Welfare

Corte Costituzionale: legittimo l’esercizio della delega legislativa sui CSV

Dopo aver rigettato i ricorsi proposti dalle Regioni Veneto e Lombardia contro la nuova disciplina del servizio civile universale i giudici ritengono infondate anche le censure sollevate dalle medesime Regioni sulla nuova disciplina dei Centri di servizio per il volontariato

di Valentina Maria Marcelli

Dopo aver rigettato (con sentenza n. 171/2018 pubblicata lo scorso 20 luglio) i ricorsi proposti dalle Regioni Veneto e Lombardia contro la nuova disciplina del servizio civile universale, la Corte Costituzionale, con la sentenza n. 185/2018 pubblicata il 12 ottobre (qui allegata), ritiene infondate anche le censure sollevate dalle medesime Regioni avverso la nuova disciplina dei Centri di servizio per il volontariato di cui agli articoli 61 e seguenti del Codice del Terzo settore. Ancora una volta, dunque, si dà conferma della bontà dell’esercizio della delega legislativa sul Terzo settore da parte del Governo Gentiloni allora in carica.

Nelle motivazioni della sentenza compaiono alcuni passaggi di grande interesse ai fini non soltanto della specifica questione di legittimità costituzionale, ma anche dell’interpretazione sistematica della complessiva disciplina sul terzo settore.

La Corte Costituzionale afferma, infatti, che il Terzo settore comprende attività eterogenee che possono svolgersi in ambito di competenza statale o regionale, ma non può tuttavia essere configurato, esso stesso, quale “materia” in senso stretto. La disciplina del terzo settore, pertanto, non costituisce una disciplina “di attività”, bensì una disciplina “di soggetto”, da ricondursi nell’area del diritto privato.

I soggetti del Terzo settore, secondo la Corte, “in quanto soggetti di diritto privato, per quanto attiene alla loro conformazione specifica, alla loro organizzazione e alle regole essenziali di correlazione con le autorità pubbliche, ricadono tipicamente nell’«ordinamento civile»”.

L’“ordinamento civile”, infatti, comprende tali discipline proprio al fine di assicurare l’uniforme trattamento dei soggetti del Terzo settore sull’intero territorio nazionale, in applicazione del principio di eguaglianza costituzionalmente garantito, nonché l’“essenziale e irrinunciabile autonomia” degli stessi.

Ed è proprio in questo contesto che va inquadrata la disciplina dei CSV, il relativo sistema di finanziamento ed il ruolo di indirizzo, controllo e vigilanza che il legislatore ha riservato, nelle opportune modulazioni previste dal Codice, all’Organismo nazionale di controllo (ONC) e agli Organismi territoriali di controllo (OTC).

La natura dei CSV quali soggetti di diritto privato che interagiscono con tutta la rete del Terzo settore, al fine di promuoverne e facilitarne le attività, porta la disciplina del loro regime giuridico entro la potestà esclusiva statale in materia di «ordinamento civile».

Da tali premesse la Corte ha rilevato la palese infondatezza delle doglianze regionali con riguardo, in primo luogo, alla composizione e alle funzioni che il CTS affida all’ONC.

L’ONC, cui è attribuito, tra l’altro, il controllo “centrale” sui CSV è, per espressa disposizione di legge, una fondazione con personalità giuridica di diritto privato, la cui composizione interna è espressione, soprattutto, delle scelte operate dagli attori del Terzo settore: basti pensare, infatti, che solo due membri che lo compongono (su un totale di undici) sono designati, in misura paritaria, dallo Stato e dalle Regioni (uno dal Ministero del lavoro e delle politiche sociali e uno dalla Conferenza Stato-Regioni). E, in effetti, a ben guardare, non sarebbe stata possibile una diversa configurazione dello stesso, trattandosi di un organo “che non appartiene all’amministrazione pubblica”.

La Corte precisa, infatti, che “ancorché la fondazione sia costituita con atto ministeriale, non si tratta di una forma di governo pubblico del Terzo settore, bensì della regolamentazione di assetti che concernono i rapporti tra soggetti di diritto privato, in attuazione del principio di sussidiarietà di cui all’art. 118, quarto comma, Cost.” e, dunque, non può essere avallata “l’erronea opinione che ci si trovi innanzi a un organismo pubblico”.

Le funzioni dell’ONC, giova ribadirlo, non rientrano negli “ambiti materiali” propri delle attività del Terzo settore.

È bensì vero che, come osserva la Corte, si tratta di “una forma accentuata di coordinamento dal centro”, ma ciò, tuttavia, attiene ad aspetti di merito, “che rientrano nella discrezionalità del legislatore delegato, non a profili di legittimità costituzionale”. I giudici invitano, dunque, a tenere sempre presente “che il ruolo svolto al centro non è attribuito a un ente pubblico, ma a un organismo di diritto privato con funzioni di vigilanza su soggetti privati”.

Lo stesso discorso può estendersi, così come evidenziato nelle motivazioni della sentenza, agli OTC, ed il fatto che essi siano privi di autonoma personalità giuridica nulla cambia ai fini del loro corretto inquadramento nell’ambito dei rapporti di natura privatistica.

La Corte ha giudicato infondate anche le questioni di costituzionalità relative agli artt. 64 e 65 CTS con cui le ricorrenti lamentavano “il tradimento dei principi e dei criteri direttivi della legge di delegazione” (ed in particolare dell’art. 5, co. l, lett. f), L. 106/2016), attraverso la previsione di un’“eccessiva centralizzazione” delle funzioni di controllo nell’ONC, riservando agli OTC un ruolo del tutto secondario.

L’attuale disciplina affida agli OTC, tra l’altro, rilevanti funzioni di controllo sui CSV, nell’ambito territoriale di riferimento: essi, come rilevato dalla Corte, “sono disciplinati dando rappresentanza maggioritaria anche in questo caso ai soggetti del Terzo settore” e tra le funzioni loro attribuite rientra anche “il riparto tra i CSV collocati in ciascuna Regione del finanziamento deliberato dall’ONC, nonché l’ammissione al finanziamento della relativa programmazione”.

Quanto, invece, alla determinazione, ad opera dell’ONC, del numero di enti accreditabili come CSV nel territorio nazionale, i giudici della Corte Costituzionale evidenziano come il procedimento previsto dalla norma (art. 61, co. 2, CTS), essendo vincolato a parametri legislativi “rigidi” ed uniformi, che si completano con un’istruttoria affidata agli OTC, lascia agli stessi un limitato margine di apprezzamento che non presenta di per sé alcun profilo di incostituzionalità. Ed è la stessa Corte a rilevare come “un margine di apprezzamento, invece, sussiste per le eventuali deroghe ai predetti criteri, previste dal comma 3 del medesimo art. 61, ma tale disposizione non è stata impugnata”.

Parimenti non censurabile alla luce dei principi costituzionali è la norma che regola la determinazione dell’ammontare del finanziamento stabile triennale dei CSV (art. 62, co. 7, CTS) e la relativa ripartizione annuale e territoriale dei fondi. La potestà legislativa su questa materia, come si legge nelle motivazioni della sentenza in esame, spetta allo Stato, poiché rientra a pieno titolo nell’“ordinamento civile”. Tale conclusione si giustifica in ragione del fatto che le risorse del Fondo Unico Nazionale (FUN) devono essere utilizzate per garantire il funzionamento del sistema dei CSV e non già per finanziare le attività “propriamente inerenti al Terzo settore”.

Infine, la Corte respinge anche la prospettata violazione dei principii di eguaglianza e di buon andamento, affermando, testualmente, che “non si comprende, infine, per quali ragioni le disposizioni censurate sarebbero idonee a determinare una violazione del principio di eguaglianza di cui all’art. 3 Cost., nonché del principio di buon andamento ex art. 97 Cost. Tali disposizioni, anzi, sono espressione proprio di quell’esigenza di uniformità che questa Corte ha ritenuto imprescindibile in tale settore, senza che ciò comporti, tuttavia, un irragionevole sacrificio delle specificità territoriali. Il che consente di ritenere infondate le doglianze regionali anche sotto tale profilo”.

Tali argomentazioni erano, invero, state già anticipate, all’indomani dell’entrata in vigore del Codice, dalla dottrina più attenta, la quale aveva già concluso “nel senso della piena legittimità costituzionale delle norme impugnate”, dovuta, in sostanza, all’estraneità della disciplina in materia di CSV e del relativo sistema di finanziamento dalla sfera di competenza regionale. Nel prendere atto, infatti, che nei ricorsi presentati dalle Regioni ricorrenti le censure di incostituzionalità avevano ad oggetto (soprattutto) la scarsa partecipazione e rappresentatività regionale nel nuovo assetto riguardante gli organi di controllo dei CSV, si è posto sin da subito l’accento sul fatto che, a ben vedere, si tratta di un aspetto che “il legislatore ha rafforzato rispetto al passato”, attraverso la previsione della designazione di un membro dell’ONC da parte della Conferenza Stato-Regioni.

Chiuso questo capitolo, il nuovo sistema dei CSV si appresta ad entrare “a regime”, dopo l’annuncio delle prime decisioni assunte dall’ONC sul numero di CSV da accreditarsi nel territorio nazionale, che appare in notevole riduzione rispetto a quello esistente sulla base della previgente normativa. La nuova disciplina sembra presentare tutte le carte in regola per favorire un nuovo ed ulteriore “rilancio” dei CSV quali strumenti di promozione e sviluppo del volontariato italiano, e per creare un “sistema” virtuoso non solo tra i CSV, ma anche tra questi ultimi, le fondazioni di origine bancaria, loro principali finanziatrici, e gli enti del Terzo settore, in attuazione dei principi e valori costituzionali di sussidiarietà, solidarietà ed eguaglianza sostanziale che animano l’intero processo di riforma legislativa.


*Valentina Maria Marcelli è avvocato e dottore di ricerca in Diritto privato

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