Mondo

Brasile: la svolta populista che preoccupa tutta l’America Latina

Il candidato presidenziale Jair Bolsonaro ha vinto le elezioni in Brasile con il 55,7%. Per la stampa internazionale la quarta democrazia più grande del mondo sarà governata da un populismo estremista di destra

di Cristiano Morsolin


«Sono scuole per guerriglieri. Se continueranno con le occupazioni illegali di proprietà privata del Movimento senza Terra MST, nel mio governo applicheremo loro le leggi antiterrorismo» (ottobre 2018)

«Dobbiamo farla finita con questa lagna del femminicidio. C’è solo l’omicidio e io infilerei un’arma in tutte le cinture» ( Giornata della donna, 8 marzo 2017)

Ecco il linguaggio dell’odio e della contrapposizione con cui il candidato presidenziale Jair Bolsonaro ha vinto le elezioni in Brasile con il 55,7%, contro il 44,30% ottenuto da Fernando Haddad, ex sindaco di San Paolo, il delfino di Lula e del Partito dei Lavoratori (Partido dos Trabalhadores PT). Gli editoriali dei principali quotidiani europei come El Pais, The Guardian, Le Monde denunciano che la quarta democrazia più grande del mondo sarà governata da un populismo estremista di destra.

Sergio Paulo Pinheiro, (un amico che stimo profondamente e con cui ho scritto il mio libro “En la periferia de la copa del mundo- Propuestas para enfrentar el apartheid de la segregacion urbana y defender el derecho a la ciudad en Latinoamerica“ Edizioni Antropos, Bogotá, 2015), Ministro dei diritti umani della Presidenza Cardoso, oggi Presidente della Commissione d’inchiesta delle Nazioni Unite in Siria, preannuncia un futuro tenebroso: “Credo che in Brasile avra’ un retrocesso catastrofico delle politiche di Stato in materia dei diritti umani e verranno annullate tutte le politiche di stato che i governi democratici anteriori hanno sempre confermato, sara’ un disastro interno e internazionale”.

1.181 vittime dei colpi di arma da fuoco esplosi dalle forze di sicurezza carioca
Il conservatore Bolsonaro, ex militare nostalgico della dittatura e apertamente a favore della tortura, è noto per le sue posizioni radicali nel campo della sicurezza pubblica e come sostenitore della tolleranza zero da parte di polizia e forze armate, affermando che “per difendersi da ladri e banditi, la gente deve armarsi”.

Da gennaio a settembre 2018 sono state ben 1.181 le persone cadute vittime dei colpi di arma da fuoco esplosi dalle forze di sicurezza carioca soprattutto nelle favelas di Rio de Janeiro, oggetto di una rinnovata guerra al narcotraffico: da otto mesi a questa parte, infatti, in città è stato disposto un intervento militare federale che ha esautorato le strutture ordinarie di pubblica sicurezza, affidando tutte le prerogative a un generale dell’esercito.

L’Osservatorio sull’intervento militare e le ong Amnesty International, Conectas, Justiça Global e Rede da Maré hanno presentato le proprie critiche all’Onu, in occasione della 39ma sessione del consiglio dei Diritti umani delle Nazioni Unite a Ginevra, partecipando al dibattito su «militarizzazione della Pubblica Sicurezza: l’intervento federale di Rio de Janeiro, le esecuzioni extragiudiziali e rischi per i difensori dei diritti umani».

Camila Asano, coordinatrice dei programmi Conectas, ha sottolineato che l’intervento è incostituzionale e «parte di una logica di guerra per affrontare la questione della sicurezza pubblica, che ha difetti strutturali in Brasile e la cui soluzione sta in investimenti in politiche pubbliche di base come istruzione e sanità, nonché iniziative che promuovono la depenalizzazione della droga, il controllo delle armi e la riforma della polizia».

Allo stesso tempo, sottolineano le organizzazioni, c’è una carenza di azioni di intelligence in grado di smantellare gruppi criminali non violenti e iniziative dedicate ad affrontare il problema storico della corruzione della polizia.

Il pericolo di distruggere politiche sociali innovative
«Basta con le politiche per i ”poverini”. Adesso sono tutti da proteggere, le donne, i neri, i gay, i nordestini… Tutto questo con me finirà» ha affermato recentemente il neo presidente eletto Jair Bolsonaro, attaccando anche politiche riconosciute a livello mondiale come FOME ZERO o BOLSA FAMILIA che hanno raggiunto lo storico obiettievo di far uscire dalla povertá ben 30 milioni di brasiliani.

Per esempio gli indicatori del programma “fome zero”, lanciato nel 2003 per combattere malnutrizione e povertà nel paese sudamericano , evidenziano un miglioramento. La quota di popolazione malnutrita si è più che dimezzata rispetto al 10,7% del 2002 (fonte la stessa Fao) e la mortalità infantile è scesa da 28 bambini su mille a 18 su mille. Dal 2003 l’indice di povertà, cioè la quota di popolazione che guadagna meno di 2 dollari al giorno, è crollato dal 24 al 10% e contemporaneamente l’indice di Gini che misura, su una scala da 1 a 0, l’intensità delle diseguaglianze, è sceso da 0,59 a 0,52.

La lotta alla fame e alla povertà è stata uno dei punti centrali della presidenza di Lula sin dal primo giorno del suo mandato. Nel discorso di insediamento del gennaio 2003 l’ex presidente lo mise subito in chiaro: “Se alla fine del mio mandato ogni brasiliano sarà in grado di mettere insieme colazione, pranzo e cena avrò realizzato la missione della mia vita”. Poco dopo il nuovo governo avviava il progetto “Fome zero”, una serie di misure per alleviare il disagio dei 44 milioni di brasiliani in situazione di grave indigenza, il più ampio programma di assistenza a livello globale. La parte più nota del progetto è “bolsa familia” ossia l’erogazione di sussidi in contanti alle famiglie povere con figli a condizione che i bambini vengano vaccinati, sottoposti a periodici controlli medici e mandati regolarmente a scuola.

Va ricordato che la Commissione Pastorale della Terra CPT (espressione della Conferenza Episcopale dei vescovi Brasiliani CNBB) definisce Lula un «prigioniero politico»; il suo arresto è uno strumento per «consolidare la sottomissione nazionale agli interessi illimitati del capitale globale» e «per impedire che il ritorno di Lula [al governo, essendo candidato alle elezioni presidenziali] si concretizzi e intervenga a smontare misure di concentrazione di ricchezza e potere». Un comportamento, quello contro Lula, ben diverso da quello verso «altri leader, di altri partiti, notoriamente implicati in crimini». È una situazione, sostiene la Cpt, che vuole «nutrire strategicamente l’odio, l’intolleranza e il pregiudizio, espressioni del fascismo sociale, nel quale conta solo l’individuo con i suoi interessi privati e mai la società e la condivisione collettiva di beni comuni e pubblici», in un documento diffuso nell’aprile scorso.

Seminario internazionale “Minacce alla democrazia e ordine multipolare”
"Non nascondo che io e molti osservatori internazionali siamo preoccupati con ciò che sta accadendo in Brasile. Una preoccupazione che riguarda il mondo, con il regime del presidente Donald Trump e un aumento di governi autoritari che non sono democratici". La dichiarazione di Dominque Villepin, ex ministro della Francia fra 2005 e 2007, evidenzia l’importanza di dibattere i cammini delle democrazie, dell’ordine mondiale e specialmente dello stato di eccezione in cui si trova il Brasile. Per questo la Fondazione Perseu Abramo ha tenuto a Rio de Janeiro venerdì 14 settembre 2018 un seminario internazionale dal titolo "Minacce alla democrazia e ordine internazionale".

L’incontro ha visto la presenza di pensatori e politici di prestigio internazionale: Noam Chomsky, Cuauhtémoc Cárdenas, Carlos Ominami, José Luis Rodriguez Zapatero e lo stesso Villepin. Secondo l’ex primo ministro della Francia Villepin il mondo attraversa grandi cambiamenti, con alterazioni nella geopolitica da un ordine unipolare a uno multipolare e l’affermazione di gruppi suprematisti e conservatori in America Latina e in Europa. "Le disuguaglianze si sono create fra paesi ricchi e paesi poveri, ma anche all’interno degli stessi paesi e le vediamo aumentare molto fra alcune élites e il resto della popolazione. In tale contesto abbiamo molto bisogno del Brasile come grande attore democratico e difensore del multilateralismo… Il seminario è un esempio del legame che abbiamo per difendere il futuro, la democrazia e l‘indipendenza del Brasile, e il suo ruolo di nazione forte nel mondo, riporta il settimanale dei movimenti sociali Brasil de Fato.

Carlos Hoevel, professore di economia della Pontificia Università Cattolica dell’Argentina (Uca), mi ha recentemente commentato che: “La mancanza di partecipazione politica della cittadinanza provoca fenomeni pericolosi, come i populismi, sia di destra sia di sinistra. Lo dimostrano i casi di Trump, Bolsonaro e Maduro. La logica divoratrice dei populismi dev’essere frenata con la partecipazione attiva e creativa dei popoli, per rispondere alle necessità concrete della gente comune, che soffre disuguaglianze ed esclusione”. Hoevel invita, sulla scia della enciclica Laudato Si’ di Papa Francesco, a trovare vie nuove, evitando la patologia del totalitarismo statale, che fa perdere le liberta personali, e la patologia del neoliberalismo, dove gli Stati diventano strumenti funzionali al mercato, subordinati agli interessi delle élite, mentre le masse vengono messe ai margini, escluse e scartate”.

Nella lista nera dei nemici dichiarati di Bolsonaro “come comunisti”, ci sono i contadini senza terra, i sindacati, gli organismi in difesa dei diritti umani, i giornalisti d’inchiesta come i colleghi di FOLHA DE SAO PAULO, i professori universitari e gli artisti vicini al PT. Questo messaggio da scontro frontale conta nel sostegno delle potenti lobby delle chiese evangeliche, dei produttori di armi, dei militari e dei grandi latifondisti e allevatori. Bolsonaro è appoggiato da partiti e leader corrotti assai più del PT, quello che viene messo in dubbio è un sistema di di valori e riferimenti culturali costruito nei decenni, che puo’ innescare un grave pericolo di deriva autoritaria non solo per la quarta democrazia più grande del mondo ma anche per tutta l’America Latina.


*Cristiano Morsolin è esperto di diritti umani vive in America Latina dal 2001

Nella foto Cristiano Morsolin e la candidata presidenziale Marina Silva (Verdi, ex ministra dell’Ambiente di Lula)

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