Welfare
Le vittime dell’incendio alla fabbrica Ali Enterprises in Italia per chiedere giustizia
Le vittime del disastro avvenuto a Karachi, in Pakistan l'11 settembre del 2012 in cui persero la vita oltre 250 lavoratori sono oggi in Italia insieme alle organizzazioni impegnate nella difesa dei diritti umani e dei lavoratori nella tappa conclusiva della "Week of Justice"
di Redazione
Sono passati 6 anni da quando, l'11 settembre del 2012, oltre 250 lavoratori sono morti in un incendio scoppiato alla Ali Enterprises di Karachi, in Pakistan.
I familiari delle vittime e dei sopravvissuti sono oggi in Italia insieme alle organizzazioni impegnate nella difesa dei diritti umani e dei lavoratori nella tappa conclusiva della "Week of Justice", la settimana della giustizia, partita a Ginevra il 26 novembre e proseguita alla Bochum University e al tribunale di Dortmund, in Germania; un'occasione per far conoscere in Europa lo stato dei procedimenti in corso.
«Siamo qui oggi», ha spiegato Deborah Lucchetti, di Abiti Puliti, «perché abbiamo due domande ancora senza risposta: di chi era la responsabilità di quelle morti? Cosa chiedono oggi le famiglie delle vittime perché sia ottenuta piena giustizia».
Saeeda Khatoon, il cui figlio di 18 anni, Ayan è morto nel rogo della Ali Enterprises, dove lavorava da 4 anni, ha spiegato «abbiamo ricevuto un indennizzo parziale ma vogliamo giustizia anche da parte di RINA, il revisore che ha rilasciato un certificato di morte: esigiamo delle scuse e un risarcimento completo. Vi chiediamo inoltre di far sentire la vostra voce verso quei brand e quelle aziende che, invece di fare il meglio per i lavoratori, permettono che accadano queste tragedie. Ho perso un figlio e voglio che nessuna altra madre debba patire la mia stessa sofferenza. Siamo ancora qui, a lottare, perché la sicurezza sul lavoro sia un diritto e non un privilegio».
«Gli incendi possono accadere ma quello alla Ali Enterprises era evitabile», ha sottolineato Ben Vanpeperstraete, coordinatore della Clean Clothes Campaign, «La conseguenze tragiche del rogo potevano essere scongiurate con allarmi e estintori funzionanti, con uscite di sicurezza adeguate, e una scala di emergenza. RINA deve chiedere scusa alle vittime e deve risarcire i danni, ma è fondamentale che si compiano delle azioni strutturali, perché quello di Karachi non è stato un evento isolato: c'è stato il crollo del Rana Plaza a Savar, in Bangladesh, ad esempio, solo qualche mese dopo l'incendio in Pakistan. Gli auditor non rilevano problemi evidenti che mettono a rischio la vita dei lavoratori. C'è un problema sistemico: chi controlla i controllori?».
Per Carolijn Terwindt del ECCHR (European Center for Costitutional and Human Rights) «c'è stata una causa a Karachi per far luce sugli enti coinvolti nella strage. Chiedevamo che il tribunale prendesse in considerazione anche le responsabilità delle aziende europee, ma il procedimento non è andato avanti. Quindi abbiamo presentato una causa civile al Tribunale di Dortmund, dove ha la sede legale la KiK, distributore tedesco per cui la Ali Enterprises produceva i jeans e che avrebbe dovuto verificare le condizioni du sicurezza del finitore. In Italia, la ECCHR sostiene la causa penale per la responsabilità della RINA, in corso a Genova, per il reato di falsificazione della certificazione rilasciata alla fabbrica. Ci siamo inoltre rivolti alla Forensic Architecture di Londra per effettuare la simulazione dell'incendio che ha distrutto la fabbrica tessile e dimostrare l'inadeguatezza delle misure di sicurezza. Il video della simulazione è stato consegnato come prova al PM di Genova, ma è visibile online da tutti. Si intitola "Outsourcing Risk", delocalizzare il rischio».
Deborah Lucchetti ha quindi aggiunto che «lo scopo ultimo è riuscire a fare un passo avanti e migliorare il monitoraggio delle filiere perché il controllo è stato privatizzato, mentre c'è necessità di enti pubblici che verifichino e di sindacati dei lavoratori più forti, coinvolti direttamente nei processi».
E in nome delle richieste dei consumatori Alessandro Mostaccio del Movimento dei Consumatori ha concluso: «Il controllo è quanto mai necessario in filiere complesse come quelle create a seguito di decenni di delocalizzazione. È fondamentale verificare la catena dei fornitori e dei subfornitori, non per un formalismo della trasparenza e una pura azione di green washing, ma perché un consumatore consapevole ha il potere di cambiare il sistema, attraverso un consumo responsabile».
Oggi, 4 dicembre, le organizzazioni e la Ali Enterprises Factory Fire Affectees Association incontreranno presso il MISE i responsabili del Punto di Contatto Nazionale OCSE in Italia.
Per consultare la scheda sul caso clicca qui
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