratori e sicurezza ai clienti? Di Maio aveva detto che si sarebbe occupato della cosa ma non è successo ancora nulla

Così sembra però che vogliamo mettere in difficoltà chi cerca in maniera più onesta possibile di guadagnarsi qualcosa per vivere…
È il nostro grande dilemma. Infatti a noi questi ragazzi non si avvicinano. Hanno paura delle conseguenze

D’altro canto non possono neanche essere le piattaforme di delivery a garantire la legalità…
Sì è vero. Certamente il fatto che ci siano queste persone, clandestine, che illegalmente non solo circolano ma lavorano anche non è una responsabilità delle piattaforme. Ma attenzione, perché le piattaforme sfruttano consapevolmente i buchi normativi. Così come è stato per Uber con i tassisti, c’è stata una accelerazione tecnologica che la normativa è rimasta indietro. Loro sfruttano a pieno questo ritardo. Detto questo è chiaro che c’è una responsabilità politica. Ma vuole sapere qual è la verità?

No, me lo dica lei?
Questa gente dovrebbe essere nei centri, stando al decreto sicurezza di Salvini, d'accordo. Ma possiamo girarci intorno, fare spot politici o anche sindacali. Ma l’unica verità è che questa è manodopera che serve al sistema. Se mediaticamente possiamo fare slogan elettorali dicendo di affondare i barconi dall’altra parte a ciascuno di noi fa comodo avere chi ci porta a casa la pizza il sabato sera. E a me non risulta nessun caso di un cliente che ha rimandato indietro il pasto perché gli è stato consegnato da un extra comunitario. È la grande ipocrisia che stiamo vivendo.

Nessuno ti regala niente, noi sì

Hai letto questo articolo liberamente, senza essere bloccato dopo le prime righe. Ti è piaciuto? L’hai trovato interessante e utile? Gli articoli online di VITA sono in larga parte accessibili gratuitamente. Ci teniamo sia così per sempre, perché l’informazione è un diritto di tutti. E possiamo farlo grazie al supporto di chi si abbona.