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Caro Salvini, la Sar libica è una tragica finzione finanziata dall’Europa e dall’Italia

Si continua ad affogare nelle acque libiche. Dopo il tragico naufragio di ieri con 120 morti, oggi, un altro barcone con 100 persone a bordo è stato segnalato da Alarm Phone, A bordo potrebbero esserci morti, tra cui forse anche un bambino. Ora si ammetta che la Search and rescue (Sar) è solo una tragica finzione per permettere all'Europa di voltarsi dall'altra parte.

di Riccardo Bonacina

Si continua ad affogare nelle acque libiche. Oggi, un altro barcone con 100 persone a bordo è stato segnalato da Alarm Phone, il sistema di allerta telefonico utilizzato per segnalare imbarcazioni in difficoltà, a 60 miglia al largo delle coste di Misurata. Il natante, che inizialmente non aveva chiesto aiuto, starebbe imbarcando acqua con le persone nel panico. A bordo potrebbero esserci morti, tra cui forse anche un bambino. "Aiutateci, presto non riuscirò più a parlare perché sto congelando". E' l'ultima drammatica telefonata giunta al numero di Alarm Phone dal barcone con circa 100 persone a bordo in difficoltà al largo di Misurata

"Rome e Malta ci hanno istruito di contattare la guardia costiera di Tripoli come autorità competente – scrivono su Twitter quelli di Alarm Phone – finora non abbiamo avuto alcuna risposta dalla Guardia costiera di Tripoli. Non possiamo nemmeno confermare che abbiano ricevuto il nostro messaggio. Stiamo chiamando tutti i numeri di telefono, finora senza successo".

Un naufragio che segue quelli di ieri con 120 morti e con lo stesso mutismo delle autorità libiche.

Gli attivisti di Sea Watch che ieri hanno messo in salvo 47 migranti, tra cui 8 minori non accompagnati, spiegano: "Siamo ancora in zona Sar ma nessuno si è assunto il coordinamento dell'operazione. Siamo stati rimandati ai libici che però non rispondono al telefono, non c'è modo di parlare con loro". Il meteo pare essere in peggioramento nelle prossime ore. "I ragazzi soccorsi sono in buona salute, ieri hanno ricevuto la prima assistenza medica".

Nonostante le ossessioni di Salvini, leone da tastiera ma pessimo ministro che anche oggi non sa altro che ripetere, non solo senza nessuna ombra di pietà ma anche senza nessuna, almeno apparente, coscienza dei problemi, "Io non sono stato, non sono e non sarò mai complice dei trafficanti di esseri umani, che con i loro guadagni investono in armi e droga – si legge in un post su Twitter – e delle Ong che non rispettano regole e ordini. Quanto a certi sindaci e governatori di Pd e sinistra anzichè denunciare la presunta violazione dei 'diritti dei clandestini', dovrebbero occuparsi del lavoro e del benessere dei loro cittadini, visto che sono gli italiani a pagare loro lo stipendio".

Bisognerà, dopo quanto è successo e sta succedendo, che tutti riconoscano che la cosiddetta zona Sar libica altro non è che un pannicello caldo per la cattiva coscienza dei Paesi europei e una trappola mortale non per i trafficanti ma per le loro vittime, esseri umani che dopo esser stati torurati e depredati sono mandati a morire.

Era il giugno 2018 quando Tripoli annunciò, con enfasi trionfale, l'iscrizione nel registro dell'Organizzazione marittima internazionale di una propria zona di Search and rescue (Sar). Larga quanto la costa libica, dalle spiagge di Zuara fino a quelle della periferia di Tobruch, profonda un centinaio di miglia. L'Europa, finalmente, potè tirare un corale e liberatorio sospiro di sollievo: non era più responsabile per quello che capitava in quelle acque.

A oltre un anno di distanza da quel giorno, dopo aver annotato le tante, troppe, défaillance libiche e i tanti morti, possiamo di affermare che la cosiddetta "zona Sar libica" è in realtà un quadrante dove si susseguono mere operazioni di polizia, spesso condotte con metodi brutali. Il teatro di una finzione burocratica e militare, finanziata dalla Ue e dall'Italia, costruita dal sempre più traballante e delegittimato governo libico.
Quella nuova Sar libica, del resto, faceva comodo a tutti. Era un alibi per rasserenare certe coscienze politiche. In Italia e a Malta soprattutto, i Paesi più direttamente esposti all'emorragia di migranti provenienti dal Nord Africa. Certificava infatti che il recupero e il salvataggio di quanti tentavano la traversata era per lo più "faccenda" dei libici. E solo loro. Almeno fino a quando i profughi si trovavano nella Sar.

Da allora i Maritime rescue coordination center (Mrcc) di Roma e della Valletta hanno preso a deviare gli avvisi di distress (segnalazione di imbarcazione in difficoltà) su Tripoli. Per la gioia dei rispettivi governi, che nulla sanno né possono sapere di quanto accade davvero da quelle parti.

L'entrata in vigore della nuova zona Sar – con il trasferimento di tutti i poteri alle due Guardie Costiere libiche (una dipende dal ministero della Difesa, l'altra dall'Interno) – ha avuto come effetto collaterale quello di desertificare quel cruciale tratto di mare. I mercantili e i pescherecci – spaventati dall'ipotesi di ritrovarsi nei guai – tendono a girare al largo. Dal giorno del conflitto con Open Arms, i libici hanno silenziato ogni strumento di comunicazione pubblico. Persino il canale radio pubblico riservato alle emergenze marine rimane praticamente sempre muto, salvo aggiornamenti meteo.

Perché si possa parlare di reale capacità di gestione dei salvataggi in mare, occorre che la guardia costiera lanci tempestivamente il messaggio di distress via radio, fornendo tutti gli elementi a disposizione ai naviganti per la localizzazione, in modo da convogliare sul punto le barche più vicine. Occorre poi che le persone tratte in salvo vengano portate in un place of safety nazionale stabilito dal Centro di coordinamento: un approdo sicuro dove queste non corrano rischi. Ecco, le operazioni dei libici non rispondono a nessuno di questi due requisiti.

Da mesi, le pur frequenti segnalazioni di barconi in avaria non vengono condivise ma lavorate "in house" in modo tale da non avere interferenze esterne o fastidiosi testimoni. E così tutta la questione si riduce a un inseguimento privato, che può finire in qualsiasi modo: con l'"arresto" dei fuggitivi e la riconsegna ai centri di detenzione; con il loro salvataggio fuori dalla Sar libica, a Lampedusa o a Malta; oppure nel modo peggiore, con una tragedia silenziosa, senza tracce né testimoni
Quanto al place of safety, la Libia, visti i conflitti interni in corso e la condizione generale del Paese spaccata nei due governi contrapposti, non ne ha uno. Lo ha detto chiaramente l'Onu, attraverso l'Unhcr, l'Alto commissariato per i rifugiati. E recentemente lo ha ammesso anche l'attuale ministro degli Esteri del governo Conte, Enzo Moavero Milanesi.

Solo una settimana fa, poi, i vice hanno accusato Sarraj di aver disatteso gli accordi di Skirat che includevano lotta al terrorismo, ai trafficanti di persone e lo sviluppo del Paese. E sempre secondo i tre funzionari, Sarraj non ha fatto nulla per portare una pacifica transizione del Paese. Aprendo l'ennesima crisi per la stabilizzazione del paese libico. Altro che ong caro ministro Selfini.

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