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Ragazzi adottati: 7 su 10 sono sistematicamente bullizzati

Lo rivela un'indagine condotta da Ufai con oltre 1.500 famiglie, per monitorare la capacità inclusiva della scuola nei confronti dei ragazzi adottati. Insulti, offese e derisione riguardano nel 40% dei casi il colore della pelle. La grandissima parte delle scuole non ha una preparazione sull'adozione e il 67% dei ragazzi è stato costretto a cambiare scuola.

di Sara De Carli

La Commissione Adozioni Internazionali ha lanciato un chiaro e forte allarme: troppi ormai gli episodi di razzismo contro ragazzi adottati, fatti oggetto di bullismo e vessazioni per il colore della loro pelle. «Esagerati, ma quanti sono questi episodi?», è stato scritto sui social a commento di quella denuncia.

Una prima dimensione quantitativa del fenomeno – ovviamente parziale, ma molto significativa – la restituisce il Rapporto su scuola e adozione presentato da Ufai-Unione Famiglie Adottive Italiane, frutto dell’analisi delle esperienze raccolte da UFAI negli ultimi quattro anni, attraverso gli iscritti che si sono rivolti allo sportello “SOS Scuola”. Un report, quindi, che ha per oggetto un altro tema, la scuola e la sua capacità inclusiva nei confronti degli alunni con una storia di adozione, ma che ci fornisce uno squarcio diretto su ciò che a scuola accade. Fra cui il bullismo.

L’84% dei ragazzi riferisce di avere subito saltuariamente offese, parolacce, insulti. La derisione riguardava nel 40% dei casi il colore della pelle o l’etnia, seguita nel 14% dei casi dall’aspetto fisico, nel 16% dei casi dalle difficoltà nell’esprimersi nella nuova lingua, nel 12% dalle difficoltà a scuola. Il 71% dei ragazzi ha subito sistematicamente episodi di bullismo. Il 74% non fa gruppo con i compagni all’intervallo, resta da solo sul pullman in gita, il 66% è di fatto escluso dai compagni, il 42% non si sente parte del gruppo classe, il 65% ha fatto fatica a creare amicizie e il 60% dice che no, non è stato accolto dai compagni. «Dati preoccupanti, che richiedono azioni immediate, senza rimandare oltre un intervento decisivo», commenta Elena Cianflone, presidente di Ufai. Che parla anche per esperienza personale: uno dei suoi figli è di origini russe, «siamo arrivati a denunce dai Carabinieri. I nostri figli hanno spesso tratti somatici diversi, non è solo il colore della pelle: sono sicuramente additati, fin dalle elementari, i bambini sentono i ragionamenti che si fanno in casa e fanno commenti pesanti, si creano spesso situazioni di grosso disagio». E questo nonostante la scuola dovrebbe essere il primo laboratorio di inclusione. «Gli alunni adottivi sono ancora in forte sofferenza in ambito scolastico poiché non si è raggiunto un livello adeguato della cultura dell’adozione, preparazione del personale docente, sinergia scuola-famiglia… tutti elementi che possono garantire un’adeguata accoglienza e successo scolastico». La controprova? Il 67% dei ragazzi è stato costretto a cambiare scuola. E molti – altro dato che apre uno spaccato molto preoccupante – hanno disturbi alimentari.

Le esperienze narrate nella raccolta di dati sono state complessivamente 1.572: il 93,4% con figli adottati tramite procedura internazionale (fra essi, il primo Paese di provenienza era la Russia, al 34%) e il 6,6% con figli provenienti da adozione nazionale. Per quanto riguarda le adozioni internazionali, la media dei figli adottivi per famiglia è di un minore a nucleo familiare. L’età media di ingresso dei bimbi si attesta intorno ai 6,5 anni e il 91,5% di essi non aveva ha ricevuto alcuna scolarizzazione nel proprio paese, negli anni precedenti l’adozione. Per l’inserimento degli alunni adottati, l’Italia ha uno strumento: le Linee di indirizzo per favorire il diritto allo studio degli alunni adottati, emanate nel dicembre 2014 e poi inserite all’interno della recente riforma della scuola (legge 107/15), ma alla luce delle esperienze raccolte, la presidente di Ufai afferma che le «le Linee di indirizzo sono uno strumento utile, ma privo della parte più importante: un piano attuativo efficace. La legge esiste, ma senza questo piano attuativo, la divulgazione dei suoi contenuti e la formazione dei docenti avviene a macchia di leopardo, spesso demandata alle associazioni, perché le scuole rispondono che un corso di formazione costa». Infatti l'84% delle scuole non le conosce. E così il referente per l’adozione, previsto dalle linee di indirizzo, manca addirittura nel 95% delle scuole mappate: sia per mancanza di candidati, sia perché i dirigenti scolastici sono alle prese con urgenze quotidiane.

La presidente di Ufai racconta l’esperienza di un corso frontale per 26 scuole a Roma, con un terapeuta che ha proposto esercizi esperienziali per capire la realtà dell’adozione: «è questo su cui occorre lavorare, con gli insegnanti ma anche con gli altri genitori e i ragazzi, raccontare l’adozione, una cosa che per ora non abbiamo fatto». Restando stretti sulla scuola, la proposta di Ufai va nella direzione di formare sull’adozione il referente per l’inclusione o BES (bisogni educativi speciali), una figura che le scuole già hanno. «È vero che non tutti gli alunni che hanno una storia di adozione sono BES, ma secondo la nostra indagine il il 67% ha avuto bisogno di un PDP. È la stessa prospettiva per cui il Miur, nelle recenti linee di indirizzo per bambini iperdotati ha indicato come figura di riferimento sempre il referente BES», conclude Cianflone.

Foto Unsplash

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