Politica

Il reddito di cittadinanza viene alla luce, con 720mila domande già presentate

Reddito di Cittadinanza e Quota 100 sono stati approvati ieri in via definitiva dal Senato. Ma la possibilità di fare domanda è stata aperta già il 6 marzo, prima della conversione in legge. 720mila cittadini hanno già presentato domanda. Ora i requisiti sono cambiati e qualcuno fra loro potrebbe non avere più quelli effettivamente previsti dalla legge: avranno comunque il beneficio economico per sei mesi

di Sara De Carli

Il Senato ha approvato ieri in via definitiva il Reddito di Cittadinanza e Quota 100. Sono stati 150 i voti favorevoli, 107 quelli contrari e 7 gli astenuti. Tweet soddisfatti del premier Giuseppe Conte e della senatrice Nunzia Catalfo, relatrice del provvedimento, che fin dalla scorsa legislatura aveva presentato una prima proposta di legge del M5S sul tema. Nessuna news sul blog delle stelle, mentre Luigi Di Maio dagli Stati Uniti ha fatto intravedere la possibilità che il Reddito di Cittadinanza in futuro possa estendersi anche agli italiani all’estero.

«Quanto stiamo per approvare oggi in terza lettura – lo ripeto – è un provvedimento storico, doveroso e necessario per salvaguardare la coesione sociale di questo Paese», ha detto Nunzia Catalfo (M5S) aprendo la discussione. In realtà si trattava di un voto di un testo “blindato”, senza alcuna possibilità di discussione o modifica, pena la decadenza del decreto stesso. Le domande per accedere al reddito e alla pensione di cittadinanza già arrivate in queste prime tre settimane sono circa 720mila, ha detto la senatrice: «Per la precisione, gli ultimi dati di Poste italiane ci parlano di oltre 220.000 domande. Le domande presentate tramite i CAF, invece, risultano essere oltre 500.000. Le richieste arrivano indistintamente da Nord a Sud. Le città ove vi è un numero maggiore di richieste sono Milano, Torino, Roma, Napoli e Palermo». Che ne sarà di queste 720mila domande che sono state presentate già dal 6 marzo, data in cui è stata aperta – con una fretta ingiustificabile – la possibilità di presentare domanda, ben prima che il decreto venisse convertito in legge? Con “regole del gioco” diverse da quelle che sono state effettivamente ieri approvate e che con la pubblicazione in Gazzetta Ufficiale diventeranno legge? La risposta sta nel (modificato) articolo 13: «Sono fatte salve le richieste del Rdc presentate sulla base della disciplina vigente prima della data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto. I benefìci riconosciuti sulla base delle predette richieste sono erogati per un periodo non superiore a sei mesi pur in assenza dell'eventuale ulteriore certificazione, documentazione o dichiarazione sul possesso dei requisiti, richiesta in forza delle disposizioni introdotte dalla legge di conversione del presente decreto ai fini dell'accesso al beneficio». Per sei mesi a loro il Reddito di Cittadinanza andrà anche se non avessero i requisiti approvati (dovranno avere ovviamente quelli inizialmente previsti dal decreto al 6 marzo).

Così Catalfo ha illustrato le più recenti novità introdotte in Parlamento: «Il lavoro parlamentare ha permesso di perfezionare un testo che era già efficace. Gli emendamenti approvati, sia al Senato che alla Camera, mirano a facilitare ancor di più l'accesso al reddito e alla pensione di cittadinanza. Inoltre, vanno incontro ad alcune categorie che più di altre in questi anni hanno subìto la crisi e le politiche di austerity, come i pensionati, le persone diversamente abili e i cosiddetti working poor, ossia persone che pur lavorando guadagnano talmente poco da non potersi permettere una vita dignitosa».

Le modifiche introdotte al Senato
Nel dettaglio, nel corso dell'esame in Senato «è stata prevista la definizione di offerta congrua fatta a un percettore di reddito di cittadinanza, che dovrà prevedere una retribuzione di importo uguale o superiore al 10 per cento in più di 780 euro. È stato introdotto un tetto temporale di trentasei mesi entro il quale il datore di lavoro che licenzia un percettore di reddito di cittadinanza, che ha assunto e per il quale ha ricevuto il bonus, deve restituire l'incentivo. È stata data la possibilità di esonero contributivo anche in caso di assunzione di persone in contratto di apprendistato. È stata disposta, in caso di dimissioni volontarie, la perdita del beneficio solo e unicamente da parte del dimissionario e non da parte di tutto il nucleo familiare. È stata prevista una modifica delle sanzioni ai CAF in caso di trasmissione infedele delle pratiche. Si è introdotta la previsione secondo cui i datori di lavoro che non sono in regola con la legge n. 68 del 1999 sul collocamento dei disabili, che determina le quote obbligatorie dedicate ai disabili, non potranno godere dell'incentivo. Infine, è stato previsto che le competenze acquisite dai beneficiari del reddito di cittadinanza saranno registrate sulle piattaforme. Si tratta quindi di uno storico delle competenze acquisite dal beneficiario del reddito in precedenti esperienze lavorative o percorsi di formazione e istruzione, che andrà inserito nelle suddette piattaforme completandone il profilo».

Le modifiche introdotte alla Camera
Nel corso dell'esame alla Camera, ha detto Catalfo, «è stato previsto che il reddito di cittadinanza assuma la denominazione di pensione di cittadinanza oltre che nel caso di nuclei familiari composti esclusivamente da uno o più componenti di età pari o superiore a sessantasette anni, anche nell'ipotesi in cui uno o più componenti del nucleo possiedano il suddetto requisito anagrafico e convivano esclusivamente con una o più persone in condizione di disabilità grave o di non autosufficienza. La Camera ha altresì elevato i limiti massimi del valore del patrimonio mobiliare con riferimento ai nuclei in cui siano presenti soggetti in condizione di disabilità grave o di non autosufficienza portando l'incremento da 5.000 a 7.500 euro per ogni componente in condizione di disabilità grave o di non autosufficienza. È stato introdotto, inoltre, uno specifico innalzamento del parametro della scala di equivalenza (fino a 2,2) per l'ipotesi in cui nel nucleo familiare siano presenti membri in condizione di disabilità grave o di non autosufficienza. Nella nozione di stato di disoccupazione è stata introdotta la possibilità che rientrino anche i soggetti il cui reddito da lavoro dipendente o autonomo corrisponda a un'imposta lorda pari o inferiore alle detrazioni relative ai redditi da pensione o da lavoro. È stato previsto l'incremento di cento unità della dotazione organica degli ispettori della Guardia di finanza e un incremento di 65 unità del contingente di personale per la tutela del lavoro dell'Arma dei carabinieri. Sono state introdotte diverse altre modifiche che riguardano le assunzioni da parte di Regioni, Province autonome, agenzie ed enti regionali: per la precisione, un aumento della dotazione organica fino a 3.000 unità con decorrenza dal 2020 e fino a 4.600 unità a decorrere dal 2021 del personale dei centri per l'impiego. Le quote inoltre includono la stabilizzazione delle unità di personale reclutate mediante procedure concorsuali bandite per le assunzioni con contratto a tempo determinato. Le risorse finanziarie in favore di ANPAL Servizi SpA, inerenti sia alla selezione di soggetti e alla conseguente stipulazione di contratti di collaborazione per concorrere all'organizzazione dell'avvio del reddito di cittadinanza, sia alla gestione delle spese, sono state previste in 90 milioni di euro per l'anno 2019, 130 milioni di euro per l'anno 2020 e 50 milioni di euro per l'anno 2021. Si è precisato inoltre che la pensione di cittadinanza potrà essere ritirata alle Poste o in banca anche in contanti e non necessariamente essere caricata sulla carta del reddito».

Il Reddito confonde povertà e assenza di lavoro? La replica
Per il Partito Democratico il “peccato originale” dell’impianto del Reddito di Cittadinanza è quello di confondere sostegno al lavoro e contrasto alla povertà, due problematiche distinte che necessiterebbero di approcci e strumenti specifici. Così ha replicato ieri la senatrice Catalfo a questa obiezione: «In Germania, dove la situazione era simile a quella italiana, hanno collegato i servizi sociali dei Comuni e i centri per l'impiego in un unico ufficio chiamato job center, che prende in carico il cittadino e, nell'ambito di un progetto, lo aiuta all'inserimento lavorativo. Noi, di fatto, attuiamo questo collegamento mettendo in raccordo Comuni e centri per l'impiego, perché è vero che, da una parte, il beneficiario (quindi il nucleo), a seconda del disagio che ha, ha bisogno probabilmente di un primo aiuto fornito dai servizi sociali dei Comuni, ma è anche vero, dall'altra parte, che la persona si deve rendere proattiva e capace di poter poi avere una vita indipendente e quindi di essere inserita nel contesto lavorativo. Per tale motivo, noi colleghiamo i servizi sociali dei Comuni ai centri per l'impiego e creiamo anche una rete, che è stata ancor più dettagliata nel corso dell'esame del provvedimento alla Camera, tale da consentire una presa in carico, anche incrociata, del soggetto. Non si può lasciare l'unica presa in carico ai Comuni in quanto i fatti, recenti ma anche quelli meno recenti, dimostrano che la presa in carico attuata dai soli Comuni fa sì che non sia efficace ai fini dell'inserimento nel contesto sociale lavorativo e della futura vita indipendente del beneficiario (indipendente nel senso che può avere un lavoro e un salario futuro)». Se si va a leggere il rapporto della Commissione Onofri sul “reddito minimo di inserimento” introdotto alcuni anni fa in via sperimentale in taluni Comuni d'Italia, «si comprende che la difficoltà dell'inserimento fu data della presa in carico non efficace e non efficiente da parte dei servizi sociali. È chiaro, quindi, che va fatto un collegamento tra la prima presa in carico e l'aiuto all'inserimento lavorativo, necessario per avere poi un effetto e un impatto positivo sul cittadino e sul beneficiario che viene accompagnato».

L’intenzionale dimenticanza dei territori e della sussidiarietà
Ecco invece le parole di Edoardo Patriarca (PD) al momento della dichiarazione di voto: «Non vi siete fidati di due infrastrutture strategiche, quelle sì già esistenti. Mi riferisco agli enti locali, che sui temi del welfare e della povertà sono il cuore pulsante di una comunità, e alle reti del terzo settore, che oggi e nel futuro prossimo – lo sappiamo tutti – svolgeranno un ruolo strategico per la coesione sociale. Insomma, avete dimenticato i territori; è da lì che occorreva ripartire perché, quando si parla di welfare più giusto e più inclusivo e di attenzione alle fragilità, parliamo di territori. Sono le comunità che si prendono carico delle fragilità; sono le reti di comunità, le reti di terzo settore, i nostri amministratori e i nostri assessori che voi avete trascurato. In questo provvedimento chiedete impegni agli enti locali senza offrire alcunché, senza offrire risorse e senza aiutarli in un processo di nuova infrastrutturazione. Avete dimenticato la sussidiarietà orizzontale (mi stupisco dei colleghi della Lega, che sulla sussidiarietà nei decenni scorsi hanno fatto grandi battaglie anche ideologiche) le realtà civili e religiose. Non avete neppure accennato alla necessità di riconquistare una cultura di progettazione condivisa a livello locale, uno strumento prezioso per contrastare la povertà, per ridurre la frammentazione della comunità; sono parole care a noi tutti, a coloro che hanno a cuore il welfare, la povertà e le fragilità; come anche coprogettazione, reti, comunità, presa in carico, collaborazioni, sinergie persino con le imprese (chiamate invece in un gioco strano e artefatto). Avete dimenticato persino la sussidiarietà verticale, scavalcando le Regioni e i Comuni, recuperati malamente in "zona Cesarini". Non pensiamo sia un caso. I vostri provvedimenti si nutrono del pregiudizio e del sospetto sul quale avete costruito un'impalcatura antropologica – vedi i vari decreti concretezza eccetera – fondata sulla diffidenza, sul cittadino da solo, una monade, disperso, senza comunità e senza reti. Un cittadino da solo che guarda il suo leader in attesa della soluzione finale».

70 milioni in più per l'assunzione degli assistenti sociali
«ll sì definitivo del Senato al cosiddetto ‘Decretone’ che contiene il Reddito di Cittadinanza e Quota 100, porta due piccole-grandi vittorie per il nostro ordine professionale, ma soprattutto per le donne e gli uomini che ne fanno parte e per chi, dall’altra parte, in condizioni di disagio e difficoltà, si rivolge ai servizi sociali. Due nostre richieste, per prevenire le aggressioni ai professionisti e per aumentare gli organici, sono state accolte. Il nostro grazie va a chi fin dall’inizio ci ha ascoltato presentando gli emendamenti al Reddito di Cittadinanza e a chi ha saputo ascoltare e comprendere nel corso della discussione e ha fatto sì che si arrivasse a questo risultato»: così Gianmario Gazzi, presidente del Consiglio dell’Ordine degli Assistenti Sociali (CNOAS) commenta il testo finale della conversione in legge del decreto sul Reddito di Cittadinanza. La leggi prevede l’individuazione di misure di sicurezza volte a prevenire episodi di violenza ai danni degli assistenti sociali e un aumento da 90 a 160 milioni di euro delle risorse per l’assunzione in deroga, seppure a tempo determinato, degli assistenti sociali. «Fin dall’inizio abbiamo detto che il Reddito di Cittadinanza può essere un tassello per il contrasto alla povertà, ma abbiamo anche sottolineato che il combinato disposto dell’approvazione di 'Quota100' con la possibile uscita di personale insieme all’aumento degli utenti avrebbero potuto essere un boomerang, provocando un aumento dell’aggressività di chi non avrebbe trovato risposte o donne e uomini sufficienti a costruirle».

In foto, Roma 22 gennaio 2019, Francesco D'Uva, Nunzia Catalfo e altri parlamentari partecipano alla presentazione alla stampa del decreto sul reddito di cittadinanza. Foto di Remo Casilli/Sintesi

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