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Cesvi in Zimbabwe rivoluziona l’agricoltura con sensori e droni

Dal 2001 la ong sta lavorando nel Paese su tre progetti di “agricoltura 2.0” nei distretti di Beitbridge e Mwenzi, etichettati entrambi come “area 5”, ovvero aree non adatte alla coltivazione. Coinvolte 12 comunità, con almeno 1.500 famiglie e 17 scuole

di Sara De Carli

Ogni due ore le centraline meteo — quattro, ciascuna con un raggio di copertura di 25 km — registrano temperatura, precipitazioni, forza e direzione del vento. Dei sensori misurano l’umidità del terreno fino a 50 cm di profondità, con letture ogni 10 cm. «Combinando tutti i dati, ad esempio l’umidità reale del terreno e le previsioni meteorologiche, si può decidere di “saltare” un ciclo di irrigazione, evitando costi e sprechi di acqua, senza mettere a rischio la qualità del raccolto», spiega Loris Palentini, head of mission di Cesvi in Zimbabwe, «mentre la possibilità di prevedere la direzione del vento permette ai contadini di non essere impreparati dinanzi all’arrivo di parassiti».

Dal 2001 Cesvi sta lavorando nel Paese su tre progetti di “agricoltura 2.0” nei distretti di Beitbridge e Mwenzi, etichettati entrambi come “area 5”, ovvero aree non adatte alla coltivazione. Coinvolte 12 comunità, con almeno 1.500 famiglie e 17 scuole che già hanno avviato la coltivazione di un piccolo appezzamento di terreno con tecnologie più evolute. «In queste zone le famiglie vivevano di sussistenza, oggi cominciano a vendere i loro prodotti: nella zona di Shashe, dove abbiamo un aranceto, ognuno dei 270 contadini ha avuto in un anno un ritorno di 520 dollari, molti stanno iniziando ad aggiungere una stanza alla casa o a comprarsi una bicicletta». Il progetto è iniziato con un finanziamento Unione Europea dal 2011 al 2016 ed è continuato con fondi privati Cesvi ed è stato esteso dal 2017 in poi con finanziamenti AICS e ZRBF.

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La leva del progetto sono le nuove tecnologie — in particolare tecnologie irrigue — che consumano meno e costano meno, ma hanno una maggiore efficacia. «Tutti ammettono che la tradizionale irrigazione per allagamento sprechi molte risorse, ma davanti a un pivot che irriga dai 16 ai 34 ettari… sono un po’ diffidenti», racconta Palentini. Cesvi ne ha già istallati 4 e «parte del lavoro consiste proprio nell’organizzare visite fra le varie comunità per sciogliere i dubbi, far parlare le persone fra loro. I sensori che rilevano l’umidità servono anche a dimostrare che sistemi di irrigazione diversi hanno impatti diversi sul terreno e che con l’irrigazione a goccia l’umidità viene trattenuta di più. Interveniamo sempre in zone che avevano impianti di irrigazione deteriorati, in collaborazione con le autorià locali: ci si siede attorno a un albero, si discutono bisogni e aspettative e si decide insieme quale tecnologia è più adatta». Altri 5 sono stati aggiunti di recente.

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L’obiettivo ultimo è aumentare la resa delle aree coltivate così da poterle circoscrivere, fermando il disboscamento e tutelando l’area selvatica. Molti altri elementi vi concorrono, a cominciare dallo spostare le coltivazioni da prodotti destinati al consumo familiare, come mais e fagioli, a prodotti con un maggior valore, come le arance o i fagioli da semente, in collaborazione con aziende che garantiscano un mercato alla produzione. Ma anche le mappe multimediali satellitari, per verificare ad esempio la salute delle piante attraverso il livello di clorofilla: «Quando la mappa evidenzia un problema, con un drone andiamo a fare riprese dettagliate di quell’area, per capire cosa succede. Non è sempre facile avere un feedback reale su tutta la superficie coltivata, in particolare per le zone più distanti dalla strada. Ma perdere un albero di arance adulto significa perdere 10 anni di lavoro».

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