Non profit
Quella carica innovativa che nasce dal mondo della disabilità
La cooperazione allo sviluppo a dodici anni dalla ratifica della Convenzione ONU sui diritti delle persone con disabilità sta attraversando una fase di grande cambiamento. Le prassi e gli strumenti nuovi, che rendono protagoniste le persone con disabilità, stanno producendo una grande innovazione, generando approcci di avanguardia che in Europa faticano a decollare. L'Italia c'è
Il punto di partenza è semplice ma non scontato: «Una realtà come la nostra, che si occupa di assistenza alla fragilità fisica e sociale e affronta quotidianamente la sfida di rendere accessibili le migliori tecniche alla fasce della popolazione con le più diverse fragilità, non può ignorare il fatto che nel mondo le persone con disabilità spesso vivono ancora in condizioni di difficoltà e di affanno e che in Paesi in cui l’esistenza quotidiana è oggettivamente complicata, le persone con una disabilità hanno ancora più difficoltà del resto della popolazione». Don Vincenzo Barbante, presidente della Fondazione Don Gnocchi, presenta con questa chiara semplicità le ragioni di un impegno forte e antico nella cooperazione allo sviluppo. La Fondazione Don Gnocchi insieme a OVCI – La Nostra Famiglia e ad AIFO sono fra le realtà italiane storicamente più impegnate sul fronte della disabilità, nell’ambito della cooperazione e non a caso hanno promosso, insieme, un convegno internazionale dal titolo “Essere persona. La disabilità nel mondo: quali diritti, inclusione e riabilitazione?”, che si terrà a Milano il 5 e 6 aprile prossimi (qui il programma e le informazioni per le iscrizioni).
La Fondazione Don Gnocchi è oggi presente in sei Paesi (Bolivia, Bosnia Erzegovina, Burundi, Ecuador, Rwanda, Ucraina, più un nuovo progetto che partirà in Myanmar nel 2019). Nel 2018 dei suoi progetti hanno beneficiato 5.378 persone, con 620 operatori formati
Nata nel 1952 come Fondazione Pro Juventute, attiva nella cooperazione internazionale dalla seconda metà degli anni ’90, la Fondazione Don Gnocchi è oggi presente in sei Paesi (Bolivia, Bosnia Erzegovina, Burundi, Ecuador, Rwanda, Ucraina, più un nuovo progetto che partirà in Myanmar nel 2019) in interventi imperniati soprattutto sulla riabilitazione, intesa però non solo in senso clinico ma anche in tutti gli aspetti sociali, formativi e di inclusione all'interno della comunità. Nel 2018 dei suoi progetti hanno beneficiato 5.378 persone, con 620 operatori formati.
«Don Carlo parlava di “restaurazione” dell’uomo. Quello che aveva già in mente era il concetto di inclusione, per cui le persone con disabilità, ai suoi tempi i “mutilatini”, dovevano essere aiutate con quanto di meglio la scienza e la tecnologia offrono per rientrare pienamente nella società, da protagonisti. Infatti chiamava le sue strutture “collegi”, che sono per definizione luoghi in cui ci si prepara a entrare nel mondo, non per segregarsi. Il nostro impegno è attualizzare nell’oggi e nel mondo quel concetto, offendo a tutti quanto di meglio c’è, rendendo il meglio accessibile a tutti», spiega don Barbante. E “il meglio” non è da intendere solo macchinari, ma anche come know how (ogni anno decine di operatori della Don Gnocchi partecipano a missioni all’estero e molti si coinvolgono al punto poi da tornarci, usando le loro ferie), protocolli riabilitativi, metodologie innovative da condividere. «Oggi la riabilitazione va intesa come un accompagnamento per favorire l’inclusione sociale di chi si trova in una condizione di fragilità e non è qualcosa di sanitario, assistenziale, che coinvolge solo il terapista. La cura copre questi l’aspetto fisico, psicologico, sociale e la persona con disabilità non è più vista solo come oggetto di cura ma come protagonista, come primo operatore. Chi lo assiste è solo una persona che cammina insieme a lei».
Oggi OVCI ha 13 progetti attivi, in sei Paesi (Sud Sudan, Sudan, Brasile, Ecuador, Cina e Marocco), con più di 537mila beneficiari
Fondazione Don Gnocchi e OVCI collaborano da molti anni su un progetto in Ecuador: la sintonia di valori si è fatta così concreta, nella quotidiana operatività, diventando un essere “sulla stessa lunghezza d’onda”. Anche OVCI è “figlia” di un beato: don Luigi Monza. Pressoché contemporaneo di don Carlo Gnocchi, don Luigi fondò l'Istituto Secolare delle Piccole Apostole della Carità la cui opera principale è La Nostra Famiglia, punto di riferimento in Italia per i bambini con disabilità: «Ognuno senta viva la responsabilità davanti a Dio e davanti agli uomini di questi bambini e il compito che si assume lo porti a termine con amore e con sacrificio», diceva il beato Luigi Monza. L’OVCI nasce nel 1982 da alcuni amici dell’Associazione, con l’intento di dare risposta alle richieste di intervento espresse da tanti Paesi in Via di Sviluppo. Oggi OVCI ha 13 progetti attivi, in sei Paesi (Sud Sudan, Sudan, Brasile, Ecuador, Cina e Marocco), con più di 537mila beneficiari. «OVCI porta nel mondo l’altissimo profilo di La Nostra Famiglia nella gestione delle problematiche connesse alla disabilità», afferma il presidente Elio Cerini.
«Temi come l’accessibilità e l’accomodamento ragionevole o il rafforzamento delle organizzazioni delle persone con disabilità caratterizzano la nostra azione da 40 anni ormai, ci consideriamo anticipatori: il cambiamento culturale legato alla Convenzione Onu ci trova non solo attenti ma nel nostro habitat naturale, abbiamo sempre lavorato nella dimensione dei diritti». Cerini racconta del Sud Sudan, dove OVCI non ha mai interrotto i progetti, nemmeno durante la guerra e ha messo in piedi la prima scuola per fisioterapisti del Paese: «Nel Paese non c’è una scuola di ingegneria civile ma abbiamo già laureato 50 persone, ce ne sarà presto uno in ogni ospedale. Cerchiamo di anticipare il futuro, per quanto possibile». Con radici ben salde nel carisma del fondatore, che amava dire – ricorda Cerini – che «il bene va fatto bene. Nella cooperazione bisogna essere pragmatici, che significa coniugare l’essenzialità, quel che si deve fare, con la preveggenza, la concretezza col sogno, la decisione e il discernimento. Il discernimento serve per organizzare la nostra decisione ma il discernimento e il sogno insieme aiutano la preveggenza, perché quello che facciamo oggi deve servire alle persone con disabilità fra dieci anni, in questa dinamica organizziamo la nostra concretezza».
Aifo non nasce da una visione sanitaria ma sociosanitaria. Oggi gestisce 42 progetti di cooperazione socio-sanitaria, in 12 paesi: Brasile, Cina, Guinea Bissau, India, Liberia, Madagascar, Mongolia, Mozambico, Palestina, Marocco, Nicaragua
Antonio Lissoni è presidente di Aifo, l’Associazione Italiana Amici di Raoul Follereau. Follereau (1903-1977) è noto in tutto il mondo per la lotta alla lebbra: una lotta centrata non solo sulla cura della lebbra come malattia, ma anche dello stigma e del preguidizio. «Follereau parlava di “lebbre” al plurale, la nostra storia è stata sempre centrata sui diritti, Aifo non nasce da una visione sanitaria ma sociosanitaria», spiega. Oggi Aifo gestisce 42 progetti di cooperazione socio-sanitaria, in 12 paesi fra i più poveri del mondo (Brasile, Cina, Guinea Bissau, India, Liberia, Madagascar, Mongolia, Mozambico, Palestina, Marocco, Nicaragua): progetti di lotta alla lebbra, per la prevenzione primaria e l’accesso universale ed equo alla salute (per quasi 186mila beneficiari) e progetti di riabilitazione su base comunitaria, perché la persona sia rimessa al centro dell’assistenza sociale e sanitaria (altri 153mila beneficiari, dati 2017).
Il convegno di aprile, per Lissoni, dovrà lanciare un messaggio «fortemente politico, non possiamo ridurlo a un fatto per gli esperti e gli addetti ai lavori. Occorre una presa di consapevolezza maggiore sul tema della disabilità che riguarda un miliardo di persone nel mondo e 5 milioni in Italia, inquadrandolo – questo è fondamentale – dal punto di vista dei diritti. Invece se dovessimo prendere le cinque maggiori testate giornalistiche italiane, quanti articoli troveremmo sulla disabilità, scritti da persone con disabilità?». Ecco allora l’importanza di una riflessione comune tra ong «che condividono la centralità della persona ed il valore dell’inclusione nei programmi di cooperazione internazionale», in sintonia con quella Convenzione ONU sulle Persone con Disabilità «che ha già provocato un cambiamento culturale profondo nell’approccio alla disabilità ma che richiede ancora uno sforzo di approfondimento delle strategie e di adeguamento delle azioni».
Fra i nuovi aprocci di cui parlano anche le “Linee Guida per la disabilità e l’inclusione sociale negli interventi di cooperazione 2018” dell’Agenzia Italiana per la Cooperazione allo Sviluppo, un documento che pone l’Italia tra gli Stati più attenti e più evoluti su questo tema, c’è la riabilitazione su base comunitaria, di cui Aifo è un po’ padre. Lissoni ricorda un progetto in Mongolia, negli anni ’90, con fisioterapisti a cavallo che giravano per le tende, parlando di diritti e spiegando ai famigliari delle persone con disabilità come si fa riabilitazione, poi avviando piccole esperienze di microcredito… «La riabilitazione è il primo passo, poi c’è l’abilitazione, cioè il rendere possibile una cittadinanza attiva. È questo il cuore rivoluzionario della Convenzione Onu, che implica un cambio radicale di atteggiamento, superando l’approccio assistenziale per la partecipazione: se nei processi che riguardano le persone con disabilità non mettiamo le persone con disabilità, compiamo un errore. Anche perché dalle persone con disabilità può venire – lo vediamo nei Paesi in cui siamo – un grandissimo contributo di innovazione. L’Italia l’ha capito, il peer counseling e la ricerca emancipatoria per fare due esempi sono pratiche sistematiche, come la scelta – l’AICS è stata fra i primi al mondo a farla – di prestare attenzione alla disabilità in tutti i progetti, non solo con progetti dedicati e specifici. Ora la sfida è essere presenti nel dibattito internazionale e cogliere questo momento che può essere di fortissima innovazione».
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Il convegno internazionale "Essere persona. La disabilità nel mondo: quali diritti, inclusione e riabilitazione?”, si terrà a Milano il 5 e 6 aprile 2019 (via Romagnosi 8). Sono previste due plenarie e tre workshop. Le plenarie, nelle mattinate di venerdì e sabato, hanno per titolo rispettivamente "Disabilità: quali prospettive dalle istituzioni verso il 2020?" e " Disabilità: essere riconosciuti come persone". I tre workshop, nel pomeriggio di venerdì, saranno invece dedicati a "Implementazione dei diritti: strumenti per l'inclusione", "La cooperazione sanitaria internazionale tra riabilitazione medica, formazione e ricerca" e "Rafforzare le comunità locali: strumenti e obiettivi".
Info allo 02.40308915 o alla mail esserepersona@dongnocchi.it
Iscrizioni su eventi.dongnocchi.it
Foto di copertina Julian Rizzon ©Fondazione Don Carlo Gnocchi, dal progetto in Ecuador di Fondazione Don Gnocchi e OVCI
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