Cultura
Le Catacombe sono mie
Il Vaticano rivendica la propria percentuale sugli ingressi alle Catacombe di San Gennaro a Napoli. Peccato che quel monumento è rinato grazie all’investimento imprenditoriale dei ragazzi della cooperativa La Paranza che lo hanno in gestione da oltre 10 anni
Si arriverà certamente ad un accordo sul caso della Convenzione delle Catacombe di San Gennaro, ma la vicenda comunque solleva qualche domanda. Proviamo a ricostruire i fatti. In virtù del Concordato del 1929 le Catacombe sul territorio italiano sono state incluse tra le zone extraterritoriali sulle quali la Santa Sede esercita la sua sovranità (una situazione giuridica simile a quelle delle ambasciate di paesi stranieri). Ovviamente la gestione delle Catacombe è affidata quasi ovunque a soggetti terzi a cui la Pontificia Commissione di Archeologia Sacra impone fee del 50% sulprezzo dei biglietti. Proprio il 13 ottobre scorso si era tenuta a Roma la Prima giornata delle Catacombe, promosso dalla Pontificia Commissione di Archeologia Sacra. Ovviamente per la grande maggioranza (escluse le più famose di Roma) si tratta di flussi turistici molto ridotti e quindi quella suddivisione è un po’ un’idea a perdere per tutti. Tant’è vero che nel corso della Giornata è stato annunciato che per favorirne la conoscenza in occasione dell’Anno europeo del patrimonio 12 siti, tra i più significativi e suggestivi, saranno accessibili gratuitamente a tutti i visitatori.
Il tema della Convenzione però è tornato alla ribalta in occasione della visita a Napoli, avvenuta nei giorni scorsi del cardinal Gianfranco Ravasi, presidente della Pontificia Commissione di Archeologia Sacra. Nel 2019 va in scadenza l’accordo con la Curia napoletana (che ha affidato la gestione delle Catacombe di San Gennaro alla cooperativa La Paranza) e nel rinnovo è entrato in gioco anche il tema della suddivisione degli introiti. A differenza della stragrande maggioranza delle altre Catacombe diffuse sul territorio nazionale, quelle napoletane sono diventate uno dei monumenti più attrattivi della città. Questo è merito della straordinaria avventura imprenditoriale che ha visto per protagonisti i ragazzi della cooperativa guidati dal parroco della Sanità don Antonio Loffredo, a cui, vista la specificità del progetto, la Pontificia Commissione finora non aveva chiesto alcun ritorno economico. Un numero dice tutto: nel 2006 all’inizio di questa avventura i visitatori erano stati poco più di 5mila, su mille mq visitabili. Nel 2017 i visitatori sono stai più di 103mila e i mq recuperati alla visita oltre 11mila. Tutto questo è stato reso possibile attraverso il sostegno di istituzioni come la Fondazione con il Sud, all’interno della quale in queste ore si esprime grande attenzione e preoccupazione per gli sviluppi del caso e non si esclude la possibilità di intervenire pubblicamente a difesa di un modello di imprenditorialità sociale giovanile considerato esemplare.
Insomma è accaduto un qualcosa di importante, riconosciuto da tutti, a livello umano e culturale. Una vera lezione di gestione di un bene culturale trasformato in risorsa viva (e in possibilità occupazionale).
Che la Chiesa metta sul tappeto il tema di una suddivisione delle entrate (oltretutto anche retroattiva) è una cosa come minimo fuori luogo e anche un po’ autolesionista: invece di farsi vanto e incoraggiare un’esperienza che tutti guardano a modello, si discute di trattenere un fee sui ricavi. Difficile pensare che papa Francesco possa essere d’accordo
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