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Le associazioni: chiudete i porti alle navi delle armi
Amnesty International Italia, Comitato per la riconversione RWM e il lavoro sostenibile, Fondazione Finanza Etica Oxfam Italia, Rete della Pace, Rete Italiana per il Disarmo, Save the Children Italia hanno diramato un appello chiedendo al Governo Conte che «non permetta l’attracco alla Bahri Yanbu I portuali spezzini non effettuino il carico di sistemi militari»
di Redazione
«Chiudete i porti alle navi delle armi!». È l’appello promosso dalle associazioni nazionali e spezzine a seguito della notizia del possibile attracco a La Spezia della nave-cargo saudita Bahri Yanbu per caricare gli otto cannoni semoventi Caesar da 155 mm prodotti da Nexter ed altro materiale bellico di produzione italiana destinati all’Arabia Saudita. Il trasbordo potrebbe avvenire presso il molo militare o dell’Arsenale Militare della Spezia
Le associazioni spezzine e nazionali chiedono al Governo Conte della nave-cargo saudita Bahri Yanbu nel porto della Spezia, nemmeno nella parte di competenza della Marina Militare, e ai portuali spezzini di non effettuare alcun carico di sistemi militari o duali destinati all’Arabia Saudita che possono essere utilizzati nel conflitto in Yemen.
La società Nexter, azienda militare interamente controllata dallo Stato francese, per rispettare l’accordo con l’Arabia Saudita è intenzionata a garantire la consegna ai sauditi degli otto cannoni che non sono stati caricati a Le Havre a seguito della mobilitazione dei gruppi francesi di attivisti dei diritti umani che si oppongono alle forniture di sistemi militari che vengono impiegati dai sauditi nel conflitto in Yemen.
Per questioni logistiche la scelta potrebbe ricadere sul porto della Spezia che offre maggiori garanzie in quanto attrezzato per imbarcare armamenti e mezzi militari prodotti dalle aziende che fanno capo al gruppo Leonardo-Finmeccanica come Oto Melara che costruisce carri armati. Questi di non permettere l’attracco mezzi vengono solitamente imbarcati da una banchina riservata del porto di Spezia. A La Spezia, oltre ai cannoni semoventi francesi, potrebbero inoltre essere caricati sulla Bahri Yanbu anche sistemi militari o dual use italiani tra cui, soprattutto i gruppi elettrogeni prodotti dalla Teknel di Roma per alimentare shelter di comunicazione, comando e controllo in grado di gestire anche droni, comunicazioni e centri di comando aereo e terrestre: come riporta l’Osservatorio sulle armi OPAL di Brescia, l’azienda Teknel nel 2018 ha ricevuto, per la prima volta, dal ministero degli Esteri italiano una licenza ad esportare proprio all’Arabia Saudita 18 gruppi elettrogeni TK 13046 del valore 7.829.780 di euro.
Le nostre associazioni e reti hanno ripetutamente chiesto ai precedenti Governi e all’attuale Governo Conte di sospendere l’invio di sistemi militari all’Arabia Saudita ed in particolare le forniture di bombe aeree MK80 prodotte dalla RWM Italia che vengono sicuramente utilizzate dall’aeronautica saudita nei bombardamenti indiscriminati contro la popolazione civile in Yemen.
Riteniamo che le esportazioni di materiali militari siano in aperta violazione della legge 185/1990 e del Trattato internazionale sul commercio delle armi (ATT) ratificato dal nostro Paese. Il Trattato sul commercio delle armi impone a tutti i paesi coinvolti nel trasferimento di attrezzature militari (cioè anche nel transito e nel trasbordo) verso Paesi coinvolti in conflitti armati di verificare se le armi trasferite possano essere impiegate per commettere crimini di guerra o violazioni dei diritti umani e di conseguenza di sospendere le forniture (art. 7).
Diversi Paesi europei, come Svezia, Germania, Paesi Bassi e Norvegia, hanno da tempo sospeso o iniziato a limitare le vendite di armamenti alla coalizione guidata dall’Arabia Saudita e dagli Emirato Arabi Uniti. Nonostante il presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, lo scorso 28 dicembre abbia affermato che «il governo italiano è contrario alla vendita di armi all’Arabia Saudita per il ruolo che sta svolgendo nella guerra in Yemen. Adesso si tratta solamente di formalizzare questa posizione e di trarne delle conseguenze», nessuna sospensione è stata ancora definita dal governo italiano e le forniture di bombe e sistemi militari sono continuate anche in questi mesi ammontando ad un controvalore di 108 milioni di euro nel solo 2018.
Approfondimento per i media
La nave Bahri Yanbu, che è attualmente nel porto di Genova, è partita all’inizio di aprile dal porto di Corpus Christi negli Stati Uniti ed ha fatto scalo in uno dei maggiori terminal militari del mondo, a Sunny Point nel Nord Carolina. Si è diretta quindi verso l’Europa ed il 4 maggio – secondo alcune organizzazioni della società civile belga – ha imbarcato ad Anversa sei container di munizioni. L’8 maggio avrebbe dovuto entrare nel porto di Le Havre da 155 mm prodotti da Nexter, ma ha dovuto rinunciarvi per la mobilitazione dei gruppi francesi di attivisti dei diritti umani. Si è quindi diretta verso il porto spagnolo di Santander, dove è giunta per uno scalo non previsto, presumibilmente per aggirare l’azione legale avviata dagli attivisti francesi. Anche lì ha dovuto affrontare la mobilitazione di varie associazioni della società civile che si sono appellate alle autorità spagnole.
La Bahri Yanbu appartiene alla maggiore compagnia di shipping saudita, la Bahri, già nota come National Shipping Company of Saudi Arabia, società controllata dal governo saudita, e dal 2014 gestisce in monopolio la logistica militare di Riyadh. Anche la tipologia della nave, una delle 6 moderne con/ro multipurpose della flotta Bahri, ha una chiara vocazione militare, adatta al per caricare 8 cannoni semoventi Caesar trasporto sia di carichi ro/ro e heavy-lift speciali (ovvero anche mezzi militari fuori norma), sia di container.
Dal 25 marzo 2015 una coalizione internazionale guidata dall’Arabia Saudita e sostenuta da Stati Uniti e Regno Unito, ha lanciato attacchi aerei contro il gruppo armato huthi in Yemen. I civili stanno sopportando il peso di questo sanguinoso conflitto. Intrappolati nei combattimenti a terra tra gli huthi e le forze filogovernative, e sotto il fuoco dei bombardamenti da parte delle forze della coalizione guidata dall’Arabia Saudita, uomini, donne e bambini sono stati sottoposti a orribili violazioni dei diritti umani, nonché a crimini di guerra, da tutte le parti coinvolte nel conflitto, evidenzia un rapporto delle Nazioni Unite. Dallo scoppio del conflitto si calcola che siano quasi 17mila i civili morti e feriti, esacerbando una situazione umanitaria già disastrosa dove milioni di persone sono in preda alla carestia.
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