Non profit
Non profit e Ires: una ferita nel percorso della riforma
La riforma del Terzo settore prevedeva la fine della “mini IRES”, ma contestualmente ai nuovi regimi tributari e all’operatività del Registro unico, senza effetti penalizzanti nel periodo transitorio. Invece la Legge di Bilancio sospende subito l’art. 6 del D.P.R. 601/1973. Particolarmente penalizzati gli enti ecclesiastici e gli enti che resteranno fuori dal Registro unico del Terzo settore
Con la legge di bilancio arriva un conto salato per gli enti non profit, che a quanto pare vedranno raddoppiare l’aliquota IRES a seguito della abrogazione dello speciale regime agevolativo previsto all’art. 6 del D.P.R. 601/1973. Questo inciderà ovviamente sul piano finanziario degli enti impegnati in settori particolarmente sensibili, come assistenza sociale e sanitaria, educazione, beneficenza e ricerca, con possibile effetto negativo anche sulla quantità dei servizi erogati.
Con il taglio apportato dalla legge di bilancio l’aliquota IRES per questa tipologia di enti passerà dal 12 al 24 per cento, con un recupero in termini di maggiori imposte stimato in euro 118 milioni per il 2019, con ulteriore aumento, fino a 157 milioni, per gli anni 2020 e 2021.
Insomma una richiesta decisamente onerosa, che alla vigilia dell’entrata in vigore delle nuove misure previste dalla riforma del Terzo settore (D.lgs. 117 del 2017) priverà gli enti non profit di un trattamento fiscale particolarmente favorevole, che avrebbe dovuto trovare applicazione fino alla sua sostituzione con i diversi regimi tributari introdotti con il Codice del Terzo settore. Secondo il percorso della riforma, infatti, solo con l’operatività del Registro unico e il via libera da parte della Commissione europea ai nuovi regimi fiscali, sarebbe venuto meno il regime della “mini IRES” previsto all’art. 6 del D.P.R. 601/1973. Questo ovviamente per dare continuità ai regimi fiscali di favore e non creare alcun effetto penalizzante in capo agli non profit nel periodo transitorio. A fronte della legge di bilancio lo scenario prende dunque forme diverse.
Peraltro, particolarmente penalizzati in tutto questo saranno gli enti ecclesiastici che, anche dopo la piena efficacia della riforma, avrebbero eccezionalmente mantenuto l’aliquota IRES ridotta del 50% per le attività diverse da quelle esercitate attraverso un ramo “Terzo settore”. Con la manovra di bilancio dunque, questo tipo di enti perde fin da subito, come gli altri, la possibilità di applicare l’aliquota del 12 per cento e, successivamente, quella di mantenerla per le attività commerciali svolte direttamente dall’ente al di fuori dal ramo “terzo settore”. Si pensi ad un ente religioso che svolge attività di formazione, o socio sanitaria: nell’ipotesi di imponibile pari a 400mila euro, l’ente beneficerebbe per il 2018 dell’aliquota IRES dimezzata al 12%, pagando quindi 48mila euro d’imposta. Con le modifiche introdotte dalla legge di bilancio, lo stesso ente pagherebbe a partire dal 2019 un’imposta raddoppiata, pari cioè a 96mila euro.
Da ultimo, va considerato il danno per gli enti che resteranno fuori dal Registro unico del Terzo settore. Per questi ultimi, era nelle intenzioni del legislatore mantenere l’aliquota IRES agevolata, data la rilevanza sociale delle attività svolte. La manovra, invece, elimina per sempre questo beneficio, lasciandoli di fatto senza agevolazioni collegate alla riduzione di aliquota IRES e senza possibilità accedere ai nuovi regimi forfettari introdotti dal codice del Terzo settore.
*Gabriele Sepio è stato coordinatore del Tavolo tecnico-fiscale per la riforma del Terzo settore presso il Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, membro del Consiglio Nazionale del Terzo Settore, membro del comitato di gestione della Fondazione Italia Sociale e Docente di Diritto Tributario all’Accademia della Guardia di Finanza
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