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Reddito universale di base: è in Kenya il più grande esperimento della storia

Mentre in Italia stenta a partire il cosiddetto reddito di cittadinanza, in Kenya è in corso la più importante sperimentazione di lungo periodo - 12 anni - sul basic income. I primi risultati sembrano confortanti: i soldi vengono prevalentemente spesi per coprire i bisogni primari e per l'istruzione

di Marco Dotti

Il Kenya ha una popolazione stimata di 48milioni di persone con un’aspettativa di vita di 64 anni, divise in un mosaico di circa 60 etnie e un Pil pro capite di 3.500 dollari americani. Ma la forbiche tra chi ha (comunque poco), chi ha pochissimo e chi non ha nulla è alta. Metà della popolazione del Paese vive infatti sotto la soglia della povertà estrema.

Il reddito di base può essere una soluzione? È una domanda a cui in molti cercano di dare risposta. Così il 13 novembre del 2017, la non profit americana GivenDirectly ha lanciato ufficialmente proprio in Kenya la più grande ed estesa sperimentazione sul reddito di base universale (universal basic income) della storia.

È stato delimitato un campo, per permettere una valutazione di breve, di medio e di lungo periodo:

  • gli abitanti di 40 villaggi hanno cominciato a ricevere mensilmente 22,50 dollari americani (in moneta locale: 2.271,50 scellini), senza vincoli di utilizzo, e continueranno a riceverli per 12 anni;
  • al contempo, gli abitanti di altri 80 villaggi sono stati individuati come beneficiari della stessa somma, sempre in importo attuale netto, ma per un periodo di tempo di 2 anni:
  • infine, è stato avviato il monitoraggio di 100 villaggi che, pur non ricevendo nulla, saranno oggetto di comparazione.

Lo scopo è di natura caritatevole, si basa su una raccolta fondi di circa 30milioni di dollari sostenuta da molte società della Silicon Valley, ma è soprattutto un modo per poter condurre sul campo e su scala relativamente estesa un’osservazione che, finora, salvo pochi esperimenti locali ha diviso soprattutto sul piano teorico: da un lato, coloro che ritengono che il basic income favorisca il lassismo, non agevoli in alcun modo la propensione al lavoro e i soldi ricevuti finiscano per lo più in consumo di alcolici e beni voluttuari, dall’altro coloro che ritengono sia una molla per far ripartire l’iniziativa individuale.

I confronti fra i gruppi avverranno seguendo un preciso gruppo di metriche e permetteranno (soprattutto nel confronto tra il primo e il secondo gruppo) di capire come e e se ricevere denaro tramite un reddito di base incondizionato avvrà effetti positivi o perversi sull’assunzione del rischio (imprenditoriale, ma non solo).

Queste le principali metriche usate nella valutazione dei risultati:

  • economic status (income, assets, standard of living);
  • time use (work, education, leisure, community involvement);
  • risk-taking (migrating, starting businesses);
  • gender relations (especially female empowerment);
  • aspirations and outlook on life;
  • We’re working with a team of leading scholars.

Il tema di valutazione sull’efficacia dell’esperimento di basic income è guidato da Abhijit Banerjee del Massachusetts Institute of Technology, Alan Krueger, già collaboratore di Barak Obama e professore a Princeton e Tavneet Suri, anch’essa docente al MIT.

L’esperimento in Kenya è nato da piccoli test che GiveDirectly ha fatto nell’Africa subsahariana, dove a partire dal 2009 si è visto come l’erogazione incondizionata di piccole somme di denaro ha creato effetti a catena. In particolare in Zimbabwe, dove un anno di trasferimenti di denaro contante ha migliorato i tassi di vaccinazione infantile e la frequenza scolastica (per un ampio resoconto critico, cfr. comunque l’articolo di Carrie Arnold, “Money for nothing: the truth about universal basic income”, pubblicato il 30 maggio 2018 su Nature).

In totale, sono oltre 21mila le persone che hanno iniziato a beneficiare delle erogazioni del basic income, 5000 di loro rientrano in un programma a lungo termine (12 anni). Con quali risultati? Per ora si hanno solo indicazioni parziali, basate soprattutto su interviste, ma emergono già alcune prime evidenze. E sono tutte controintuitive: i beneficiari del reddito di base tendono a spenderlo per beni di prima necessità e non in azzardo, alcool o tabacco.

Esistono, ovviamente, casi di dispendio improduttivo, ma nella quasi totalità dei casi le osservazioni a campione stanno facendo emergere la tendenza ad usare le somme ricevute per comprare medicine, pagare rette scolastiche o per piccoli investimenti in attività commerciali o produttive.

I primi indizi, quindi, sembrano convergere in una direzione: il principale problema dei poveri è reperire denaro contante per le loro necessità di base. Fatto fronte a questo problema, i soldi vanno direttamente nella soddisfazione dei bisogni primari liberando energie per una riattivazione sociale.

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