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Termina la negoziazione dei naufraghi, i 62 dell’Alan Kurdi distribuiti in Europa
Termina l’odissea per i 62 migranti a bordo della nave dell’ong tedesca che saranno distribuiti tra Germania, Francia, Portogallo e Lussemburgo. Dieci giorni bloccati in mare per arrivare a una soluzione politica. E intanto cresce la preoccupazione per i 1500 migranti e rifugiati detenuti nei centri di detenzione in Libia vicini alle zone di conflitto
Una trattativa durata oltre 10 giorni per consentire lo sbarco ai 62 migranti a bordo della nave Alan Kurdi della Ong tedesca Sea Eye. Dieci giorni bloccati in mare per decidere in Commissione Europea che ora queste persone che nessuno voleva saranno “ricollocate” tra Germania, Francia, Portogallo e Lussemburgo. A darne l’annuncio è stato il premier maltese Joseph Muscat attraverso un comunicato dove viene specificato che nonostante i migranti verranno ridistribuiti in quattro paesi europei la nave Alan Kurdi non è autorizzata ad attraccare a Malta.
Nel comunicato diffuso dal governo maltese si legge inoltre: «Ancora una volta, il più piccolo dei paesi europei, è stato messo sotto una pressione non necessaria per risolvere un caso che non è di sua responsabilità. Una soluzione è stata trovata per non permettere che la situazione peggiorasse ulteriormente, ma Malta non può sostenere questo peso da sola. Malta richiama le Ong al rispetto di tutte le convenzioni e regolamenti».
Nella giornata di ieri per la prima volta un componente dell’equipaggio, ingegnere in seconda, è stato evacuato dopo 24 giorni di navigazione. Si è trattato della terza evacuazione in tre giorni, preceduta da quella di due donne in gravi condizioni di salute.
Nei dieci giorni in cui la nave Alan Kurdi è stata bloccata in mezzo al mare i rifornimenti di acqua e cibo sono arrivati solo grazie a un’altra organizzazione della società civile Moas, mentre la settimana scorsa il governo italiano aveva negato il passaggio della Alan Kurdi nelle sue acque territoriali, “concedendo” il possibile sbarco a Lampedusa alle mamme e ai bambini delle due famiglie a bordo, che così si sarebbero dovuto dividere dai loro rispettivi mariti e papà. Famiglie che come loro stesse hanno spiegato in un’intervista si sono rifiutate di essere divise.
In un comunicato stampa diffuso oggi da Mediterranea si ribadisce la necessità che prima si sbarca e poi si discute perché «È del tutto illegittimo condizionare l’approdo di naufraghi alle negoziazioni sulla loro redistribuzione, e questa prassi che i governi stanno cercando di consolidare sovverte il diritto dei diritti umani violandone i principi fondamentali».
Nel frattempo con l’aggravarsi della situazione in Libia c’è molta preoccupazione per le migliaia di migranti e rifugiati rinchiusi nei centri di detenzione in Libia che le più autorevoli associazioni internazionali e i media esteri denunciano da diversi anni. L’Unhcr ha diffuso un comunicato in cui chiede l’immediato rilascio di rifugiati e migranti detenuti nei centri di detenzione libici nelle zone di conflitto: «Dall’inizio del conflitto in Libia la scorsa settimana, più di 9500 persone sono state costrette a fuggire dalle proprie case e più di 1500 rifugiati e migranti sono intrappolati nei centri di detenzione vicini alle zone dei violenti scontri. I rischi per le vite di queste persone aumentano di ora in ora e devono essere urgentemente salvate: è una questione di vita o di morte. I centri di detenzione in prossimità delle zone di combattimento includono Ain Zara, Qasr, Abu Sleim, situati a Sud di Tripoli». L’Unhcr aveva ricollocato nei giorni scorsi oltre 150 rifugiati trasferiti dal centro di detenzione di Ain Zara nel proprio centro di raccolta situato in un’area sicura nelle vicinanze.
Foto Fabian Heinz/Sea Eye
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