Formazione
A lezione di progettazione europea tra i banchi di Fondazione Triulza
L'intervista a Sabina Bellione, che è la responsabile dell'area progettazione europea di CGM. Ma anche la docente del ciclo di laboratori tecnico pratici “Si può fare”. «Chi viene ai corsi torna a casa con un metodo»
È partito oggi il primo dei cinque appuntamenti teorico-pratici organizzati presso la Social Innovation Academy di Fondazione Triulza nell’ambito del progetto BEEurope in partnership con Fondazione Cariplo. Una proposta nell’ambito del progetto BEEurope con Fondazione Triulza vuole continuare a dare un sostegno concreto all’internazionalizzazione delle organizzazioni del Terzo Settore e dell’Economia Civile, migliorare la loro capacità di accedere ai fondi UE e di partecipare a programmi internazionali d’innovazione sociale. A fare da docente di ogni appuntamento c'è Sabina Bellione, che è la responsabile dell'area progettazione europea di CGM. Vita.it l'ha intervistata.
Come è arrivata ad essere una progettista europea?
Mi occupo da sempre di Terzo settore. Ho avuto la fortuna di lavorare con persone che si occupavano proprio di questo. Non soltanto dei primi fondi FSE ma anche da quelli diretti emessi dalla Commissione. Da lì ho ampliato la mia competenza
Figure professionali come la sua in Italia non sono molte?
No, perché è una competenza complessa. Bisogna conoscere i fondi e bisogna studiare, ogni volta che cambia la programmazione europea, cioè ogni sette anni, per capire di volta in volta l'orizzonte verso cui si sta andando. Poi bisogna approfondire gli argomenti che hanno ricadute sociali come il turismo, l'impresa sociale e la cultura per poi lavorare con gli esperti per far emergere progetti e innovazioni. In più bisogna avere competenze amministrative perché la partecipazione ai bandi è una pratica burocratica.
La mancanza di professionisti come questi genera qualche criticità?
Sì, principalmente la possibilità di accedere a fondi che consentano alle realtà del Terzo settore di fare veramente ricerca, sviluppo e scambio. I fondi diretti sono utili per mettere in campo servizi. Ma non di ampliare conoscenza. Sono attività che difficilmente si possono sostenere attraverso i margini degli enti non profit
Su questo il Terzo settore italiano sconta un ritardo rispetto al resto d'Europa?
Indubbiamente. E scontiamo anche un ritardo linguistico. Non è richiesta la conoscenza della lingua inglese per le professioni sociali ma è un grave ostacolo alla possibilità di dialogare con altri
Sono questi i motivi per cui nasce il “Si può fare!”, il percorso in cinque laboratori di Fondazione Triulza dedicato proprio alla progettazione europea di cui lei è docente…
Sì. l'idea è promuovere e far conoscere approfonditamente dei fondi che possono essee utilizzati dall organizzazioni mettendosi in rete insieme ad altre realtà europee. Questa capacità di fare rete in Europa è ancora uno scoglio in Italia
Quali i problemi che le realtà non profit incontrano in questo ambito?
Spesso le forme giuridiche e target di riferimento non collimano, anche tra soggetti in realtà molto simili. Serve conoscere di più le regole e le prassi in Europa
Un corso che non è solo teorico…
Entriamo nel vivo delle piattaforme per implementare progetti, nei tecnicismi, quindi di quello che bisogna fare prima di diventare un soggetto ammissibile iniziando ad avere dimestichezza con il dizionario della progettazione e con la cassetta degli attrezzi basilari per fare un buon lavoro.
Quale la difficoltà più grande dei partecipanti al laboratorio?
Mi sto rendendo conto che la cosa su cui le persone trovano più difficoltà è il declinare il gergo tecnico del bando in una proposta progettuale sulla base delle proprie competenze. Mi sto rendendo conto che sia il fulcro dell'abilità nella progettazione. Qui noi insegniamo un metodo, un modo di fare le cose. Poi serve tanta pratica.
I prossimi laboratori:
- 20 giugno – Programma CREATIVE EUROPE
- 17 settembre – Programma ERASMUS
- 15 ottobre – Programma FAMI
- 12 novembre – Programma LIFE
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